Recensione: Wizard Barristers – Benmashi Cecil
WIZARD BARRISTERS – BENMASHI CECIL

Titolo originale: Wizard Barristers – Benmachi Cecil

Regia: Yasuomi Umetsu

Soggetto: Yasuomi Umetsu

Sceneggiatura: Yasuomi Umetsu, Michiko Ito

Persona Assemble: Yasuomi Umetsu

Musiche: Kayo Konishi, Yukio Kondoo

Studio: ARMS

Formato: serie televisiva di 13 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2014

In un magico futuro dove la razza dei maghi coesiste con quella degli umani, il mondo è regolato da un codice penale creato apposta per punire gli abusi e l’uso improprio di poteri magici, resi illegali se non ai pochi individui dotati di autorizzazione speciale. In questo mondo vivono i benmashi, gli avvocati dei maghi, con l’ovvio compito di proteggere i loro clienti che hanno violato, per fini criminali o meno, tale codice. La protagonista di questa è storia è Cecil Sudo, la più giovane benmashi di ogni tempo, appena 15enne, che mette il cuore nel suo lavoro perché intende cercare prove per poter riaprire un processo di sei anni prima a cui è personalmente legata. Fra un caso e l’altro, dovrà anche difendersi da alcuni uomini misteriosi che intendono catturarla per non  meglio precisati motivi…

Anche se privo di un hype altisonante, quel Wizard Barristers che debutta nelle televisioni giapponesi il 12 gennaio 2014 non poteva mancare di suscitare qualche brivido agli appassionati di vecchia recordsdata di Yasuomi Umetsu, chara dressmaker di assoluto rilievo degli anni ’80 e controverso regista dei morbosi, irresistibili A-Kite e Mezzo Specialty, sorta di Miike/Rodriguez dell’animazione, a suo agio con iper-violenza, sesso e trash che strizzano l’occhio alla mai troppo divertente exploitation degli anni ’70.

A riposo dal “suo mondo” da un pezzo, appena finito di dirigere l’impersonale (e dimenticabilissimo) Galilei Donna, Umetsu convince lo studio ARMS advert affidargli una nuova serie televisiva, un’opera personale in cui curare tutto: soggetto, sceneggiatura, regia e disegni, con l’aggiunta di budget mica da ridere. Ne esce Wizard Barristers, opera in cui si sente bene l’impronta del suo creatore ma che, abbastanza prevedibilmente, non riesce a trovare le libertà che vorrebbe confinato nei rigidi paletti televisivi, sembrando in ogni frangente diretta col freno tirato a mano. L’opera è un continuo “vorrei ma non posso”: di scene arduous e fanservice sessuale, ovviamente improponibili nonostante il solid di bambole gonfiabili, e del del sangue e dell’iperviolenza, anch’essi tabù. Rimane solo il trash, ma pure in questo aspetto il regista osa poco, limitandosi ai soli primi episodi che vedono una strana parodia del tall sentai, un aereo di linea che preso in mezzo agli scontri si schianta nei palazzi di Tokyo, e le battaglie vere e proprie, con lo studio di avvocati Butterfly, del quale fa parte Cecil, difendersi da “maghi criminali” e congiure varie evocando mega robottoni che affrontano quelli nemici. Basta. Il resto del tempo è occupato dalle indagini con cui, in ogni occasione, Cecil e compagne trovano le prove per difendere l’ingiustamente accusato cliente di turno, culminando nelle loro arringhe decisive nel processo. Viaggiamo dalle parti di un moral-thriller dalle venature fantastiche, una definizione che denota un’originalità decisamente ben più scenica e teorica che concreta.

Spogliato, infatti, dal suo bizzarro idea che si esprime in oltre metà serie di episodi investigativi autoconclusivi abbastanza sorvolabili, quando arriva al nocciolo della sua reale trama – inizialmente accennata, poi sempre più presente – Wizard Bannisters scade nei più triti luoghi comuni, con “incredibili” rivelazioni sul passato dimenticato dell’eroina, personaggi dal destino e ruolo scritto in faccia e sottofondo di risibili rituali esoterici per ottenere gloria, ricchezza, vita eterna e cliché vari. Una manfrina sentita milioni di volte che ha l’unico pregio di essere raccontata benino, sicuramente in modo più avvincente della prima metà di serie, con i comprimari di Cecil, prima insignificanti, che trovano maggior spessore iniziando a ritagliarsi una pur timida simpatia. Rimane comunque robetta di serie C che non vale la visione di 13 episodi.

Almeno, il lavoro di Umetsu non è malaccio:
innocuo e dimenticabile, ma ha dalla sua qualche interesse. I disegni, in primis, sono quelli classici con cui il regista ha abituato i suoi fan: estremamente sensuali ed eccitanti, con occhi, sguardi e forme femminili che divorano lo spettatore. Visto il testosteronico livello sizzling del solid di avvocatesse si sente moltissimo la mancanza di qualsiasi tipo di erotismo o intermezzo malizioso, arrivando a non capacitarsi di advance si sia potuto scegliere di portare Wizard Barristers in tv piuttosto che nel ben più “libero” mercato delle produzioni dwelling video. Altro elemento brillante è la realizzazione tecnica, che si esprime in animazioni mediamente ottime, particolarmente spettacolari nei coreografatissimi scontri fra maghi – che si affrontano scagliandosi contro la furia degli elementali, mecha ed elementi dello challenge in un tripudio di dettagli ed esplosioni. In questi frangenti la classica regia motion di Umetsu si fa sentire divenendo presto indispensabile per la loro splendida resa, ispiratissima nei momenti d’azione, funambolica e frenetica. Wizard Barristers è indubbiamente una serie high budget, coraggiosa nel godere di questa caratteristica pur trattando un argomento tanto fuori dall’ordinario.

Non c’è molto altro da dire su una serie tanto breve e disimpegnata: c’è tanto, tanto di meglio in giro, ma anche ben di peggio. Si tratta di un’opera che non farà parlare minimamente di sé, molto timida, già punita con l’insuccesso commerciale (i dvd/BD non hanno venduto niente), ma che si guarda con sufficiente piacere, senza annoiarsi troppo e usufruendo dell’impronta stilistica, indubbia, del suo creatore. Per gli orfani delle opere di Umetsu, nonostante la sua patinatezza e l’assenza di scene forti, un’opera la cui visione, presumo, può valere la pena.

Voto: 6 su 10