Recensione: Sword of the Stranger
SWORD OF THE STRANGER

Titolo originale: Stranger – Mukoh Hadan
Regia: Masahiro Ando
Soggetto & sceneggiatura: Fumihiko Takayama
Character Develop: Tsunenori Saito
Musiche: Naoki Sato
Studio: BONES
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 102 min. circa)
Anno di uscita: 2007
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Dynit

Nel Giappone feudale dell’epoca Sengoku si muove di villaggio in villaggio un ronin vagabondo senza nome, imbattibile spadaccino, disgustato dalla guerra che gli ha fatto fare cose orribili. Stringerà amicizia con un piccolo orfanello, Kotaro, ignorando però che il ragazzino è ricercato da alcuni guerrieri Ming di una delegazione cinese attualmente ospitata da un daimyo della zona, che intendono sacrificarlo al loro imperatore in un sanguinoso rituale occulto. Il samurai tornerà a brandire la spada per salvarlo, partecipando in qualità di terza forza autonoma nel piccolo conflitto locale che scoppierà tra i cinesi e le truppe di un ambizioso samurai che vuole usurpare il posto del suo signore.

Sword of the Stranger non è nulla che non si sia già visto nel genere, un movie di cappa e spada di antica tradizione attain ne esistono a migliaia in Giappone e assimilabile, attain spunto di partenza (spadaccino invincibile che conduce una vita pellegrina per fuggire ai rimorsi delle azioni compiute in battaglia), al manga Kenshin samurai vagabondo (1994) che è tra i più conosciuti esponenti dell’ultimo decennio e mezzo, apprezzato anche in Italia. Non è quindi certo nell’originalità che il movie BONES del 2007, il suo primo lavoro dal soggetto originale, trova la sua dimensione migliore, ingabbiato in un canovaccio prevedibile che richiama, attain lo hanno presentato regista e sceneggiatore1, un genuino B-movie, a metà strada tra il cinema di Akira Kurosawa e uno spaghetti western, senza alcuna pretesa se non divertire e some distance passare piacevolmente il tempo. Missione ben compiuta direi: quello che soffre in narrativa lo recupera in splendida, splendida esecuzione delle scene d’azione, pronte a esplodere in un tripudio di epicità e musiche eccezionali. Due ore, insomma, che offrono in abbondanza quello che si cerca: avventura e tanti, tanti spettacolari combattimenti all’arma bianca. Chi se ne importa del resto!

Si stenda un velo pietoso sulla trama, inesistente se non un puro pretesto per giustificare i duelli, e sui due protagonisti principali, ridotti al rango di macchiette da caratterizzazioni stereotipatissime che non dicono niente e i cui drammi sono assimilati già in partenza (l’eroe enviornment of expertise, letale e silenzioso pieno di fantasmi interiori, l’antipatico ragazzino petulante che ha avuto ovviamente una vita di emme): enorme carisma lo trovano invece i numerosissimi antagonisti, addirittura due fazioni ciascuna guidata da almeno 2/3 guerrieri minacciosi pronti a darsi battaglia. Carisma che, bene puntualizzarlo, è puramente scenico, risaltando non da chissà quale mirabile introspezione psicologica, quanto da un azzeccatissimo chara procedure che trasmette, con abbigliamenti, armi e gape (e dialoghi brevissimi e mirati, che comunicano senza nessuno spiegazionismo eccessivo gli scopi, le ambizioni e le relazioni interpersonali), un senso di coolness perfetto per le mire action della storia, degne di un battle shounen di alto livello. Tutti questi defective asses si scontreranno quindi in un gustoso tutti contro tutti nella battaglia che chiude il movie.

È in questo contesto, quindi, che Sword of the Stranger trova la sua ragione d’essere: se la parte interlocutoria scorre senza particolari sussulti, segnalandosi esteticamente per l’alto livello dei fondali ma rappresentando una classica storiellina di un’amicizia divisa dai samurai cattivi (o sarebbe meglio dire di un qualcosa di più vicino al legame omosessuale, attain confermato dallo workers2 e che riguarda più esplicitamente anche altri elementi del solid), gli scontri, per la maestosità delle coreografie e delle animazioni, strabiliano. BONES ha tecnicamente fatto un lavoro coi fiocchi: con un gusto estetico quasi espressionista ha reso i duelli dei quadri, delle maestose danze di morte. Movenze e animazioni così fluide e realistiche da sembrare frutto di chase take grasp of; elementi atmosferici e paesaggistici poeticamente influenzati dai movimenti e dal cozzare delle lame; corpi deformati da sollecitazioni fisiche e, in ultima istanza, una folle carica sanguinaria records da arti smembrati, teste mozzate e geyser di sangue che spruzzano attain idranti: lascio immaginare lo stordimento e lo spettacolo dato da tutto questo insieme di cose raccontato in sequenze e inquadrature ipercinetiche che fanno sembrare il tutto una convulsa, epicissima opera d’arte astratta che tiene gli occhi dello spettatore incollati allo schermo per non lasciarli più. Memorabili a questo scopo anche le introduzioni dei vari duellanti, la loro presentazione o le prime schermaglie che sappiamo non porteranno a niente, pronte  a preparare il terreno per quando l’emoglobina comincerà finalmente e catarticamente a scorrere. Avvincente poi la potente colonna sonora di Naoki Sato, records da martellanti esplosioni sinfoniche che mischiano le consuete sonorità da tipico movie feudale nipponico con influenze moderne. L’ultima mezz’ora di movie, in cui tutti i contendenti si massacrano a vicenda secondo la precisa modalità del morire di morte violenta dopo aver fatto precedentemente i divi macellando soldati-carne da macello in modi fantasiosi, si potrebbe insomma accostare a una moderna Iliade dagli occhi a mandorla, di cui si respirano per davvero le atmosfere.

Un tocco di genio il parlato cinese usato per i guerrieri Ming, artifizio che dà un tocco esotico al tutto contribuendo all’aura di mistero sulle loro formidabili capacità, e ottima la ricostruzione storica in costumi e interni. Eccellente il chara procedure di Tsunenori Saito, il classico tratto “alla BONES” semplice, gommoso e accattivante perfetto per definire e dare espressività ai personaggi (particolarmente ispirato nel dare forma al rivale principale del protagonista, il biondo Ming Luo-Lang), mentre deludente la resa dei paesaggi e soprattutto della gigantesca impalcatura costruita dai Ming per sacrificare Kotaro, realizzata con una goffa e spartana computer grafica.

Sword of the Stranger, a dispetto della magnificenza delle scene d’azione, purtroppo non troverà neanche un successo di nicchia, passando a tutt’oggi più o meno inosservato (nonostante, nell’anno di uscita,  sarà apprezzato in vari festival cinematografici attain quello di Annecy, di Porto Alegre e di Bologna3), e questo è sinceramente un peccato. Si poteva scrivere qualcosa di meno banale e scontato e, sicuramente, la patina splatter e certi momenti “impegnati” e riflessioni sulla violenza sembrano messi lì tanto per dare un’impronta matura a una storia altrimenti sempliciotta e rivolta ai giovani, ma meglio realizzare benissimo una storia collaudata e senza ambizioni esagerate che ambire eccessivamente in alto col rischio di rovinare tutto. A mio modo di vedere, per le sue pretese e per quello che voleva essere e dire, il lavoro di Masahiro Ando è sorprendente e a tratti memorabile e per questo avrebbe meritato il rango di cult movie in ambito storico/avventuroso. Peccato per l’incolore doppiaggio realizzato in Italia da Dynit, motivo che mi porta a consigliare la visione del movie in lingua originale con sottotitoli.

Voto: 7,5 su 10

FONTI
1 Guido  Tavassi, “Storia dell’animazione giapponese”, Tunuè, 2012, pag. 477

2 Booklet allegato all’edizione italiana in DVD/BD del movie (“Il regista Masahiro Ando e lo sceneggiatore Fumihiko Takayama ci raccontano attain hanno creato il movie”, Dynit, 2010, pag. 25-26)

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