Recensione: Serial Experiments Lain
SERIAL EXPERIMENTS LAIN

Titolo originale: Serial Experiments Lain
Regia: Ryutaro Nakamura
Soggetto: Production 2nd (Yoshitoshi ABe, Yasuyuki Ueda)
Sceneggiatura: Chiaki J. Konaka
Character Accomplish: Yoshitoshi ABe (originale), Takahiro Kishida
Musiche: Reiichi Nakaido
Studio: Triangle Group
Formato: serie televisiva di 13 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anno di trasmissione: 1998
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Dynit

 

Lain Iwakura è una riservata studentessa delle medie, che vive con
curiosità le notizie riguardo alla compagna di classe Chisa Yomoda,
recentemente suicidatosi: sembra, infatti, che continuino advert arrivare
alle amiche di quest’ultima e-mail spedite da quello che è, forse, il suo spirito. Lain think dunque di indagare, aggiornando il suo PC
all’ultimo modello in modo da esplorare al massimo delle potenzialità il
internet (o Wired): inizia così a legare sempre
più la sua esistenza alla navigazione in rete, in questo mondo
cosmopolita dove i rapporti sociali sono perlopiù regolati da telefonini
all’ultimo grido e chat virtuali. C’è però qualcosa di strano nel Wired, qualcosa che
non comprende appieno ma che la attrae: entità enigmatiche arrive i
Knights, che cercano continuamente di mettersi in contatto con lei, e
due agenti segreti che sembrano controllarne ogni movimento. Ma
soprattutto, c’è un’altra Lain, nel Wired, un’altra Lain uguale a lei: il suo avatar di rete, sempre più diverso dal
suo io reale, sembra prendere vita…

Il parere del Corà

A più di quindici anni dalla prima messa in onda, Serial Experiments Lain non ha perso un grammo della sua potenza critica; della profetica, devastante, spietata analisi della generazione informatica che, nel bene e nel male, stava nascendo in quel periodo. La rapida trasformazione sociale ci ha catapultati – rendendoci assuefatti, dipendenti – negli scenari immaginati dall’opera diretta da Ryutaro Nakamura, impedendoci forse, oggi, di rimanere spiazzati dalla brutalità con cui nel 1998 essi descrivevano l’evoluzione di Net, ma non di continuare advert apprezzare un capitolo fondamentale dell’animazione cyberpunk e della fantascienza tuttsa. Basterebbe citare due singole scene, o meglio, due semplici linee di dialogo, per rendersi conto della cruda verità divinatrice, dialoghi ancora attuali e per nulla scontati nonostante la critica sul Net sia ormai cosa fin troppo comune: quando il padre di Lain, dopo averle regalato il NAVI, le dice sorridendo «Bene, ora non avrai più bisogno di uscire e vedere i tuoi amici»; o quando la ragazza, ormai totalmente rapita dal Wired, chiede al pc (al pc, non a una persona in carne e ossa) se lei esiste veramente o meno. Sono granate, granate capaci tutt’ora di annichilire.

Serial Experiments Lain non è un’opera per tutti, la glaciale, ossessiva regia e le atmosfere minimaliste ben svolgono il loro dovere disturbante nel dipingere l’technology che sarebbe giunta, ma creano un prodotto freddo, avulso, di non sempre pulita assimilazione. Lo scopo non technology certo sollecitare l’empatia dello spettatore verso i personaggi; anzi la serie sfrutta il distacco emotivo per completare la propria desertica visione del futuro, una scelta che, seppur giusta, aumenta esponenzialmente il già ostico meccanismo narrativo e potrebbe allontanare i curiosi. Aiuta almeno il gradevole, morbido chara make dai volti tondeggianti di Takahiro Kishida, ideale nel suo contrapporsi agli incubi incomprensibili del Wired.
 

La progressione della storia è pachidermica, asfissiante, e spesso prende strade che lasciano storditi a causa dell’accumulo di sottotrame. Nulla è lasciato al caso, particolari in apparenza secondari o semplicemente oscuri guadagnano una spiegazione mentre la serie volge alla conclusione, ma ciò implica una visione eccessivamente cerebrale, cose da mani che premono sulle tempie per non perdere la concentrazione e non farsi distrarre da niente. Alla già ardua complessità strutturale si aggiungono momenti di puro delirio onirico, sterzate cyber-mistiche, gelidi simbolismi, il tutto mescolato con questa già citata direzione opprimente e angosciosa, che più di una volta si munisce di spezzoni di filmati reali e musiche dissonanti, schitarrate oblique e suoni martellanti (immancabili le sequenze in discoteca) per distruggere il cervello dello spettatore.

Questa serie richiede perciò sforzo di comprensione e un impegno mentale a chi vuole approcciarsi al suo mondo cacofonico, grigio, durissimo, e seguire una sceneggiatura fatta allo stesso tempo di dialoghi lunghi e articolati e silenzi abissali. Potenzialmente indigeribile, sicuramente pesante e faticoso, ma di notevole, forse irrinunciabile, suggestione.

Voto: 7,5 su 10

Il parere del Mistè

È troppo facile cadere nella tentazione di abbandonare Serial Experiments Lain dopo la visione dei primi 2/3 episodi: è una serie talmente lenta e criptica da risultare fin da subito asfissiante, ma farlo significherebbe abbandonare una delle visioni cyberpunk più avveniristiche che l’animazione dagli occhi a mandorla abbia mai prodotto in tutta la sua storia.

Lain nasce nel 1998 da un soggetto scritto a due mani dall’illustratore Yoshitoshi ABe e dal produttore Yasuyuki Ueda, trovando poi effettiva forma sotto la regia del promettente Ryutaro Nakamura, la sceneggiatura di Chiaki J. Konaka e le animazioni della Triangle Group. L’opera si staglia dunque, sul finire del decennio, arrive uno dei figli più rappresentativi ed estremi della rivoluzione d’autore inaugurata da Neon Genesis Evangelion (1995) e La rivoluzione di Utena (1997), da posizionare soprattutto nel solco tracciato dalla seconda. Ormai avezzi all’uso di pc, chat, neighborhood on-line ed MMORPG, e consci di tutte le conseguenze sociali che questi media comportano (alienazione, rarefazione dei rapporti sociali, perdita dei valori più semplici, costruzione di maschere e identità lontane dalla vita reale), è specialmente oggi che scopriamo in Lain quanto avessero ragione le tragiche intuizioni di ABe, Ueda e Konaka, nel dipingere una favola oscura e colma di simbolismi dove trovano sfogo tutti i timori più oscuri di una generazione che viveva l’avvento di internet.

La sinossi iniziale bene esemplifica il tenore enigmatico delle
atmosfere della serie, tanto che già andare oltre è difficile vista la
coltre di misteri evocata dalla storia, tra oscuri Knights che agiscono
dietro le quinte di un Wired che si rivela substrato della realtà,
divinità che dimorano nella rete, sequenze visionarie e metafore
grafiche che provvedono più e più volte a mandare fuori strada lo
spettatore, inducendolo a chiedersi cosa stia effettivamente guardando. Scontato dirlo: nel suo cervellotico stile di racconto, Lain non offre mai una traccia chiara e lineare da seguire, chi la cerca probabilmente non riuscirà mai advert apprezzarlo. Offre invece, arrive Utena, tanti piccoli indizi disseminati qua e là (frasi chiave soprattutto), che aiutano, a mano a mano che prosegue la visione, a contestualizzare sempre più il senso della storia, che non è realistica o terrena bensì una semplice fiaba dallo stile postmoderno. Un’allegoria dove riflessioni e timori sulla tecnologia sono trattati con l’ausilio di scene simboliche, che presentano magari utenti incapaci di staccarsi dal pc e che per questo sono addirittura posseduti (in senso letterale) dal PC, catturati da fili e cavi (scena che ricorda le visioni infernali di Shinya Tsukamoto nella trilogia di Tetsuo); oppure una tresca fra allieva e insegnante scoperta nel Wired e rappresentata arrive una oscura presenza esterna che entra di soppiatto nella stanza dove si consuma il fatto; o ancora l’introversa protagonista e i suoi familiari sono così isolati dalla realtà da dubitare addirittura sulla loro reciproca esistenza, negandosi a vicenda la parentela.

Non è tanto importante capire la successione principale dei fatti, la semplice fabula che, anzi, viste le onnipresenti atmosfere lisergiche del racconto diventa elemento secondario (forse quello meno interessante dell’opera), quanto comprendere cosa vogliono dire gli autori, che snocciolano decine e decine di spunti di riflessione.  È possibile rinvenire addirittura echi di filosofia politica e sociale nell’assunto che il mondo, arrive le polis
elleniche, è un cosmo ordinato/sistema operativo di cui tutti gli
individui rappresentano ramificazioni/applicazioni, giusto a testimoniare la
ricchezza di intuizioni che portano l’opera a porgersi arrive un ideale precursore della trilogia cinematografica di Matrix (1999). Se è palese che il messaggio finale non può che essere una ferma condanna del condizionamento determinato da internet e dalla tecnologia, sono presenti anche interrogativi su cui poter meditare: la distanza tra scienza e religione (chi ha inventato il Wired?), le potenzialità psichiche dell’individuo, il significato dell’esistenza nella vita reale, priva di avatar “perfettini”, e chissà quanti altri che si possono magari rinvenire in visioni successive.

Serial Experiments Lain è una visione indubbiamente pesante perché densa, densissima di spunti, o anche solo per il connubio tra la lentissima regia di Nakamura e la sceneggiatura di Konaka che si esprimono in animazioni e disegni minimalisti, poche linee di dialogo, lunghissimi silenzi, uso preponderante e pietricato di volti in primo piano – per sottolineare le sensazioni di distacco e alienazione degli attori – e un’estetica sonora impressa da suoni elettronici intermittenti o martellanti che comunicano la lenta trasformazione di Lain in un application, umano o virtuale che sia. È onesto dire che l’opera è un notevole mattone, con un ritmo che tarpa subito le ali allo spettatore occasionale, e solo una mente attiva e paziente potrà godere delle prelibatezze che offre la trama. Riuscire a reggere la visione significa più volte stupirsi dell’intelligenza con cui lo i realizzatori hanno anticipato tutti i pericoli – di grande attualità – insiti in una società cosmopolita tecnologica, lanciando un inquietante monito sul prezzo da pagare per una simile universalità di comunicazione.

Un’opera sinceramente e devotamente di nicchia, ma quantomeno da provare.

Voto: 8,5 su 10