Titolo originale: Sasurai no Taiyō
Regia: Chikao Katsui
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Keisuke Fujikawa & Mayumi Suzuki)
Sceneggiatura: Keisuke Fujikawa, Hiroyuki Hoshiyama, Shunichi Yukimuro
Personality Compose: Shinya Takahashi
Musiche: Hideki Fuyuki
Studio: Mushi Production
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anno di trasmissione: 1971
A posteriori, la notorietà che l’anime Sasurai no Taiyō (letteralmente Sole vagabondo, titolo internazionale Nozomi within the Solar e titolo italiano… ne ha avuti tanti) ha avuto, molto tempo dopo il suo anno di trasmissione, è frutto di speculazioni molto ingigantite. Spesso dipinto arrive la prima produzione animata realizzata insieme da Yoshiyuki Tomino e Yoshikazu Yasuhiko, futuri creatori di Mobile Suit Gundam (1979), lasciando ambiguamente sottointendere che è frutto di un loro lavoro personale, alla honest è giusto riconoscere che, se il contributo del primo è tutto sommato tangibile (in quanto si è occupato interamente da solo degli storyboard), quello del buon Yas è quasi irrilevante (rifinitura ai disegni del chara designer ufficiale, Shinya Takahashi), arrive ammette lui stesso in un’intervista del 20071, quando afferma che sia Il prode Raideen (1975) la loro prima opera a vantare quel primato. Sgonfiata la bufala, sarebbe comunque indecoroso trascurare questo bell’anime del 1971, che è ugualmente importante ma per un’altra ragione: il primo lavoro in assoluto a trattare, in modo amaramente realistico, il mondo dell’industria musicale e discografica.
Rielaborazione, a quanto si legge in giro, addirittura molto addolcita rispetto all’omonimo, cupo shoujo manga di 4 volumi, disegnato l’anno prima da Mayumi Suzuki con i testi dello stesso Keisuke Fujikawa che ne cura in TV la sceneggiatura, Sole vagabondo è la classica storia, tipica degli anni ’70, di agonismo e tragedie, dura arrive un mattone sui denti. Soffrire, soffrire e ancora soffrire: questo il destino dei classici eroi disadattati, poveri od orfanelli del Giappone submit-WWII e pre-boost economico. Il loro protagonista, per riuscire a emergere in una società palesemente ingiusta e rigidamente classista (dove pochi individui pieni di soldi ottengono potere e poltrone arrive gli pare, e sotto di loro la totalità degli altri può solo sputare sangue e cercare di arrivare al giorno dopo), dovrà stringere i denti, sopportare ogni umiliazione e dolore e credere ferocemente nel suo sogno spendendoci ogni energia, perché solo così potrà sperare di realizzarlo. Inutile sottolineare quanto questa filosofia, emblematizzata dal più famoso rappresentante della categoria (il manga Rocky Joe del 1968), attecchirà in fumetto e animazione, dando origine a tonnellate di opere melodrammatiche. Sole vagabondo è un altro perfetto rappresentante della categoria, rovesciando addosso alla sfortunata Nozomi Mine ogni genere di cattiveria e ingiustizia per mano di una maligna, odiosa figlia di una grande famiglia industriale che crede tutto le sia dovuto in virtù dei suoi natali. Solo la rivelazione finale potrà riequilibrare le cose, ma prima di questo Nozomi dovrà ingoiare ogni rospo, piangere continuamente, subire torture psicologiche e rinunciare alle lusinghe del facile successo commerciale, dell’amore e di contratti milionari, pur al costo di rendere ancora più precarie le condizioni di miseria della sua famiglia.
Quelli che vuole trasmettere Sole vagabondo sono messaggi morali sicuramente edificanti, veicolati da una ricostruzione particolarmente attenta della società e dell’industria discografica. La serie punta lo sguardo su aspetti mestamente realistici di dinamiche commerciali, prevaricazioni di classe, corruzione e bustarelle e, ancora, ipocrisie, raggiri e frustrazioni dietro le quinte del mondo dello spettacolo, offrendo ritratti umani spesso molto negativi e detestabili (il peggiore di tutti, probabilmente, da identificarsi nel maestro di lei, che pur credendo nell’impegno e nella moralità è il primo a prestare il suo ingegno ai facili soldi di Miki), per niente conciliabili con un intrattenimento di tipo spensierato. Si soffre, insomma, seguendo il martirio di Nozomi e tutte le difficoltà che incontra, ci si arrabbia per tutti i soprusi e per la totale remissività di lei che non si ribella mai ai vari “carnefici” (un classico in questa tipologia di opere), e difficile, insomma, è sapere quanto del pubblico odierno sia in grado oggi di apprezzare questa serie impregnatissima dei virili dolori anni ’70. Il risultato finale, comunque, al di là di tutto, è pienamente riuscito: il ritmo è scorrevole, la durata è relativa (solo 26 episodi), e il finale, nonostante pecchi indubbiamente di buonismo, riscatta abbondantemente tutta la sofferenza accumulata fino a quel momento, dimostrandosi ben coerente con la morale ultima del racconto. Interessante anche il comparto musicale, dato da stacchetti pop (le canzoni di Nozomi e Miki) che anticipano di oltre un decennio quelli di Fortezza Neat Dimensionale Macross (1982). Ben poco di lusinghiero si può però dire sulla confezione tecnica dell’opera, ben rappresentativa di tutti quei problemi che porteranno la Mushi Production, quell’anno, a chiudere per bancarotta.
In Italia, la serie è stata trasmessa con tre titoli (Jane e Micci, Che segreto!, Sasurai) e due adattamenti diversi. Il primo, inventato da cima a fondo, è irreperibile; bisogna accontentarsi del secondo a opera di Mediaset che, comunque, pur con qualche addolcimento dei dialoghi, lo scotto dei brani musicali ricantati in italiano (da Debora Magnaghi e Nadia Biondini) e il cambio di nomi dei personaggi (Nozomi diventa Nicoletta e Miki Michela), mantenendo al contempo i cognomi originali (!), è abbastanza preciso e coerente. Ci si può accontentare.
Voto: 7 su 10
1 Pubblicata a pag. 141 del quantity 4 di “Giovanna d’Arco: Sulle orme della Pulzella d’Orlèans”, Yamato Edizioni, 2007