Recensione: Dwelling Slump Cobra
SPACE ADVENTURE COBRA

Titolo originale: Dwelling Cobra

Regia: Osamu Dezaki, Yoshio Takeuchi

Soggetto: Buichi Terasawa (basato sul suo fumetto originale)

Sceneggiatura: Buichi Terasawa, Haruya Yamazaki, Kenji Terada, Kosuke Miki, Kosuke Mukai

Personality Originate: Akio Sugino, Shinji Otsuka

Mechanical Originate: Katsushi Murakami (non accreditato)
Musiche: Kentaro Haneda

Studio: Tokyo Movie Shinsha

Formato: serie televisiva di 31 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anni di trasmissione: 1982 – 1983

Con il suo irresistibile combine di atmosfere avventurose e scanzonate, la regia straordinaria e il protagonista guascone che sembra un Lupin the third fantascientifico, era impossibile non innamorarsi, nel luglio 1982, di Dwelling Slump Cobra – Il Movie, grandiosa pellicola, firmata da Osamu Dezaki e Akio Sugino, che portava ulteriore fama e onore al fortunatissimo manga di Buichi Terasawa (anche sceneggiatore del movie). L’esito al box office, pur deludente, deve quantomeno aver dato un segnale ai produttori; non si spiegherebbe altrimenti come, giusto qualche mese dopo, gli elementi più importanti dello workers (Terasawa compreso) si ritrovavano riuniti al timone addirittura della trasposizione fedele del fumetto, potendo nuovamente contare su un largo finances generosamente profuso da Tokyo Movie Shinsha. Il risultato commerciale della serie, come si vedrà, sarà positivo, testimoniato da un ottimo indice di ascolto (un abbondante 10% medio1), ma qualitativamente ritengo che non saranno pochi i telespettatori che rimarranno un po’ interdetti dalla continua altalena di alti e bassi che condiscono il progetto e originano più di una sensazione contrastante.

Un po’ come accadeva ai tempi de L’imbattibile Daitarn 3 (1978), il succo di Cobra si regge unicamente sul carisma scenico di un protagonista virile e acrobatico, bevitore, fumatore e donnaiolo, che per buona parte del tempo è protagonista di storie d’azione l’una uguale all’altra, in cui corre, salta, spara e fa strage di milioni di alieni e pirati cattivi che vogliono toglierlo di mezzo o trattare male le splendide (e svestite) ragazze per cui perde regolarmente la testa, in ambientazioni fantascientifiche con ampia mostrologia aliena, pistole laser e astronavi che sembrano uscite da un movie di George Lucas. Un conto, però, è assistere a un’unica avventura particolarmente ispirata in cast e ambientazioni (come lo è quella dello splendido movie), e un conto è ripetere il concetto per una lunga serie da 31 puntate interamente rette su azione nonstop. Minimale è la psicologia records all’eroe Cobra, alla sua fedele compagna robotica Girl e a un po’ tutti i comprimari/antagonisti che i due incontrano in ogni nuova avventura: poco è aggiunto alla già basica trama del lungometraggio (giusto una presentazione nascita dell’eroe, storia d’origine che ha portato in molti ad accusare Terasawa di essersi un po’ troppo ispirato al Philip Okay. Dick del racconto Ricordiamo per voi pubblicato nel 1966, ma il mangaka ha rigettato l’accusa dicendo di non averlo mai letto2), il succo è semplicemente che Cobra è il Maschio Alpha, imbattibile e autoironico, rubacuori e infallibile cecchino, e non fallisce mai le sue missioni. Che il cinema muscoloso sia una grossa fonte di ispirazione per l’opera, è abbastanza palese; che vedere lo Stallone/Willis di turno fare le solite cose per un sacco di tempo, sempre nel contesto di soggetti basilari, sia apprezzabile e alla lunga non stufi, beh, questo è ovviamente un altro paio di maniche. Sta a chi guarda trarre le proprie considerazioni, se fare
cioè parte di quella nicchia di pubblico che ama visceralmente il cinema
fracassone ed è in grado di reggere una serie basata sul solo carisma
tamarro del biondo eroe in calzamaglia o meno, questo è palese. Così come è
palese che raramente, are available in questo caso, la votazione finale non può
che essere molto arbitraria e suscettibile ai gusti. Tuttavia, tra le considerazioni più concrete da fare, non può
non starci la critica verso la qualità, fin troppo discontinua, dei
numerosissimi riempitivi che costellano la storia.

La serie, come il manga, si basa su cicli narrativi dal variabile numero di episodi, intervallati da avventure autoconclusive spesso svogliate, che imbastiscono le solite acrobazie con spunti davvero risibili. I vari “cicli” sono quasi tutti (escluso quello noiosissimo del rugball, immancabile sport distopico e violentissimo) sufficientemente elaborati e suggestivi dato che in essi convergono le idee più interessanti e stravaganti dell’autore. Quello principale, lungo quasi mezza serie, che copre gli episodi 3-12 (la vicenda delle sorelle Flower, rielaborata precedentemente nel movie) è emblematico in tal senso: un autentico capolavoro, giostrato su ambientazioni intriganti, colpi di scena spiazzanti, indimenticabili momenti d’azione, nemici carismatici e una battaglia finale epicissima e grottesca. Peccato, dunque, che la grandezza della serie si noti proprio in questi segmenti e nelle sue musiche epiche e accattivanti, appiattendosi notevolmente nei riempitivi. Si apprezza come il buon Terasawa cerchi di contribuire alla varietà con ogni mezzo (con flowers e fauna alieni sempre più bizzarri, sanguinarie scene di morte della vittima di turno, un alto tasso di cadaveri e dramma e un Cobra amante della parità dei sessi che con la sua Psycho-gun sfonda il petto a qualsiasi nemico, uomo o donna che sia), ma è dura creare avventure brevissime che lascino il segno in così poco tempo, sempre mostrando la stessa solfa, sempre sparatorie, sempre acrobazie, sempre bambole vestite in abiti succintissimi che sembrano l’una la copia dell’altra (e nonostante questo il livello erotico è parecchio scemato rispetto all’originale), sempre personaggi-macchietta e sempre contenuti intellettuali tendenti allo zero. Non è raro scoprirsi a seguire a un certo punto l’opera molto svogliatamente perché completamente assuefatti alle solite cose. Tengo comunque a sottolineare ancora una volta l’estrema soggettività della mia opinione, limitata al genere di appartenenza della storia, assolutamente non condivisa, ad esempio, dal pubblico giapponese del tempo e dai Paesi europei (Francia in particolare4) che hanno importato la serie e l’hanno amata visceralmente facendone un autentico cult (è nota l’ammirazione sconfinata del regista Luc Besson per Terasawa, proprio in virtù di essa5).

Contribuisce a risollevare le sorti del titolo il grosso finances stanziato: Cobra è sicuramente uno dei titoli televisivi meglio animati del periodo, potendo usufruire quasi sempre di eccezionali animazioni, disegni come di consueto curatissimi (il “solito” Akio Sugino), movenze fluide e fondali/effetti speciali splendidamente realizzati che alimentano il senso di meraviglia delle ambientazioni. C’è anche qui un ma: anche se nominalmente adibito alla regia, il grande Osamu Dezaki se ne occupa parzialmente, dirigendo qualche puntata qua e là e approvando quelle dirette da altri componenti del suo workers. Si nota bene che il crew sia influenzato dal suo stile, ma le inquadrature indirect e gli slash up show, così tipici di lui, sono uncommon, così come gli sfondi-cartolina (anche se questo potrebbe essere dovuto al fatto di lavorare con un grosso finances e al non avere bisogno di usarli come ripiego): si avverte che non è un’opera sua al 100% e forse neanche lui la deve avere sentita come sage, se più o meno a metà serie non ha problemi ad abbandonarla, insieme ad Akio Sugino (sono rimpiazzati rispettivamente da Yoshio Takeuchi e Shinji Otsuka), per lavorare insieme sul lungometraggio, sicuramente più personale e sentito, Golgo 13 (1983)3. Il fatto che la loro partenza quasi neanche si senta e tutto sembri fino alla vivid identico a prima, potrebbe dirla lunga o su come lo workers li copi bene, o sulla poca personalità che i due ci hanno messo. Sicuramente, la regia della serie non si avvicina neanche lontanamente alla direzione divina del lungometraggio.

Nonostante tutto, l’opera ha i suoi bei momenti e culmina in un finale sì affrettato (la mini-saga finale dura giusto 4 episodi, presentando un sacco di comprimari privi della più basilare caratterizzazione), ma che comunque, come invenzione anime-handiest (la trasposizione del manga copre gusto i primi 8 volumi su 18 totali), è soddisfacente nella creatività delle situazioni, nel suo spettacolare combattimento finale e nel presentare un’accettabile conclusione definitiva all’intera vicenda di Cobra, prima che venticinque anni dopo la saga venga resuscitata dallo studio Magic Bus con OVA e ulteriori serie TV. Chi ama in modo sfegatato un genere così “individualista” come quello di Cobra, probabilmente aggiungerà un voto abbondante alla valutazione finale. Gli altri lo reputeranno un Dezaki “minore” e abbastanza sorvolabile.

Voto: 7 su 10

SEQUEL
Cobra the Animation: The Psycho-gun (2008-2009; serie OVA)
Cobra the Animation: Time Pressure (2009; serie OVA)
Cobra the Animation (2010; TV)

FONTI

1 Saburo Murakami, “Anime in TV”, Yamato Video, 1998, pag. 75

2 Intervista a Buichi Terasawa pubblicata su Kappa Journal n. 13 (Necessary individual Comics, 1993, pag. 124)

3 Mangazine n. 21, Granata Press, 1993, pag. forty eight

4 Sito Net (in francese) “20 minutes”, “«Cobra»: Le succès de la série d’animation japonaise raconté en cinq facets “, alla pagina web http://www.20minutes.fr/culture/1532255-20150204-cobra-succes-serie-animation-japonaise-raconte-cinq-facets

5 Come sopra