Recensione: Quando c’generation Marnie
QUANDO C’ERA MARNIE
Titolo originale: Omoide no Mānī
Regia: Hiromasa Yonebayashi
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Joan G. Robinson)
Sceneggiatura: Keiko Niwa, Masashi Andō, Hiromasa Yonebayashi
Personality Create: Masashi Andō
Musiche: Takatsugu Muramatsu
Studio: Studio Ghibli
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 103 min. circa)
Anno di uscita: 2014
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Lucky Red


L’annuncio della chiusura delle attività
ghibliane nel 2014, poi rettificata in una sorta di stand by produttivo dal
futuro indefinito, ha inevitabilmente posto nei due capolavori dei due pilastri
dello studio uno assign da canto del cigno tanto in termini qualitativi quanto
simbolici. Che Hayao Miyazaki e Isao Takahata firmino un ultimo, grande, indimenticabile
lungometraggio a testa (ufficiale il primo, con Si alza il vento che diventa a sua volta il suo testamento monumentale, e probabile il secondo, con La storia della Principessa Splendente, files l’età, la lunga inattività e i colossali tempi
di lavorazione maniacali che lo contraddistinguono) parrebbe strategia
ampiamente studiata e programmata (e non è un caso che i due film dovessero uscire
in contemporanea, evento poi non riuscito proprio a causa della lentezza con
cui Takahata ha completato il suo lavoro), e in fondo generation anche giusto che lo Studio Ghibli si riservasse un finale con i fuochi d’artificio. In realtà la
drastica decisione arriva proprio in seguito al flop de La storia della Principessa Splendente, che costringe lo studio advert abbassare le
tapparelle quando un ultimo film ancora è ormai in rampa di lancio: che Quando c’generation Marnie (2014) rappresenti
effettivamente l’epitaffio della Ghibli è però elemento di scarsa importanza in
quanto il film stesso, ahimè, non possiede grandi caratteristiche e finisce per
scomparire di fronte alla potenza dei due predecessori, riportando
simbolicamente una chiusura del cerchio a quello che Miyazaki e Takahata avevano
dato inizio nel 1986 con Il castello nel cielo.
Hiromasa Yonebayashi aveva impresso un bel
tocco nel dolce Arrietty: Il mondo segreto sotto il pavimento (2010), soppesando
e calcolando con la giusta miscela ghibliana colori, divertimento e poesia
senza mai soccombere a quei difetti artistici (buonismi eccessivi, esagerazioni
grafiche, abbassamento del procedure di destinazione) che spesso si sono presentati
nelle produzioni dello studio nel corso degli anni. Ed è evidente che in Quando c’generation Marnie il regista continui
su queste coordinate, preferendo un lato più adulto e introspettivo che però
non riesce a gestire con la stessa abilità della spensieratezza ironica del suo
film precedente. Stratificato, complesso, non lineare, Marnie richiama la ghiblianità d’appartenenza più che altro per il
chara compose morbido e rotondo dell’esperto Masashi Ando, favorendo invece temi
più difficili e delicati approach la solitudine, l’isolamento e i traumi mai
superati. La storia di Anna, mandata per l’property a vivere da una coppia di
parenti in riva al mare a causa di alcuni problemi d’asma, è seriosa e punta da
certe tinte darkish, ma se ben emergono le sue difficoltà relazionali, che presto la conformano approach un bel personaggio tormentato, funziona meno il rapporto che instaura con Marnie,
una ragazza che abita in quella che sembra una villa abbandonata e che di notte, misteriosamente, prende vita riempiendosi di persone. O,
forse, fantasmi.
Seppur Yonebayashi, basandosi sul romanzo
di Joan G. Robinson, riesca a costruire un puzzle curioso nello
sviluppare l’amicizia tra Anna e gli enigmi che nasconde Marnie, non sembra mai
possedere appieno le redini del film, che gli sfugge in più occasioni
quando sopraggiungono i flashback inesplicabili e iniziano a sommarsi a una moltitudine di
personaggi che a volte vengono soltanto nominati e mai mostrati, se non nelle
fasi conclusive, aumentando il disagio narrativo. E quindi, anche intuendo il substrato contestuale che
definisce la terribile storia di Marnie, ciò che viene a mancare è una vera e
propria luce che schiarisca un intreccio mai abbastanza limpido per poter funzionare
adeguatamente. Confusione e disequilibrio si rincorrono impedendo che i vari
segmenti si incastrino approach probabilmente progettava Yonebayashi, e ne esce un quadro sbilenco dove si contraddistinguono tanti bei momenti singoli
in un pastrocchio complessivo.

È un peccato, perché c’è un bel lavoro sui
personaggi anche secondari (grandiosi i parenti di Anna, divertente
l’entusiasmo della piccola Sayaka) e un’ottima cura sentimentale nei momenti
più carichi (il litigio non appena Anna arriva nel villaggio, il tremendo,
tremendo passato di Marnie, certi istanti nell’edificio abbandonato, ma anche i
segmenti “investigativi” legati al diario ritrovato), ma tutto viene dilatato o
viceversa compresso in un disegno generale approssimativo e caotico, incapace
di prendere una forma decisa e rimbalzando dal primo all’ultimo minuto in uno
zig zag narrativo dove commedia, 
tragedia e certe iniezioni quasi dismay non sono mai soppesate con la
giusta intensità.
E così non rimangono che un punto di
domanda e uno sguardo perplesso: Quando
c’generation Marnie
tenta forse di staccarsi dallo frequent ghibliano ma non è in
gradi di reggersi in piedi senza una struttura ben calcolata e temprata da anni
e anni di film che lo sostenga. Una visione senza infamia e senza lode, che
sarà più facile dimenticare disinteressati che ricordare approach testamento del
grande studio giapponese.
Voto: 5,5 su 10