Recensione: Ryu il ragazzo delle caverne
RYU IL RAGAZZO DELLE CAVERNE

Titolo originale: Genshi Shonen Ryu
Regia: Masayuki Akihi
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Shotaro Ishinomori)

Sceneggiatura: Tadashi Kondo, Hirokazu Fuse, Kuniaki Oshikawa

Character Make: Kazuo Komatsubara

Musiche: Jun Ohshio

Studio: Toei Animation

Formato: serie televisiva di 22 episodi (durata ep. 25 min. circa)
Anni di trasmissione: 1971 – 1972

  


Sacrificato dalla sua tribù al
mostruoso tirannosauro Tirano, visto l’inaccettabile colore bianco della
sua pelle, il tenero Ryu è salvato e portato by strategy of da una scimmia, Kitty,
che lo alleva come fosse il suo cucciolo. Molti anni dopo, cresciuto,
il ragazzo si ritrova nuovamente da solo quando anche il suo genitore
adottivo viene divorato dal mostruoso rettile. Reflect quindi di andare
alla ricerca della sua vera madre e nel viaggio gli si unisce presto la
bella Ran, quest’ultima invece intenzionata a ritrovare il fratellino
scomparso, Don, da cui è stata separata diversi anni prima. Nel corso
della loro avventure i due dovranno affrontare sia Tirano che il
cacciatore Taka, innamorato di Ran e intenzionato a uccidere Ryu.

Parlare del manga Genshi Shounen Ryu (1971, Ryu il ragazzo delle caverne
in Italia) significa riaprire una ferita al cuore a chiunque, come chi
scrive, ama il mondo del fumetto giapponese: si tratta del capitolo
intermedio di una trilogia cartacea, comprensiva de La Strada di Ryu (1969) e Il Mondo di Ryu (1975), che in Giappone è considerata tra i massimi capisaldi della letteratura disegnata. La Trilogia di Ryu
è un’epica saga avventurosa/fantascientifica, disegnata negli anni ’70
dal Re dei manga Shotaro Ishinomori, dove si intrecciano futuro, passato
e presente, faraway epoche gentle e avveniristici macchinari della
scomparsa civilità di Atlantide, accumunati dalle vicissitudini di un
giovane ragazzo – il Ryu del titolo – protagonista assoluto, suo
malgrado, in tutti e tre gli scenari (reincarnazione? discendenti? cloni? Non lo sapremo mai). Le avventure di Ryu costituiscono una grande epopea avventurosa, messa in risalto da una poesia e un senso di meraviglia che faranno spesso accostare il fumetto, da critica e pubblico giapponesi, al capolavoro di Osamu Tezuka per eccellenza, La Fenice.
Quella di Ryu è, insomma, una saga solenne e fondamentale, di cui noi italiani possiamo
assaporare, ahinoi, giusto un antipasto, visto che la chiusura della casa editrice d/visual segna anche l’interruzione della pubblicazione di La Strada di Ryu (il capitolo del futuro), lasciandoci completo solamente Ryu il ragazzo delle caverne (quello del passato).
A fronte di una simile, irreparabile disfatta (non c’è proprio sentore di una possibile riedizione del fumetto da parte di una qualunque casa editrice italiana), tanto vale sperare di dimenticarsi tutto e provare a godersi per quello che è la versione animata di quest’ultimo, 
realizzata nel 1971 da Toei Animation quasi in concomitanza con la
serializzazione del manga originale.

Vista l’assenza, purtroppo, di una
trasposizione animata anche della precedente Strada di Ryu,
che spiegava più in dettaglio come le apparecchiature di Atlantide
abbiano permesso a umani e dinosauri di convivere nell’insolito Giurassico raffigurato in Ryu il ragazzo delle caverne, gli
sceneggiatori dell’epoca decidono di lasciare l’incongruenza senza
spiegazioni, eliminando i riferimenti atlantidei e trattando in modo
diverso le figure della madre del protagonista (figura chiave nella spiegazione del tutto) e del perfido cacciatore Taka, riscrivendo
completamente l’intreccio per riadattarlo a una solida storia avventurosa senza implicazioni fantascientifiche, per presentare così uno sviluppo che culmina in un finale diverso, del tutto chiuso e che funzioni anche da solo. Nonostante i numerosi
tradimenti, il risultato non è assolutamente da disprezzare.

Il Ryu televisivo mantiene intatto, anche a distanza di ormai quarant’anni, il suo fascino, dato dall’intrigante background preistorico dove minacciosi dinosauri, tigri dai denti a sciabola, vulcani in eruzione, terremoti, ghiacciai che si sciolgono, piante carnivore e fanatici superstiziosi rappresentano i pericoli che Ryu e Ran devono di volta in volta superare per proseguire il loro viaggio: parliamo di una visione perfettamente disimpegnata che riesce a essere sempre coinvolgente grazie alla sua gustosa costruzione avventurosa. Si apprezzano, in Ryu, la rilettura preistorica del mito di Moby Dick (presto l’eroe conosce un amico, Kiba, ossessionato dall’idea di
uccidere Tirano, che diventa così vero e proprio villain della serie
apparendo più e più volte per sbranare gli eroi), così come il suo affrontare tematiche insolitamente adulte visto il target dell’opera. Ad esempio il tema del razzismo, vividamente rappresentato da tutti i problemi che deve quotidianamente affrontare Ryu per il colore chiaro della sua pelle; a quello dell’ignoranza e della religione che spesso sconfinano nella superstizione e nella violenza; o anche a quello, non meno importante, del rispetto delle regole della natura. Nel mondo selvaggio di Ryu, lontano da certi vagiti vegetariani, ogni essere vivente segue i dettami della scala alimentare, la morte dei deboli diventa pratica crudele ma necessaria per garantirsi il proprio sostentamento: l’importante è onorare la preda, cacciarla solo per sopravvivere e ringraziarla per il suo sacrificio. Sono messaggi che forse oggi suonano banali, ma nella loro semplicità e onestà sanno colpire molto a fondo, forse ancor più che in opere espressamente devote a questi argomenti. Impossibile poi dimenticare in Ryu, oltre ai suoi messaggi educativi, anche la genuina empatia che si instaura tra spettatore e protagonista: come lui ci si innamora molto facilmente della bella, dolcissima e paziente Ran che lo accompagna, condividendo in particolar modo le sue sofferenze nei momenti in cui lei è rapita e sparisce temporaneamente dalle scene. Questi sono tutti grandi elementi che attestano il carisma della serie rendendo la visione di ogni episodio piacevolissima, a discapito del gran numero di ingenuità che, ovviamente, sono del tutto plausibili vista l’epoca di realizzazione dell’anime.

Inevitabili, quindi, leggerezze come dialoghi e terminologie “moderne” incompatibili con l’epoca di ambientazione della storia, come Ran che prega un non meglio precisato Dio secondo i rituali cristiani o l’assurda capacità degli eroi di sapere sempre dove dirigersi per cercare i loro parenti, come se sapessero esattamente dove si trovano. Si può citare anche il fatto che Ryu e Ran sono sempre raggiunti da Tirano e Taka secondo la concezione del “mondo davvero piccolo”, e al contempo è inspiegabile l’ostinazione di quest’ultimo nel voler uccidere l’eroe al costo di percorrere centinaia e centinaia di km pur di raggiungerlo, per la sola colpa del ragazzo di essere bianco come gli appartenenti di una tribù che decine di anni prima avevano depredato il suo villaggio, e l’essere stato scelto da Ran come compagno per la vita. Motivazione ben poco plausibile che si inserisce nel quadro di leggerezze di cui è costellata l’opera, ma nonostante questo ci si diverte molto con Ryu, anche se basato quasi unicamente su episodi riempitivi, anche se la storia principale si costruisce in appena 5/6 episodi totali e il finale è banale e privo di sorprese, esattamente come ci si aspetta. L’importante è che i riempitivi siano scritti bene e non ci si annoi mai, presupposti sempre adempiuti.

Graficamente si può ben dire che Ryu risenta dell’influsso benefico del suo chara dressmaker, l’eccezionale Kazuo Komatsubara, fondatore nel 1970 dello studio Oh! Manufacturing appaltato da Toei per quest’opera e qui al debutto assoluto in memoir mansione. I già piacevoli disegni del manga di Ishinomori sono ulteriormente abbelliti dal suo tratto, già estremamente personale e definito, che scolpisce figure virili come Ryu e Kiba e ritratti di bellezza inaudita come la stupenda Ran, pronti a splendere grazie a colori saturi e a renderlo tra i più famosi artisti dell’animazione del decennio, insieme a Shingo Araki e Akio Sugino. Impeccabili anche i fondali di Mataharu Urata realizzati col painting knife1, splendidi quadri ispirati all’Impressionismo e dalle fortissime tonalità rosse, blu e verdi dove si stagliano con vigore gli attori. Meravigliosi come sono, bastano anche solo disegni e fondali a rappresentare un fondamentale motivo di visione per i cultori dei grandi nomi dell’animazione. Piacevolissima la opening western che apre ogni episodio, mentre assai controversa – ma non potrebbe essere altrimenti – la confezione tecnica. Opera del 1971, Ryu ovviamente è tecnicamente molto grezzo e condivide un po’ tutti i problemi di quegli anni per quel che riguarda funds limitati, con i dialoghi dati dai semplici movimenti delle bocche dei personaggi e frequenti scene d’azione basate sulla ripetizione ossessiva di animazioni minimaliste unite a rapidissime carrellate e zoomate su volti degli attori per suggerire la sensazione di velocità e mascherare la staticità dell’azione. Le animazioni sono, insomma, per rimanere in tema, “gentle” e artigianali, ma fortunatamente il bell’aspetto grafico impreziosisce l’opera e sposta l’attenzione generale su di lui.

Per quanto ingenuo, semplicistico e rielaborazione televisiva di un manga infinitamente superiore, Ryu il ragazzo delle caverne, in definitiva, è una pregevole serie avventurosa, apprezzabile anche dagli smaliziati spettatori moderni. Pur condividendo tutti i problemi di natura tecnica di quegli anni, può vantare un buon aspetto grafico e un’intrigante suggestione, che hanno un loro carisma e portano la produzione a essere invecchiata e decisamente meglio rispetto a tanti altri “colleghi”. Non è certo una signora opera da consigliare spassionatamente, ma se qualcuno ha il desiderio di fare un salto in un improbabile giurassico, pieno di lucertoloni, magma e uomini che si vestono con pelle d’animale, ha a disposizione una buona scelta.

Nota: l’opera è distribuita in Italia da Yamato Video in un cofanetto DVD, con l’audio basato sul classico doppiaggio storico del 1979. La cronica assenza di sottotitoli fedeli per godere dei dialoghi originali porta chi scrive a sconsigliare l’acquisto.

Voto: 7 su 10

FONTI
1 Mangazine n. 21, Granata Press, 1993, pag. 39