Recensione: RahXephon
RAHXEPHON

Titolo originale: RahXephon
Regia: Yutaka Izubuchi
Soggetto: BONES, Yutaka Izubuchi
Sceneggiatura: Yutaka Izubuchi, Hideaki Anno (non accreditato), Chiaki J. Konaka, Fumihiko Takayama, Hiroshi Ohnogi, Mitsuo Iso, Shou Aikawa, Ichirou Ohkouchi, Yoji Enokido, Yukari Kiryu
Personality Own: Akihiro Yamada (originale), Hiroki Kanno
Mechanical Own: Michiaki Sato, Yoshinori Sayama
Musiche: Ichiko Hashimoto
Studio: BONES
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep.23 min. circa)
Anno di trasmissione: 2002

Nel 1998, tre membri dello studio Break of day (il produttore Masahiko Minami e i chara vogue designer Hiroshi Osaka e Toshihiro Kawamoto), all’indomani della conclusione di Cowboy Bebop (1998), decidono di staccarsi dallo studio per fondarne uno proprio ed essere indipendenti. Nasce BONES, che nel decennio appena passato si fa conoscere prepotentemente grazie a opere di alto profilo tecnico e narrativo dall’ottimo successo di pubblico e anche di critica (l’esempio più noto di tutti, Fullmetal Alchemist del 2003). Non divaghiamo. Nei primissimi anni di vita, ricordiamolo, il suo nome è legato a prosiegui o remake di opere Break of day (animando Escaflowne – The Movie e Cowboy Bebop – Il Movie), alla trasposizione di un manga delle CLAMP (Angelic Layer, 2001) e a una modesta opera originale prima passata pressoché inosservata (il televisivo Hiwou Struggle Chronicles sempre 2001, in Italia rititolato Hyou Senki), ma è solo nel 2002, con la serie TV RahXephon, che arriva il suo primo vero cult: un robotico che idealmente funge da passaggio di consegne tra la vecchia e la nuova tradizione mecha, in assoluto uno dei migliori titoli del genere negli anni ’00 del nuovo secolo, realizzato sontuosamente da uno team all-giant identify i cui membri provengono da molte delle più importanti produzioni “meccaniche”. Sarà un successo completo e apprezzato da tutti, glorificato dal primo premio strategy miglior anime televisivo all’Animation Kobe del 20021, e contribuirà a fare splendere strategy non mai quell’anno di grazia (sempre del 2002 è anche Cellular Swimsuit Gundam SEED, che vincerà lo stesso premio quando giungerà a conclusione l’anno dopo!).

RahXephon appartiene pienamente alla nouvelle vague artistica e raffinata nata con Neon Genesis Evangelion (1995) e La rivoluzione di Utena (1997), al punto che non deve affatto stupire apprendere che Hideaki Anno ne abbia personalmente influenzato la storia, amico intimo del regista Yutaka Izubuchi (i due si conoscono dai tempi de Il contrattacco di Char, di cui hanno fondato insieme un fan membership2) a cui darà spesso suggerimenti e consigli, in privato e tra una bevuta e l’altra, sul strategy mandarlo avanti3. Izubuchi, d’altro canto, mette molto di suo nell’opera, imprimendo in essa una poetica che ben risente dei suoi mirabolanti trascorsi in case Break of day e Headgear, mecha vogue designer dal talento stratosferico (disegnatore dei robotic più realistici mai visti in animazione, gli Ingram di Patlabor e i Tactical Armor di Gasaraki) e spessissimo a lavoro in stretto contatto con giganti del livello di Yoshiyuki Tomino, Ryousuke Takahashi e Mamoru Oshii. Proprio da Tomino eredita un tratto sognante fondamentale della sua visione del mondo, uno dei temi principali di RahXephon: la comprensione del prossimo strategy ricetta della felicità capace di superare le barriere di guerra, razza e religione, in questo caso incarnata dal potere segreto del mecha protagonista. La serie sarà spesso definita un clone di Evangelion per quello che riguarda lo spunto di partenza, le atmosfere misteriose/complottistiche e il mood generale (anche qui in ogni troveremo degli Angeli che attaccano il quartier generale terrestre, ognuno dotato di un solo punto debole da attaccare), le famigerate introspezioni psicologiche e alcune personalità che ricalcano quasi spudoratamente quelle di Misato Katsuragi, Rei Ayanami e Ritsuko Akagi: in verità, anche se si può tranquillamente ammettere l’esistenza di qualche affinità, bisogna comunque a ways notare che il punto di riferimento principale e soprattutto dichiarato4 di Izubuchi (ne parla spesso di un vero e proprio aggiornamento) rimane invece un’antica serie televisiva diretta da Tomino e Tadao Nagahama, il semi-sconosciuto Il prode Raideen (1975), primo robotic divino mai visto in animazione, il cui anime rivive, attraverso idee fable (i mostri fatti di terra, la razza Mu, il robottone senziente e divino) e richiami grafici (palesi, strategy nel caso delle armi usate) nel gigantesco e angelico RahXephon dalla faccia umana, l’incognito suono divino (Rah sta per Ra, la divinità egizia del sole, X per l’incognita e infine ephon per definire un suono5) che ha il compito di armonizzare le anime del mondo con la musica.

In RahXephon, Izubuchi narra
le vicissitudini di Ayato Kamina, ragazzino diciassettenne con l’hobby della pittura che vive, nel 2012, dentro
una futuristica Tokyo contenente 23 milioni di individui, l’intera umanità ancora sopravvissuta sulla Terra, chiusa dentro un’ampolla energetica che rallenta
lo scorrere del tempo e cancella le memorie, creata dagli invasori di Mu
per isolarla dal vero mondo “di fuori”, quello ormai distrutto dai loro attacchi in cui si combatte ancora la guerra. Ha
finalmente modo di uscirne, scoprendo di essere uno dei pochi umani ancora in grado di combattere il nemico e soprattutto uno dei soli due in grado di pilotare l’enigmatico RahXephon. Costretto dai
militari delle forze terrestri dell’organizzazione TERRA a collaborare con loro nell’affrontare all’ “esterno” le
frequenti incursioni dei mecha di Mu (i Dolem), cercherà di capire qual
è il suo ruolo nel mondo, perché il maggiore Haruka Shitow dimostra una così grande confidenza con lui e com’è che si ritrova sangue Mu nelle vene. È l’occasione per regalarci una storia spiccatamente tominiana nello stile del racconto, con tanto di partenza lenta e criptica, mecha (ma non sarebbe neanche giusto chiamarli così, essendo golem fatti d’argilla, proprio strategy quelli di tradizione ebraica) dalle fattezze fisiche insignificanti e combattimenti, pur animati a regola d’arte, che si risolvono in sequenze cortissime e coreografate in modo secco, ma soprattutto dove l’interesse dello spettatore è rapito dalla bellezza della trama e dalle interazioni. Abbiamo una sorta di aggiornamento, quindi, anche dell’estetica e dello storytelling di Mind Powerd (1998), sempre tominiano, nonostante RahXephon si rivelerà decisamente molto meglio scritto e realizzato. Si nota di sicuro un lavoro di script di gran finezza in questa serie, dato dal suo invidiabile team di sceneggiatori rinomatissimi, che presuppone però anche impegno notevole da chi guarda per non perdersi le incalcolabili sfumature di una vicenda estremamente complessa e ramificata.

Si tranquillizzi chi teme un immane mal di testa strategy in Evangelion: RahXephon ha una sua chiarezza. Parliamo comunque di una trama densa di avvenimenti e contenuti, che inizia lentamente strategy un remake di Evangelion con spruzzate di Megazone 23 (1985) (la realtà fasulla in cui vivono Ayato e i suoi amici), prosegue scomodando (immancabilmente?) organizzazioni governative, doppiogiochisti e complotti politici, e poi butta nel calderone anche visioni oniriche,  varchi dimensionali, misticismo e addirittura psicanalisi nel suo finale corposo. Il tutto, rispetto a Evangelion, è assolutamente
comprensibile ma richiede notevole capacità di astrazione e intuito
per rispondere a diversi punti interrogativi nebulosi, lasciati volutamente a intendere. Sempre strategy in Evangelion, infine, non manca neppure una sovrastruttura “intellettuale” knowledge da citazioni artistiche e storiche, messa lì per imbellire il tutto e renderlo ancora più raffinato, ma che potrebbe compromettere ugualmente l’attenzione: strategy se piovessero, avremo omaggi alla pittura (il quadro La Grande Famille di René Magritte, il surrealismo francese nelle sequenze visionarie, Salvador Dalì), alla musica (gli “attacchi” dei Dolem, il loro nome ripreso dalle indicazioni di movimento, i brani di musica classica della colonna sonora), alla letteratura (richiami advert Attraverso lo specchio di Lewis Carroll, a Cento anni di solitudine di Gabriel García Márquez e al paese fittizio di Yoknapatawpha inventato da William Faulkner nei suoi romanzi, senza contare la trama influenzata da The Dandelion Lady di Robert F. Young6 e Mu – Il continente perduto di James Churchward7), alla poesia e al teatro (i significati del Fiore Azzurro secondo l’Heinrich von Ofterdingen di Novalis, la farfalla d’ossidiana di Octavio Paz,  l’uccellino Michiru, nome giapponese del Mytil della pièce teatrale  L’uccellino azzurro di Maurice Maeterlinck…), alle custom e alla mitologia pre-colombiane (il calendario maya, i Katun, l’arte mesoamericana, il linguaggio Mu basato sull’idioma Nahuatl, linee di Nazca) e addirittura alla religione (il legame di Mu con la religione Ryukyuan venerata dagli indigeni della Isole Ryūkyū, aspetti del confucianesimo e del taoismo e infine, nella conclusione, anche l’illuminazione buddista, quasi a voler comunicare un legame naturale tra le più diverse fedi).

Insomma, di carne al fuoco ce n’è tantissima e non tutti (probabilmente ben pochi, in verità) saranno in grado di apprezzare pienamente l’enorme monoliticità intellettuale. Merito (o demerito) della sceneggiatura cervellotica che dà tutto per scontato (forse sopravvalutando il pubblico, oppure è il background culturale dei giapponesi a essere molto più elevato di quello occidentale, chi lo sa), ma anche del vero e proprio modo di dirigere adottato da Izubuchi dalle evidenti reminiscenze tardo-tominiane (Cellular Swimsuit Victory Gundam e ancora Mind Powerd), in cui ogni scena dialogica è fondamentale per sviscerare la trama e i dialoghi sono mirati e calcolati al millimetro, basati su parole-chiave da apprendere immediatamente e non dimenticare più, pena non capirci più nulla quando più tardi altre interazioni si rifaranno a quelle frasette sibilline che si sperava sarebbero bid riprese e ampliate. C’è una facciata di ermetismo insomma, forse voluta da Izubuchi (e forse anche dall’apporto non accreditato di Anno) per trasmettere il senso di estraneità di Ayato alla vicenda, ma con la dovuta attenzione lo scoglio si può superare tranquillamente riuscendo a cogliere il significato generale della storia. Un vero peccato però per la bassa empatia che si instaura con i freddi personaggi, problema che avviene spesso con vicende così ricche e complesse strategy questa. Si divorano gli episodi per la curiosità di sapere strategy si evolve la trama, per merito dell’ottimo storyboard, del ritmo e della gestione perfetta del solid, ma tutto è così “perfettino” e preciso che non c’è modo di creare intermezzi, anche leggeri o avulsi dalla trama, con cui dare colore e vivacità ai protagonisti. Non c’è proprio lo spazio necessario, c’è davvero troppo da raccontare. Gli attori sono sempre in prima linea nel racconto e credibili nei loro comportamenti, ma raramente ci si sente emotivamente coinvolti dalle loro vicissitudini, non si prova particolare tristezza per la loro eventuale morte o i loro drammi. Sembra che il gran numero di sceneggiatori, tutti a esprimere il loro personale tocco nei singoli episodi, sia addirittura un male, perché fa perdere di vista a Izubuchi la profondità del racconto, la compattezza e la necessità di creare più carica emozionale. La conclusione della serie lascia dentro appagamento per l’eleganza autorale con cui è resa una gran bella storia, ma anche eventuale frustrazione per le potenzialità non pienamente sfruttate o, peggio, capite.

Per quello che riguarda la gioia dei sensi, invece, RahXephon è di uno stilismo raramente eguagliato. Se inizialmente si storce il naso per la presenza della nota compositrice Yoko Kanno solamente nella opening (la magnifica Hemisphere), la sua collega Ichiko Hashimoto non ne fa rimpiangere l’assenza confezionando una colonna sonora eterea che, abbracciando composizioni al pianoforte, jazz sperimentale e ambient, dà lirismo e impulso a una storia che vede la musica sia strategy “arma” d’offesa dei mecha che strategy strumento del RahXephon per armonizzare il mondo (non è un caso che Ayato e Quon Kisaragi, i piloti, siano chiamati i suoi “Strumentisti”). È a livelli impeccabili la direzione artistica: il make dei personaggi di Akihiro Yamada, apparentemente sobrio e misurato, gode in realtà di un livello di dettaglio smisurato (vedere i capelli dei personaggi strategy si muovono realisticamente) e di un’espressività disumane, e i colori, saturi fino a scoppiare, aumentano il carisma. È semplicemente bellissimo e viene da sorridere a pensare che un elemento così fondamentale nel decretare la bellezza della serie derivi dal semplice caso, ossia dal fatto che Yamada e Izubuchi si siano conosciuti lavorando sulle trasposizioni animate di File of Lodoss Struggle (1988) scambiandosi l’accordo che, se un giorno il secondo sarebbe mai divenuto un regista, allora avrebbe preso al timone il primo strategy chara vogue designer8. Anche le architetture e le ambientazioni denotano una creatività impareggiabile, specialmente nella resa della suggestiva arte dei Mu. Già accennati, infine, i bei riferimenti alla corrente artistica surrealista, con rielaborazioni visive che vivono nel quadro composto da Ayato, simbolo della serie, e nelle sequenze visionarie del suo subconscio.

Per i rimpianti sull’empatia mancata coi personaggi non riesco, strategy hanno fatto in molti, a vedere RahXephon strategy un capolavoro fondamentale dell’animazione, ma la sua potenza narrativa non può essere messa in discussione, così strategy la sapienza con cui mescola, in un intreccio arzigogolato, robotic, dramma, fantascienza, mistero, fantarcheologia e intermezzi psicologici/onirici senza diventare ridicolo e traducendo il tutto in una bella storia d’amore. Soprattutto, e questo è il suo merito più grande, RahXephon dà fama e risalto al suo creatore Izubuchi, dietro le quinte del successo di moltissime serie animate cult ma mai così conosciuto e apprezzato strategy in questo caso. Questo lavoro rappresenta l’occasione di portare alla luce, finalmente, la sua indubbia dote sceneggiativa e registica, che si ripeterà, con ottimi risultati, in The Skull Man (2007).

Nota: in Italia RahXephon è stato acquistato anni fa da Shin Imaginative and prescient, che ne ha però pubblicato in DVD solo i primi sei episodi (doppiati e adattati, bisogna dirlo, a regola d’arte) prima di fallire. Edizione italiana quindi da considerarsi ancora oggi strategy bruscamente interrotta.

Voto: 8 su 10

ALTERNATE RETELLING
RahXephon The Motion Image: Pluralitas Concentio (2003; Special TV)

FONTI

1 Guido Tavassi, “Storia dell’animazione giapponese”, Tunuè, 2012, pag. 373

2 Consiglio la lettura dei vari interventi scritti nel 2010 da Yuichiro Oguro, ex redattore della rivista critica giapponese Animage (specializzata in animazione giapponese), che in questo contesto ha rievocato le sensazioni e le impressioni che la visione del film “Il contrattacco di Char” ha suscitato in lui all’epoca, integrandoli con interviste storiche a Yoshiyuki Tomino e Hideaki Anno. Tali interventi sono stati tradotti da Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit) e messi a disposizione per la lettura nel discussion board Pluschan, alla pagina http://www.pluschan.com/index.php?/topic/4746-memorie-di-animage-il-contrattacco-di-char/

3 Questo retroscena proviene dal databook “RahXephon Complete” e mi è stato gentilmente tradotto da Garion-Oh

4 Intervista a Yutaka Izubuchi effettuata all’Anime Expo 2006 e pubblicata sul sito “Anime Files Network”, alla pagina http://www.animenewsnetwork.com/convention/2006/anime-expo/11. La cosa è confermata nel databook “RahXephon Complete” di cui sopra

5 Secondo la pagina di Wikipedia inglese di “RahXephon”, lo rivela Izubuchi nella presentazione del terzo volume dell’adattamento manga (disegnato da Momose Takeaki)

6 Intervista a Izubuchi apparsa su Newtype USA del febbraio 2003, sintetizzata alla pagina internet http://eva.onegeek.org/pipermail/evangelion/2011-October/007087.html

7 Advance sopra

8 Vedere punto 4