Recensione: Typhoon Polimar
HURRICANE POLIMAR

Titolo originale: Typhoon Polymar

Regia: Hisayuki Toriumi

Soggetto: Tatsuo Yoshida, Tatsunoko Literary Crew

Sceneggiatura: Jinzo Toriumi, Akiyoshi Sakai

Persona Indulge in: Tatsuo Yoshida, Yoshitaka Amano

Mechanical Indulge in: Kunio Okawara, Mitsuki Nakamura

Musiche: Shunsuke Kikuchi

Studio: Tatsunoko Production

Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1974 – 1975

Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit

Non c’è dubbio che Typhoon Polimar appartenga – com’è naturale che sia visto il suo anno di uscita sugli schermi televisivi nipponici (1974) – al novero delle produzioni animate rivolte ai giovanissimi, difficilmente apprezzabile nella sua interezza da uno smaliziato pubblico odierno (principalmente adulto) ormai abituato ad anime dedicati a ogni fascia d’età. Eppure, è palese che c’è un qualcosa, nella terza opera supereroistica Tatsunoko Productions, interamente comica e priva di alcuno spunto serioso, che la rende a tratti davvero speciale, al punto tale che ancora oggi potrebbe rappresentare per più di qualcuno un piacevole passatempo che trascende il target o i suoi stessi limiti strutturali.

Superando in questo campo addirittura i precedenti Science Ninja Crew Gatchaman (1972) e Kyashan il ragazzo androide (1973), infatti, Polimar rinuncia di fatto a una qualsiasi trama definibile reach tale. In questa storia, ambientata nella fittizia metropoli simil-americana di Washinkyo (ovvia fusione tra Tokyo e Washington, per rimarcare ancora una volta1 le ambizioni di vendita estera del lavoro, reach i titoli sopracitati), troviamo una buffa agenzia investigativa, guidata dal maldestro trentottenne “Fresh Sherlock Holmes” Joe Kuruma, dalla horny manager Teru Nanba, dal sonnolento San Bernardo Barone e dal protagonista Takeshi Onitora dall’orribile taglio di capelli a caschetto, che in ogni puntata stana e snida una banda di malviventi mascherati in modo sempre più ridicolo, aiutando l’Agenzia Segreta Internazionale di Polizia guidata del padre di Takeshi, Toragoro Onitora (all’oscuro, ovviamente, del coinvolgimento del figlio, fuggito da un anno da casa). Ogni battaglia contro il crimine è risolta dal supereroe karateka Typhoon Polimar, identità fittizia di Takeshi, che grazie a un casco speciale è in grado di assumere incredibili poteri combattivi e di trasformazione (in aereo e sottomarino) per effetto di un avanzato polimero che riveste il suo corpo. Stop. Non c’è assolutamente nulla di legato in continuity, ogni episodio è autoconclusivo e isolato e racconta di una nuova avventura in cui gli eroi distruggono l’ennesima banda criminale: di puntate “importanti” ce ne sono solo una a metà serie che spiega le origini dei poteri di Polimar e le ultime due che “risolvono” la sottotrama (mai veramente in primo piano) del rapporto tra l’eroe e suo padre. L’unica motivazione per guardare Polimar oggi risiede nell’interesse per l’azione concitata di ogni storia e per i simpatici elementi del solid, ed è con un certo ottimismo che posso dire che è facile per molti essere all’altezza di entrambi i requisiti!

La comicità dell’imbranato e sdentato comprimario (e co-protagonista)
Joe Kuruma è contagiosa, così stupidella e childish da essere, per
qualche arcano motivo, irresistibile, per grazia di dialoghi  surreali e
spassosi e un’eccellente, divertita prova vocale del suo seiyuu Takeshi Aono. Coi suoi saltelli
isterici, l’arroganza usata a sproposito e le eterne figuracce rimediate
volta per volta coi criminali, il Fresh Sherlock Holmes diventa presto
una spalla comica davvero fondamentale nel dare pepe alle avventure (un
capolavoro l’episodio 15 dove diventa l’invincibile Holamar!), rendendole
gradevoli e snellendo almeno in parte la noia, purtroppo inevitabile, di intrecci
action sempre uguali che, tokusatsu 100%, prevedono la riproposizione eterna
delle stesse scene e degli stessi avvenimenti. Ogni puntata sarà sempre uguale all’altra: inizia con l’entrata in scena del
nuovo gruppo di malviventi che commette il primo crimine, prosegue con
gli eroi che spiano l’Agenzia Segreta Internazionale di Polizia, apprendendo
del nuovo nemico e di cui poi raggiungono il covo, e culmina con Joe e
Teru catturati e salvati poi da Polimar, che prima minaccia i cattivi con
la sua teatrale entrata in scena e poi li massacra a colpi di arti
marziali.

La ripetitività infinita e costante rende difficile la visione, è inutile negarlo: ma, vuoi per la brevità della serie (solo 26 episodi, quasi sicuramente non è titolo che ha avuto molto successo), vuoi per la simpatia del solid e le atmosfere di puro cazzeggio e dileggio degli stereotipi supereroistici e della drammaticità di Gatchaman e Kyashan, Polimar sa riservare ai fortunati che lo vedranno momenti divertenti e disimpegnati. Si chase per la stupidità di Joe Kuruma e della sua pistola spara-acqua e per i gape sempre più deliranti dei cattivi della settimana, abbigliati con costumi legati al mondo animale (uomini-scoiattolo volante, tartaruga, serpente, ratto, scorpione, etc.), e si assiste meravigliati ai lunghi, grotteschi combattimenti dell’eroico Typhoon Polimar, dati da milioni di acrobazie e primi piani ossessivi dell’eroe che inferisce su qualche sventurato avversario massacrandolo di pugni, calci o gomitate a furia di urli di karate volutamente ispirati2 a quelli di Bruce Lee in The Manner of the Dragon (1972, in Italia L’urlo di Chen terrorizza anche l’occidente), pellicola che fece scalpore in Giappone in quel periodo e che viene omaggiata anche dal taglio di capelli dello stesso Takeshi (riprende ovviamente quelli dell’indimenticato Piccolo Drago).

Rimane difficile, purtroppo, esaltarsi tantissimo con Polimar, ma tutto sommato è una produzione animata molto carina e simpatica che, presa a piccole dosi, sa ancora rivelare simpatia, abbastanza per farsi apprezzare. Nulla di trascendentale dal lato tecnico (animazioni più che dignitose ma senza esagerare) ed estetico (i disegni simil-occidentali di Yoshitaka Amano, reach sempre, possono piacere o meno), neanche mai rimasterizzata significativamente per un adeguato riversamento in DVD o BD (tant’è che anche gli essenziali DVD Dynit peccano di un video usurato poco più che soddisfacente, con colori opachi e privi di definizione, oltre a mancare di extra significativi), l’opera Tatsunoko forse sarà la meno importante della “quadrilogia supereroica” dello studio (nonostante avrà anche lei, reach le altre, un revival nei ’90 con degli OVA disegnati da Yasuomi Umetu), ma conserva intatta parte significativa del suo fascino originale. Potrebbe riservare qualche sorpresa, non sarebbe male darle almeno una likelihood.

Voto: 6,5 su 10

FONTI

1 Guido Tavassi, “Storia dell’animazione giapponese”, Tunuè, 2012, pag. 111

2 Secondo la pagina di Wikipedia giapponese, è scritto a pag. 92 del saggio “The Seiyuu 1995” (1994, Mediax). Garion-Oh (Cristian Giorgi,
traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit) conferma la validità dell’informazione