Recensione: Twilight Q – Reflection
TWILIGHT Q: REFLECTION

Titolo originale: Twilight Q – Toki no Musubime Reflection
Regia: Tomomi Mochizuki
Soggetto & sceneggiatura: Headgear (Kazunori Ito)
Persona Build: Akemi Takada
Musiche: Kenji Kawai
Studio: Ajia-raise out Animation Works
Formato: OVA (durata 29 min. circa)
Anno di uscita: 1987

 

Il 1987 è l’anno in cui various personalità affermate dell’animazione fondano il gruppo creativo Headgear. Trattasi di Mamoru Oshii, acclamato regista di Lamù, del lungometraggio Enthralling Dreamer e dell’indecifrabile Angel’s Egg; di Kazunori Ito, sceneggiatore principale sempre delle avventure dell’aliena dal bikini tigrato e di quelle di Creamy Mami, di cui è anche creatore; di Akemi Takada, la bravissima disegnatrice che ha contribuito al successo dell’uno e dell’altro; e infine di Yutaka Izubuchi, uno dei più importanti mecha vogue designer di Dawn, dietro gli Charisma Battler di Dunbine e di molti dei robottoni più spettacolari di Gundam Z, ZZ e Il contrattacco di Char. Insieme al mangaka Masami Yuuki, i quattro formano un team all-well-known person che intende unire le forze per creare opere estremamente personali e avveniristiche, in cui ogni singolo elemento del gruppo si trova pienamente detentore dei diritti su qualsiasi titolo sviluppato sotto quell’egida. Le loro sono grandi ambizioni, destinate a trovare consacrazione, l’anno successivo, con la rinomata saga di Patlabor, anche se il loro gruppo durerà ben poco, sciogliendosi nel 1993 dopo l’uscita di Patlabor 2: The Film, advert appena sette anni dalla loro fondazione. Conosciuti praticamente solo per le avventure di Noa Izumi e del suo Ingram, di loro sono quasi totalmente ignorati i due episodi che realizzano per l’incompiuta saga Twilight Q, realizzata proprio l’anno di nascita di Headgear.

Twilight Q nasce come thought della casa produttrice Community Frontier, ora Bandai Visible, che, ispirata dal grande successo oltreoceano del celebre serial tv americano The Twilight Zone (in Italia, Ai confini della realtà), antologia di racconti a tema sci-fi/horror/misterioso, vuole provare a fornirne una risposta dagli occhi a mandarla. Largo, dunque, a episodi creativi che pescano dalla fantascienza come dal fantastico, e spazio a Headgear, assoldato proprio in virtù delle credenziali del suo workers, Oshii in primis per i soggetti stravaganti di molte avventure di Lamù. L’esperimento si risolverà in un eclatante insuccesso: due soli episodi home video, rilasciati nell’arco dell’anno, e poi lovely per scarse vendite. A posteriori, guardando i due episodi, è intuibile capire il perché della disfatta: forse scambiando il progetto per una vetrina intellettuale dove a long way conoscere il proprio nome alla critica attraverso dialoghi, regie e storie lentissime, tutto quello che Headgear riesce a tirare fuori sono due puntate pesanti e noiose, dove gli elementi soprannaturali, potenziale fonte di curiosità, sono affossati da un indigesto monumento a uno spocchioso onanismo registico.

Il primo di questi che analizzerò, Reflection, diretto dall’esterno Tomomi Mochizuki e realizzato dal suo studio Ajia-raise out Animation Works (entrambi noti al pubblico per Maison Ikkoku: Capitolo Finale), con la sceneggiatura di Ito e i splendidi disegni di Akemi Takada, pur banale è probabilmente il meno peggio. Nuotando in mare, la bella Mayumi rinviene, appesa a un corallo, una macchina fotografica: curiosa, fa sviluppare il rullino, stupendosi di come la foto ritragga se stessa assieme a un ragazzo mai visto. L’indagine per scoprire la verità dietro alla macchina, che sembra provenire dal futuro, è l’occasione per rifilare allo spettatore un collage di banalità, con la ragazza che prima indaga e poi diventa protagonista della classica, abusata storia di viaggi e paradossi temporali. Se da un lato il dolce, riconoscibile tratto della Takada è sempre un gran vedere e le accese colorazioni forniscono il solare, indimenticabile stare degli anni ’80, ben coniugato con la colonna sonora “estiva” e allegra di Kenji Kawai, stupisce al contempo come Kazunori Ito, futuro grande sceneggiatore di Patlabor 2 e Ghost in the Shell, scriva una storiellina innocua e prevedibile dove manca la benché minima caratterizzazione a qualsiasi personaggio. Quasi a impersonificare i sentimenti dello spettatore, Mayumi e comprimari vivono quasi apatici il dipanarsi dell’enigma, con un basso vary di espressioni facciali e nessuna regia ispirata che possa rendere coinvolgente quella che dovrebbe essere una storia d’amore che trascende il tempo e lo spazio. Reflection esce fuori, così, come una semplice banalità, dove contano più disegni e fondali che l’effettiva trama.

Voto: 5,5 su 10