Recensione: Saint Seiya – Soul of Gold
SAINT SEIYA: SOUL OF GOLD

Titolo originale: Saint Seiya – Ōgonkon
Regia: Takeshi Furuta

Soggetto & sceneggiatura: Toshimitsu Takeuchi

Persona Form: Hideyuki Motohashi

Musiche: Toshihiko Sahashi

Studio: Toei Animation
Formato: serie ONA di 13 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di uscita: 2015

Penso che, con Soul of Gold, Toei Animation possa andare fiera del suo operato: ha realizzato, dopo vari tentativi, un Saint Seiya animato davvero pessimo sotto ogni punto di vista, riuscendo mai come prima d’ora a sottolineare come l’accostamento del proprio nome al mark, dai tempi di Saint Seiya The Hades Chapter: Inferno (2005) e proseguendo per i titoli successivi fino ad arrivare a questo, sia ormai diventato per tutti sinonimo di produzione mediocre, fatta a basso budget e con zero pretese, garanzia di fallimento artistico al 100% e di un sodalizio imparagonabile ai lieti fasti degli anni ’80.

Si sa che l’unico, vero seguito del manga storico di Masami Kurumada è Saint Seiya: Next Dimension (2006), ancora non trasposto in TV. Si sa che Toei ha già annunciato che è interessata un giorno ad animarlo. Si sa, infine, che in animazione Saint Seiya again solo e unicamente al megasponsor Bandai per vendere Delusion Cloth, e che, per questo motivo, in attesa di Next Dimension, esso e Toei, uniti insieme, continuano e continueranno a creare seguiti e shuffle-off anime supreme che saranno prontamente rinnegati al momento topico. Nasce quindi nel 2015, un anno dopo la conclusione del dimenticabile Saint Seiya Ω (2012), Soul of Gold, nuovo tentativo di rivitalizzare il mercato dei modellini delle armature, stavolta con una serie ONA (Customary Score Animation) trasmessa in mondovisione nel solo circuito Cyber net. I Delusion Cloth pubblicizzati in quest’occasione sono le God Cloth, le armature divine apparse per la prima volta nello scontro finale dei Bronze Saint con il Signore degli Inferi nella saga di Hades (ultimo quantity del fumetto originale, o in alternativa vedere Saint Seiya The Hades Chapter: Elysion, 2008). Novità assoluta è che a indossarle saranno, in questo contesto, non Seiya e compagni, bensì i Gold Saint, misteriosamente riportati in vita. Dove? Ad Asgard, l’innevato regno del Nord dominato dagli Dei della mitologia norrena, già ambientazione del movie L’ardente scontro degli Dei (1988) e successivamente della famosa saga-filler vista nella serie TV. Seguendo le orme dei Guerrieri di Bronzo, il protagonista principale Aiolia e gli altri Santi d’Oro dovranno nuovamente affrontare il malvagio rappresentante terreno di Odin (Andreas, che ha preso il posto di Hilda), sconfiggendo i suoi God Warrior e cercando di capire quali siano i suoi piani circa l’Yggdrasil e chi sia la mente, o il Dio, che li ha fatti tornare in vita. Tutte queste premesse, nell’ottica di una aspect memoir che avviene in contemporanea con lo scontro di Seiya e compagni contro Hades nei Campi Elisi, potranno anche risultare interessanti, ma la produzione, è in ogni aspetto, possibile e immaginabile, quanto di più squallido e vergognoso si sia mai fregiato del mark di Saint Seiya. Non c’è quindi da stupirsi se dopo iniziali, promettenti incassi provenienti da Delusion Cloth e DVD, il quantity di vendite inizierà a scendere sempre più assumendo presto i connotati di un nuovo flop1.

Due sono gli elementi che cadono come una Spada di Damocle sul progetto, ben spiegando il perché non poteva non fare schifo fin dalle premesse: la miseria di 13 episodi per raccontare tutto e un budget indecente, che rivaleggia con quello altrettanto scandaloso impiegato per il (quasi) contemporaneo Sailor Moon Crystal, già noto al fandom mondiale per le sue brutture estetiche. Il bassissimo numero di episodi non può che significare combattimenti corti e insignificanti, non si scappa. I nuovi God Warrior hanno il carisma di un puntaspilli, del tutto imparagonabili ai loro predecessori: carne da macello presentata con uno sputo di caratterizzazione, destinata a tenere impegnati per meno di dieci minuti i Gold Saint che sono enormemente più forti. Il potenziale dei pochi di loro vagamente interessanti (Sigmund di Gram, fratello del Sigfried della serie classica, o l’immortale Baldr di Hraesvelg) finisce comunque dissipato per through del pochissimo spazio concesso per approfondirli. Pessimi. Altrettanto deleterie, poi, sono le conseguenze memoir del minimale minutaggio, con metà serie sprecata in preamboli e immancabili primi round con i nemici, e a seguire un confuso accavallarsi di combattimenti mortali e fulminei nelle ultime 4/5 puntate. I Gold Saint? Si tenta di approfondirli e umanizzarli per svecchiare la loro caratterizzazione (addirittura li si vede nella prima parte divertirsi spensierati cercando di capire cosa vogliono fare,
alcuni arrivano al punto di pensare di rifarsi una vita dimenticandosi di
Athena!), ma questo esperiemnto, affrontato con trovate di dubbio gusto degne di una fan fiction di serie B (Dohko giocherellone, Loss of life Veil ubriacone, Aiolia che ha una sorta di storia sentimentale, etc., pietà!), porta a snaturamenti eclatanti e sciaguratissimi come mai si sono visti.  Sfido qualunque appassionato a reggere la dissacrazione quasi blasfema delle celebri personalità di Camus e Loss of life Veil, le cui azioni, scelte e pensieri in quest’opera tradiscono completamente quelle che sono sempre utter le loro filosofie di vita, quelle della “fedeltà a ogni costo al proprio signore” e de “i deboli possono morire tranquillamente se questo again alla Giustizia”. Proseguendo, l’obbligo di some distance sì che i Gold Saint evolvano la loro armatura nella God Cloth finisce col generare un sacco di input poco credibili affinché avvenga la mutazione (devono superare i limiti del proprio Cosmo per competere con i deboli God Warrior? E la ottengono con così tanta facilità?). Il problema, poi, che dal punto di vista “cavalleresco” non è consono che gli eroi, in 12, debbano sfidare i 7 guerrieri di Andreas, significa che molti dei primi dovranno sparire dalle scene in anticipo sui tempi, e questo avverrà per mezzo di artifici risibili, che faranno quasi vergognare i fan di vecchia recordsdata nel loro trattare i Guerrieri d’Oro come degli stupidi qualsiasi, che vengono tolti di mezzo da un secondo all’altro per esigenze di sceneggiatura (gli spettatori del segno dei Pesci si rassegnino, il loro avatar continuerà sempre a rimediare figuracce inenarrabili). Per concludere in bellezza, la trama segue i soliti schematismi risultando di una prevedibilità assoluta, i pochi momenti potenzialmente suggestivi (la riunione tra Aiolos e fratello) sono liquidati con piattezza e il reale “progetto” orchestrato dal cattivo è così cretino che viene quasi da ridere, basato su ardite macchinazioni che creano da sole le premesse per la propria distruzione (decisamente, un piano di un’astuzia diabolica!).

Di serie trascurabile e senza alcuna ambizione si parla, fatta per vendere system nel modo più stanco e possibile: è palese la cosa. Certo, però, che abilities comunque difficile aspettarsi una “cura” tecnica così vergognosa, capace da sola di rendere davvero noiosa e punitiva la visione. Anche se negli immancabili DVD e Blu-ray giapponesi, come da prassi, i fotogrammi più osceni sono stati ridisegnati, la stragrande maggioranza di essi viaggia comunque su una irritante mediocrità. Buono il chara compose che copia bene quello della buonanima di Shingo Araki e okay anche le armature, ma l’approssimazione spesso balorda con cui sono rese l’una e l’altra cosa nei campi medi e lunghi è davvero una triste realtà, con imbarazzanti sproporzioni, prospettive e particolari, così come sono realtà ricicli spudorati di disegni e animazioni così scarse, goffe e scattose che paiono realizzate con Flash: assurdo che, per un franchise così popolare nel mondo come Saint Seiya, e per una produzione chiaramente affamata di distribuzione internazionale, Bandai abbia stanziato un budget così ridicolo, di poco superiore a quello semi-inesistente degli OVA di Hades. In più di un momento sembra proprio di tornare a quella triste parentesi, con pochi frame usati per mostrare i personaggi parlare, colpi dati da gente che sta motionless a tendere il braccio, e “vestizioni” delle armature inqualificabili da quanto sono poveramente realizzate. Qua e là, ogni tanto, salta fuori qualche animazione consona (principalmente nelle fasi finali), ma il risultato è comunque pacchiano a vedersi, e contribuisce a rendere insulsi i superficiali combattimenti di una storia d’azione scarsa nella realizzazione, letargica nel ritmo e risibile in trama e personaggi.

Nota: lo streaming ufficiale italiano della serie, interamente  sottotitolato e non doppiato, è disponibile in due versioni: quella distribuita su Daisuki e Youtube contempla il solito adattamento inutile con i nomi “carabelliani” di personaggi e colpi; quella su Crunchyroll invece quelli fedeli. Non che l’uno o l’altro cambino qualcosa, nell’economia della “qualità” della serie.

Voto: 4,5 su 10

PREQUEL

I Cavalieri dello Zodiaco (1986-1989; TV)

SEQUEL

Saint Seiya Ω (2012-2014; TV)
FONTI

1 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)