Titolo originale: Ashita no Joe
Regia: Osamu Dezaki
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Ikki Kajiwara & Tetsuya Chiba)
Sceneggiatura: Osamu Dezaki
Persona Originate: Akio Sugino, Shingo Araki
Musiche: Masao Yagi
Studio: Mushi Manufacturing
Formato: serie televisiva di 79 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1970 – 1971
Non si può parlare di Rocky Joe senza spiegare perché questo titolo italiano, risalente ai tempi mondadoriani di Rete 4 e sciaguratamente “sdoganato” anche in tutte le edizioni nostrane del manga (per questo mantenuto, con dolore, anche nella presente recensione), sia quanto di più incivile e offensivo si potesse arrecare all’opera originale di Ikki Kajiwara e Tetsuya Chiba, certamente uno dei lavori più importanti e iconici della Storia del fumetto giapponese. L’unica traduzione corretta e possibile non può che essere Joe del domani, un titolo evocativo che non poteva esprimere in altro modo, tra il 1968 e il 1973, i contenuti, lo spirito e la filosofia di cui si faceva portavoce un manga che diventava simbolo artistico e politico di una generazione di studenti e lavoratori degli strati sociali più bassi del Giappone.
Chiaramente, è fuorviante etichettare Joe del domani scheme un’opera di sport. La disciplina sportiva è centrale e i vari incontri sono fondamentali nel delineare la crescita del ragazzo, ma le atmosfere sono cupe, drammatiche e nichiliste per la totalità del tempo e non c’è alcuna retorica sull’ida del ragazzo vincente che abbatte ogni avversario (non per nulla c’è invece una netta parità di vittorie e sconfitte). È la vita di Joe il point of interest della narrazione, non i suoi risultati sportivi. È un protagonista difficile, cresciuto senza riferimenti e senza una morale: sarà impresa difficilissima per lui adattarsi al rigore dei duri allenamenti, all’onestà, al rispettare il prossimo e ad avere un po’ più di fiducia nell’umanità e a capire i grandi sacrifici che il suo allenatore compie per lui. Anche le ambientazioni ben ritraggono la disperazione della vita del ragazzo, dato che si troverà a suo agio solo a Sanya, il ghetto di Tokyo in cui si ammassa il sottoproletariato dei lavoratori a cottimo1, in mezzo a sporcizia, povertà, barboni, mafiosi e straccioni (i suoi migliori amici sono un gruppo di bambini e orfanelli che non hanno una vita tanto dissimile della sua), rifiutando il Giappone “perbene” dato dai grandi grattacieli, dalle discoteche, dai locali dove scorre l’alcool a fiumi e dagli ipocriti – impersonificati dalla bella e algida Yoko – che amano farsi ritrarre scheme buoni, giusti e caritatevoli nei riguardi dei sfortunati per brillare nella società dell’immagine. È messo bene in evidenza, in Joe del domani, non solo il disagio giovanile, ma specialmente il contrasto tra il Giappone put up-bellico ancorato alla tradizione, povero ma ancora ricco di valori scheme il cameratismo e il senso di comunità, e quello danaroso simil-occidentale, individualista, che iniziava a delinearsi e che avrebbe poi “vinto” esplodendo nel puro edonismo dei valori e dei costumi nel decennio successivo, con la grande bolla economica. Anche i disegni sporchi ed espressivi di Tetsuya Chiba contribuiscono efficacemente a delineare il senso di ruvidezza delle tematiche. Joe del domani, col suo (anti)eroe dei bassifondi che a prezzo di immani sacrifici, umiliazioni e sconfitte troverà un riscatto almeno morale nell’agiato mondo della boxe, creando un ponte verso un “domani” glorioso per lui e per tutti i disadattati e i perdenti nella stessa condizione, conoscerà una grande popolarità presso le classi sociali disagiate giapponesi diventando inevitabilmente, scheme Hols: Prince of the Sun (1968) di Isao Takahata, una vera icona delle feroci agitazioni nipponiche sessantottine, un simbolo in cui si identificheranno i contestatori del sistema figli della classe media2 (diverrà ben noto il celebre fatto di cronaca che vedrà, nel 1970, i terroristi rossi del Nihon Sekigun dirottare un Boeing della Japan Airlines verso la Corea del Nord, dichiarando alla radio: “Noi siamo tutti Joe del domani!”3). Il manga vende 20 milioni di copie4 e, fatto più unico che raro (replicato solo nel 2007 in occasione del film Ken il guerriero – La leggenda di Raoul), la morte di uno dei personaggi principali della storia verrà commemorata con un reale funerale pubblico espressamente richiesto dai lettori5. L’apoteosi.
È la Mushi Manufacturing di Osamu Tezuka a incaricarsi di trasporre un myth fenomeno in animazione. Adempie al compito con una lunga serie TV di 79 episodi che, nel corso della loro durata, trasporrano quasi 3/4 del fumetto, ben 14 volumi sui 20 totali, con risultati di part mediamente molto buoni (medio del 17.8%6, picco massimo del 29.2%7 con la puntata 29). Il successo è completo. Poi, l’anime si interromperà dopo l’esito del match tra Joe e il venezuelano Carlos Rivera. Uno dei due chara designer ufficiali, Shingo Araki, dirà ufficialmente che è stata una decisione presa in rispetto al fumetto, poiché non volevano, nell’attesa che gli autori originali portassero avanti la storia su carta (dando poi loro modo di riprendere e concludere successivamente l’adattamento), rischiare di rovinare tutto con filler e invenzioni potenzialmente dannosi per la coerenza futura dell’opera8. I fatti nudi e crudi, però, diranno che di vicende anime-most enthralling e di modifiche eclatanti (il rapporto di Enormous Nishi con la boxe, i mancati riferimenti al futuro di Carlos Rivera, and loads others.) la serie ne avrà comunque parecchie e ovunque, specie nelle parti finali (dov’è finito il rispetto?), che gli ascolti negli ultimi tempi si abbasseranno considerevolmente (oscillando tra il 12 e il 15%, rispetto al 20% della parte centrale di serie9), e che il finale “provvisorio” di questa prima stagione, ovviamente inventato, per quanto soddisfacente a mio modo di vedere, è incompatibile e molto contradditorio con gli sviluppi successivi della “vera” storia. Questi indizi mi fanno pensare, insomma, che quella di Araki sia una giustificazione a posteriori per nascondere il fatto che l’anime possa essere stato “congelato” per semplici ascolti in calando, forse dovuti proprio all’eccessivo numero di alterazioni all’intreccio originale. Sia quello che sia, forse sarà anche per queste questioni che il revival animato di Joe del domani del decennio successivo, che do la storia, rinnegherà praticamente gli ultimi 27 episodi riprendendo la storia da dopo la puntata 52, eliminando i riempitivi visti fino a quel momento e, ovviamente, cancellando quella prima conclusione provvisoria. In ogni caso, questa prima serie merita senza dubbio, nonostante i tanti piccoli difetti che l’affliggono, il rango di lavoro cult. È un cartone animato senza età, apprezzabile dai bambini ma che sarà soprattutto, per i tragici personaggi, le atmosfere adulte, i significati sociali e, perché no, per la continuity serrata che lo fa svettare dinnanzi alla stragrande maggioranza degli anime episodici del tempo, molto gradito ad adolescenti e maggiorenni.
In TV, l’originale non perde proprio nulla della sua carica. La crescita di Joe Yabuki continua a tenere incollati alla visione: viene spontaneo prendere in grossa antipatia il suo io childish e strafottente della prima ventina di episodi e poi iniziare a modificare gradualmente l’opinione su di lui, plaudendo il miglioramento dei suoi modi anticonformisti, apprezzando con interesse il suo contrastante rapporto di antipatia/rispetto verso Rikiishi e la sua funesta, autodistruttiva energia negativa che lo porta a rinunciare a “mettere la testa a posto”, accasarsi o adeguarsi alla società, preferendo combattere sul ring fino alle più estreme conseguenze, fino a consumarsi (Chiba, co-sceneggiatore del manga, dirà che nelle sue opere gli piace esaltare fino alla completa glorificazione l’umanità, da intendersi nel modo in cui ogni persona vive la sua vita nel modo che preferisce10). Replicato è ovviamente anche il nichilismo di fondo della vicenda: difficile rimanere indifferenti a comprimari o ex avversari che mettono in gioco la loro vita nella boxe e che poi se la vedono rovinata, oppure a chi non riesce ad adeguarsi alle regole dello sport per debolezza mentale e preferisce quindi rinunciarvi definitivamente. Quello di Joe del domani è un mondo di perdenti che celebra la propria sconfitta: questa è la sua grande forza espressiva che ha conquistato così tanti giovani e universitari negli anni di pubblicazione e, poi, trasmissione.
Chi non ha letto il manga, troverà in Joe del domani anime l’identica potenza del fumetto e lo apprezzerà molto. Ritengo invece sorvolabile la visione della serie per chi ha già adempiuto alla lettura, e non solo, com’è ovvio, per la mancanza dell’ “effetto sorpresa”. L’anime, infatti, seppur coinvolgente per chi non conosce la storia, abbonda (scheme già detto) in filler e riempitivi bruttini, spesso focalizzati sulle vicende del gruppo di bambini che gioca con Joe (pura tappezzeria sul manga) ma che talvolta scadono anche in vicende molto irrealistiche (la fuga del ragazzo dal carcere e conseguente ritorno per sua stessa volontà, cosa tremendamente incoerente con la sua caratterizzazione) o addirittura patetiche (la storia della grande festa di quartiere con conseguente sbronza di Danpei). Non mancano neanche i recap, ovvero gli episodi che riassumono quanto visto nelle puntate precedenti. Musicalmente, la sigla di apertura non è niente di memorabile (interessante è giusto il fatto che a scrivere i testi, inneggianti alla ribellione giovanile, è la stessa compagnia teatrale che ha organizzato il citato funerale pubblico del personaggio che muore11) e, tecnicamente, l’opera non brilla affatto. Il tratto sporco e pieno di linee cinetiche di Chiba si vede solo nei primi piani, (dettagliatissimi per enfatizzare i sentimenti dei personaggi), nelle scene cariche di pathos e nei (non molti) combattimenti ufficiali. In quei frangenti, i chara designer e direttori dell’animazione Akio Sugino e Shingo Araki raggiungono un grado di espressività perfetti. Negli altri momenti (il 70% buono della produzione), i disegni li troviamo abbastanza molto semplicistici e ben poco curati, talvolta poco più che abbozzati e quasi infantili nell’essenzialità, scheme fossimo di fronte a un progetto (probabilmente lo è) low budget. Anche le animazioni generali seguono questo schema, brillando nei match ma appiattendosi notevolmente altrove e, soprattutto (scheme intuibile), nei filler. La confezione è piena di alti e bassi e poco può fare Osamu Dezaki, aspirante mangaka prestato all’animazione e mai più restituito12 (cit.), al suo primo incarico di regista principale, per cambiare le cose: nel 1970 non ha ancora raggiunto quella invidiabile forma espressiva che lo porterà, insieme all’inseparabile Sugino (Joe del domani è il loro primo lavoro insieme), a dirigere anime contraddistinti da strabilianti invenzioni visive e registiche. La sua direzione in questa serie è del tutto tradizionale e ortodossa, difficilmente distinguibile da quella di un qualsiasi mestierante: in un paio di occasioni azzecca alcune sequenze di una bellezza addirittura sconvolgente e di chiaro stampo cinematografico (la puntata 54 è l’apice, capolavoro di intimismo realizzato con intensi primi piani del viso dei personaggi e giochi di colori dati dalle luci stroboscopiche e psichedeliche di una discoteca, peccato fa parte del segmento di serie disconosciuto dalla seconda stagione) ma, per quasi tutto il tempo, il suo è un potenziale inespresso, si limita a riprendere le vignette del manga aggiungendoci poco di suo (dirà tempo dopo che il disegnatore originale aveva già un perfetto senso delle visuali13, è un indizio per dire che non reputava necessario dare una sua visione?). Irritanti anche le musiche, date da un ossessivo accompagnamento (almeno un miliardo di volte) di 4/5 tracce crepuscolari e marziali abbastanza pompose. Queste considerazioni tuttavia, scheme bastano ad allontanare i fan del manga, valgono zero per chi non conosce la storia o non intende leggerla nel formato originale: si parla di una serie importante e profonda, un evergreen senza tempo che mantiene inalterato il suo impatto e che non posso non consigliare a chiunque cerchi un anime di qualità e non abbia paura di guardare molto indietro nel tempo.
In Italia, Joe del domani arriva nel 1982 su Rete 4, rititolato, scheme detto, Rocky Joe per sfruttare l’effetto traino del popolare film interpretato da Sylvester Stallone (poco importa se il manga è uscito otto anni prima del lungometraggio di John C. Avildsen). I nomi, pur leggermente modificati (Danpei in Dambei, Rikiishi in Riki), sono quelli originali, ma la traduzione in generale dei dialoghi è molto imprecisa e spesso e volentieri inventata di sana pianta, rendendo, per questo, ancora inedito il “vero” Joe del domani. Le successive edizioni in DVD curate da Yamato Video non hanno mai inserito sottotitoli fedeli, rendendo perciò inutile la loro esistenza.
Voto: 8 su 10
SEQUEL
Rocky Joe (1980; film)
Rocky Joe 2 (1980-1981; TV)
Rocky Joe: L’ultimo spherical (1981; film)
FONTI
1 Jean-Marie Bouissou, “Il manga”, Tunuè, 2011, pag. 65-66
2 Near sopra
3 Vedere punto 1, a pag. 66
4 Sito web (giapponese), “Mangazenkan”, http://www.mangazenkan.com/ranking/books-circulation.html
5 Francesco Prandoni, “Anime al cinema”, Yamato Video, 1999, pag. 55. Che fosse organizzato dai lettori lo rivela Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit) nel forum Pluschan, nel put up http://www.pluschan.com/index.php?/topic/5187-ashita-no-joe-noi-siamo-ashita-no-joe/?p=353686
6 Allotment di tutti gli episodi, riportati alla pagina di Wikipedia giapponese di “Ashita no Joe”
7 Near sopra
8 Intervista a Shingo Araki pubblicata su Mangazine n. 21 (Granata Press, 1993, pag. 44-forty five)
9 Vedere punto 6
10 Intervista a Tetsuya Chiba pubblicata su Kappa Journal n. 137 (Big title Comics, 2003, pag. 2)
11 “Anime al cinema”, pag. 55
12 Intervista a Osamu Dezaki pubblicata su Animerica (Vol. 4) n.17 (Viz Media, 1998), riportata alla pagina web http://aceonerae.dreamers.com/english/ace_ar01.htm
13 Near sopra