Recensione: The Vision of Escaflowne
THE VISION OF ESCAFLOWNE

Titolo originale: Tenku no Escaflowne

Regia: Kazuki Akane

Soggetto: Hajime Yatate, Shoji Kawamori

Sceneggiatura: Shoji Kawamori, Akihiko Inari, Hiroaki Kitajima, Ryota Yamaguchi

Persona Impact: Nobuteru Yuki

Mechanical Impact: Kimitoshi Yamane

Musiche: Yoko Kanno, Hajime Mizoguchi

Studio: Break of day

Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 24 min. circa)

Anno di trasmissione: 1996

Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit

Hitomi Kanzaki è una gioviale studentessa delle superiori con l’ardour della lettura dei tarocchi, pratica che fa per scherzo con le sue compagne di classe ignorando di possedere per davvero delle latenti capacità divinatorie, che già si manifestano attraverso delle visioni. Nel giorno fissato per dichiarare i suoi sentimenti al suo adorato senpai finisce invece, rocambolescamente, col conoscere Van, giovane spadaccino che sembra provenire da un altro pianeta e che affronta sotto i suoi occhi un incredibile drago venuto fuori dal nulla. Il tempo di parlare col ragazzo ed ecco che Hitomi e lui sono catapultati nella mistica terra di Gaia. Van si rivela essere l’erede al trono del regno di Fanelia: ha appena superato la prova di iniziazione per essere sovrano ed è pronto ad accompagnare la ragazza nel suo Paese per trovare un modo di riportarla a casa. Assisteranno invece alla distruzione di Fanelia da parte dell’Impero di Zaibach, interessato a conquistare militarmente l’intero pianeta. I due, insieme al Guymelef (robotic) da combattimento Escaflowne, guidato da Van, iniziano quindi una fuga dagli emissari nemici, approfittando delle capacità di premonizione di Hitomi che si sono appena risvegliate per salvarsi di volta in volta dai vari pericoli. Riusciranno a riportare la tempo su Gaia stringendo alleanza con gli altri sovrani di quelle terre?

Non saranno mai troppo grossi i danni culturali arrecati dalle mancate pubblicazioni in occidente delle serie robotiche di punta Break of day degli anni ’80, sopratutto in quegli USA che rappresentano il secondo mercato più grosso del mondo per quello che riguarda l’animazione giapponese. È questa premessa che spiega come, nei Novanta, il pubblico mondiale pensi di scoprire in Neon Genesis Evangelion (1995) il primo titolo del genere a presupporre una enorme enfasi su storia e personaggi, si appassioni a Gundam con il primo titolo della saga a uscire dalla madrepatria, il quale è però tra i peggiori del franchise (lo schifoso Cell Swimsuit Gundam Skim, sempre 1995) e infine saluti inconcepibilmente come un capolavoro assoluto e uno dei più grandi anime del decennio (non scherzo, basti solo leggere qualsiasi saggio americano sul mondo degli anime, sono tutti unanimi a riguardo) un concentrato di mediocrità assoluta (accolto tiepidamente nello stesso arcipelago nipponico1, fragment del 5.18%2) come The Vision of Escaflowne, solo perché graziato da un comparto tecnico/visivo/musicale sfavillante da 30 milioni di yen a episodio3 raramente visto prima in una serie televisiva e perché prima produzione mecha-delusion disponibile ai gaijin (e pazienza se prima di essa se ne erano viste più di una, fin dai tempi di Aura Battler Dunbine). Sghiribizzi orribili della Storia, di quelli che segnano in modo indelebile la collettività facendole scambiare la cacca per il cioccolato per mezzo di un imprinting che non concede spazio (o anche solo volontà) ad alcun tipo di revisionismo.

Il “capolavoro” è ideato dal papà della saga di Macross, Shoji Kawamori, che, in un memorabile viaggio spirituale in Nepal, compiuto nei primi anni ’90, si ritrova ispirato nel delineare una serie mecha delusion-misticheggiante che parli di destino e divinazione, in cui fondere robottoni e romanticismo. Convince subito studio Break of day e Bandai a produrre l’opera, quindi i tre impostano a grandi linee la storia: si make a resolution, con una certa originalità, di affidare il ruolo di eroe a una ragazza e anche di sfruttare l’intrigante ambientazione per parlare del mito di Atlantide e del Triangolo delle Bermuda, basandosi sugli scritti (ridicoli) del noto “atlantologo” Colin Wilson. Tutto si avvia a diventare la classica serie mecha adolescenziale per ragazzi, tanto che la regia è affidata alla giant name di Huge Robot (1992), Yasuhiro Imagawa. Invece, il disastro: la cosa va per le lunghe e Imagawa finisce spostato sul bel Cell Fighter G Gundam (1994), mandando in stallo il progetto, almeno finché questo non torna in auge con l’arrivo del suo rimpiazzo, Kazuki Akane4, che stravolge i piani originali con una nuova visione della storia che convince anche Kawamori. Si passa dai 39 episodi previsti a 26 per mantenere alta fino in fondo la qualità dell’animazione col funds stanziato5, si abbassano i toni epico-drammatici a un target molto più giovane (praticamente bambini delle elementari)6, di ambo i sessi7, e si make a resolution infine, proprio per quest’ultima ragione, di intendere il romanticismo del progetto iniziale come summa delle banalità, delle idealizzazioni e delle inverosimiglianze dello shoujo manga8. In una storia di guerra. È la exquisite, perché nel 1996 Escaflowne uscirà negli schermi giapponesi proprio così.

Conosciuto internazionalmente come una storia delusion di contesto epico, Escaflowne è in realtà una flebile storiellina sentimentale (che si capisce sin dai primi istanti dove andrà a parare) ambientata in un mondo di fiaba: argomento principale è il triangolo amoroso, comprensivo di tutti i cliché shoujo umanamente concepibili (fraintendimenti, equivoci, turbe mentali, capricci, baci che “non si devono dare in quel momento visti da persone che non devono esserci in quel momento”, etc.), tra la timida Hitomi e i due spadaccini che l’accompagnano nella sua avventura, Van e Allen, quest’ultimo un adone dalla fluente chioma bionda che presto si unisce al gruppo. Escaflowne è la classica storia dell’eroina moralizzatrice e gentile in piena esplosione ormonale contesa da figaccioni, che passa, incomprensione dopo incomprensione, da un partner all’altro, pensando solo all’amore, come se non le importasse molto dei pericoli che affronta quotidianamente (del resto, riuscendo a predire il futuro e salvarsi ogni volta…! ) e delle vite delle migliaia di persone  prese in mezzo alle battaglie. Contesto drammatico-avventuroso solo sulla carta quindi, ridicolizzato dai (troppi) buoni sentimenti e dalle sottotrame rosa che tengono banco (oltre ai tre protagonisti non bisogna dimenticarsi delle altre personalità che gravitano intorno a loro, i classici “spaccacoppie” irrinunciabili nel fumetto per ragazzine), al punto che, per come è voluta e strutturata la serie, è evidente che a Break of day e Akane interessi che il pubblico sia maggiormente preso dal dubbio su con chi si metterà infine la ragazza piuttosto che sulla guerra con Zaibach. Deludentissimo è anche il modo in cui è scomodato il mito di Atlantide, inquadrato per l’ennesima volta nella solita thought delle attrezzature enormous-tecnologiche, sopravvissute alla distruzione di quella civiltà, che utilizzate male rischiano di condizionare il futuro del pianeta. Dalla lettura dei testi fanta-archeologici di Wilson si è tirato fuori solo questo?

È una barzelletta excessive funds, Escaflowne: tenta disperatamente di prendersi sul serio con le sue scene di morte e distruzione, i villain psicopatici e uterini, la sua grande varietà di razze (sembrano prelevate da qualche oscuro J-RPG) e città (le cui architetture sono palesemente ispirate al form europeo9), i dialoghi saccentemente aulici, teatrali e spocchiosi, i duelli all’arma bianca e il cozzare di spade filmate in modo sontuoso, quasi lirico, e accompagnati da musiche ancora più solenni, ma scade nel ridicolo ogni volta che subentra il registro Harmony o, ancora peggio, il suo imbarazzante insieme di idee modaiole  (la donna-gatto… pietà) e gli sviluppi da cleansing soap opera (rivalità e contrasti famigliari, paternità celate, migliore amica innamorata anche lei dello stesso uomo…). Con i suoi patetici risvolti amorosi (si arriva addirittura a pentagoni sentimentali), le puerili motivazioni delle azioni dei cattivi (il solito cattivo buono ma incompreso), l’enorme numero di personaggi vuoti e privi di ripercussione sulla trama e ogni possibile genere di pattume stereotipato, Escaflowne sembra volersi porre come esempio rappresentativo di classico anime in cui conta solo la facciata.

In particolar modo, in Escaflowne, è odiosa la ruffianeria ricercata a ogni costo per compiacere il pubblico maschile e femminile: al primo rivolge gli evocativi mecha medievaleggianti Guymelef (creati da Kimitoshi
Yamane con evidenti richiami ai robottoni di Mamoru Nagano) e le loro battaglie, da inquadrare nell’enorme livello di dettaglio, movenze, fisicità e sboronate varie (la splendida trasformazione dell’Escaflowne in un drago); il secondo invece, quello evidentemente più ricercato da regista e produttori, trova nella serie tutto ciò che può desiderare da
una piatta storia di paturnie amorose, con fighetti tenebrosi in ogni dove e quando,
spesso con l’ombelico fuori o dai volti così femminei da sembrare omosessuali, accompagnati da musiche raffinate ed elementi “poetici” (non lo
sono, ma perché rovinare l’illusione?), come l’eterea opening o le angeliche ali sbandierate
dai personaggi appartenenti alla razza draconiana, che evocano una
ridicola impressione di purezza celestiale e di patina intellettuale. La civetteria si somma alla già portentosa confezione del titolo, records da animazioni fluide, un intrigante, colorato e dettagliatissimo (nonostante i famigerati “nasoni”) chara form bishounen a opera di Nobuteru Yuki (ben a suo agio nei mondi delusion, se pensiamo ai suoi precedenti disegni nelle trasposizioni animate di Document of Lodoss Struggle) e un evocativo rating musicale – immancabilmente cult presso legioni di animefan – a cura della Yoko Kanno, che celebra le sequenze più importanti con epiche sonorità gregoriane. Il giocattolone è servito!

Fortunatamente, impostata così com’è l’opera, fin dai primi episodi, si capisce chiaramente cosa aspettarsi da essa e quindi la maggior parte degli spettatori odierni che non l’hanno mai vista sapranno abbandonarla come merita dopo due o tre episodi rifiutando la sua immeritata notorietà. Bene o male ispirato da Yoshiyuki Tomino (Akane ammetterà che le opere che più lo hanno influenzato sono i movie di Hayao Miyazaki e Cell Swimsuit Gundam11) e dal suo citato Dunbine del 1983, con cui condivide molte similitudini di fondo (l’umano del “mondo di sopra” che porta la tecnologia bellica in un mondo pacifico, distruggendone l’equilibrio e diffondendo corruzione, avidità e sete di conquista, alleanze e contro-alleanze nella guerra contro l’impero cattivo, addirittura tra le scene tagliate nei DVD americani si vede che Break of day intendeva replicare l’thought del prosieguo della guerra nel mondo dei terrestri), Escaflowne, a parte gli scopiazzamenti, non sa offrire quasi nulla di originale. Il “quasi” è riferito a due sole idee: la tematica
“filosofica” del rapporto destino/volontà (records dalle
credenze dei protagonisti sull’inevitabilità di un “disegno superiore” e
un cattivo che auspica il raggiungimento di un mondo che vada oltre le
leggi naturali che regolano il fato) e lo sfruttamento nella trama, come
personaggio attivo nella vicenda, di un celeberrimo scienziato del XVII
Secolo10. Le cose sono integrate decentemente nella trama e
le danno un vago sapore, è vero, ma è troppo poco per giustificare la mole di
sciocchezze e, se non si fosse capito, di noia pura e asfissiante che bisogna
sopportare sin dalla prima puntata prima di riuscire a raggiungerle e apprezzarle. Si può capire come una splendida realizzazione tecnica possa eventualmente a ways dimenticare eventuali lacune yarn (dopotutto, quando
nello employees è presente un nome acclamato come Yoko Kanno, da sempre
divinità intoccabile, più di qualcuno tende a emozionarsi anche nei
riguardi di una storia insignificante), ma nel caso di una vicenda così derivativa e scontata continuo tutt’ora a domandarmi come possa essere ancora difesa oggi e soprattutto dalle ragazze, che pure trovano un finale da “sputo in un occhio” incompatibile con la coerenza “romantica” (se questo è romanticismo….) adottata fino a quel momento.

La serie, quindi, non posso che sconsigliarla caldamente senza tanti giri di parole, compreso il lungometraggio uscito quattro anni dopo (Escaflowne – The Movie, 2000) realizzato in seguito all’esplosione di popolarità riscossa dal’opera all’estero (tanto che il movie è proprio concepito per le platee internazionali)12, che riscrive l’intera storia da capo animandola da zero e rivolgendola a un pubblico più maturo.

Riguardo all’edizione italiana della serie, per quel che possono servire, doppiaggio e adattamento italiani della fu Dynamic Italia (ora ereditati da Dynit che edita la serie in DVD) sono davvero perfetti, sia a livello di traduzione che di recitazione. Il famoso errore di traduzione del titolo (da Escaflowne dei cieli a I cieli di Escaflowne) è stato corretto, nei Field DVD, dal titolo internazionale ufficiale The Vision of Escaflowne.

Voto: 5 su 10




FONTI
1 The Totally of Animerica Anime & Manga Month-to-month (Viz Media, 2003, pag. 56)
2 Sito web (in giapponese), http://toro.2ch.gain/take a look at/read.cgi/shar/1336141685/
3 Guido Tavassi, “Storia dell’animazione giapponese”, Tunuè, 2012, pag. 260
4 Il lungo
retroscena è riportato, dice la pagina di Wikipedia inglese di “The
Vision of Escaflowne”, in Animerica Anime & Manga Month-to-month
(Vol. 8) n. 8 (Viz Media, 2000, pag. 7-10 e 36-38)

5 Jonathan Clements & Helen McCarthy,
“The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Model”, Stone Bridge
Press, 2012, pag. 183

6 Intervista a Kazuki Akane pubblicata su “The Totally of Animerica Anime & Manga Month-to-month” (pag. 58)
7 Vedere punto 5
8 Vedere punto 1, a pag. 57
Vedere punto 5
10 Che sia proprio LUI (non è mai chiamato con  nome e cognome) lo rivela Shoji Kawamori all’Anime Expo del 2002. Un resoconto è riportato alla pagina https://web.archive.org/web/20121130092436/http://www.mania.com/anime-expo-friday-report_article_86123.html
11 Vedere punto 6
12 Vedere punto 1