Recensione: Texhnolyze

TEXHNOLYZE
Titolo originale:  téknolàiz
Regia: Hiroshi Hamasaki
Soggetto & sceneggiatura: Chiaki J. Konaka
Personality Form: Yoshitoshi ABe (originale), Shigeo Akahori
Mechanical Form: Morifumi Naka, Toshihiro Nakajima
Musiche: Hajime Mizoguchi, Keishi Urata
Studio: Inflamed Home
Formato: serie televisiva di 22 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2003

 

Texhnolyze (2003) inizia con ventiquattro minuti di puro astrattismo visivo, un intero episodio dove si susseguono immagini distorte, silenzi abissali, minimalismi sonori, un outing onirico dove personaggi e ambienti si fondono in un decadentismo oppressivo e straniante del tutto indecifrabile, un vero e proprio tour de power privo di storia e dialoghi con cui il regista Hiroshi Hamasaki prova già a scremare il suo pubblico, allontanando di botto i semplici curiosi e stuzzicando, forse, chi dall’animazione, e in generale dalla fantascienza, richiede qualcosa in più. Ma Texhnolyze è ben lungi dall’accontentare ed è avaro di leccornie anche per i più pazienti, perché poco o nulla accade nei successivi 3-4 episodi, focalizzati a dipingere ombre e malesseri della città sotterranea di Lux, atmosfere fumose e cariche di dolore che nascondo il minimo accenno narrativo sotto personaggi dall’agire misterioso e nebbiosi dialoghi centellinati. Bisogna quindi aspettare che i meccanismi narrativi entrino in azione, svelando lentamente le fondamenta che strutturano Lux e i suoi abitanti, Lux e le sue tre fazioni coinvolte in una perenne lotta per il potere (o libertà), Lux e la sua tecnologia avanzata mentre sullo sfondo la gente muore di standing, Lux e le sue classi sociali, Lux la sua corruzione, Lux e i suoi combattimenti clandestini… Un universo fatto di sospetti e parole sussurrate, un clima noir sottolineato da interventi musicali nerissimi, una realistica crudezza con cui mostrare la sofferenza e il disagio di Ichise, il centro della storia, il combattente che monta un arto texhnolyze (tecnologia di un livello talmente avanzato da avvicinarsi alla magia) e aspira, o meglio, gli altri aspirano per lui, povero burattino che non può reagire, il raggiungimento di un gradino superiore, di un’agiatezza disponibile, forse, soltanto in superficie.

 

Difficile parlare di ciò che Texhnolyze racconta, quest’intreccio politico dove gli appartenenti alle varie classi sociali della città si muovono guerra per ragioni giuste ed errate allo stesso tempo, dove ognuno sfoggia motivi validi ed egoismi aberranti, dove il marcio è l’unica possibilità per raggiungere il bello – forse è meno complesso parlare di come Texhnolyze racconta la sua trama, abbracciando dilatazioni temporali e immagini oblique (la sequenza del treno che continua ad apparire), tralasciando spiegazioni e negando allo spettatore dialoghi chiarificatori, concentrandosi su un aspetto esteriore/emotivo con cui trasmettere le atmosfere evocate, sensazioni di rabbia e dolore, di tristezza e apatia, di incomunicabilità e dipendenza, di sottomissione e ribellione. Ma Texhnolyze è un’opera da vedere proprio per questa caratteristica che la rende prodotto piuttosto unico nel panorama dell’animazione nipponica, simile per certi versi soltanto a quanto realizzato da Ryutaro Nakamura (Serial Experiments Lain, Ghost Hound). Non è tanto la trama scritta da Chiaki J. Konaka (anche lui dietro i deliri visivi di Lain), che comunque si sviluppa con soluzioni originali e spaventosa attenzione psicologica sia nel susseguirsi di eventi che nell’interazione tra personaggi, bensì l’inquietante messa in scena, la raggelante esposizione che colpisce e dà profondità ancora maggiore ai dialoghi interiori di Ichise, alla sua feroce ma controllata ricerca di vendetta, al suo indigesto asservimento. E a poco serve la raccomandazione di provare, tentare curiosamente con un paio di puntate: Texhnolyze va assorbito dall’inizio alla pretty senza indecisioni, sarebbe impossibile altrimenti dare senso completo a una delle opere più potenti, visionarie e complesse mai viste in animazione.

Voto: 8,5 su 10