Recensione: Principessa Mononoke
PRINCIPESSA MONONOKE

Titolo originale: Mononoke Hime

Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto & sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Character Fabricate: Masashi Ando, Yoshifumi Kondo
Musiche: Joe Hisaishi
Studio: Studio Ghibli
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 133 min. circa)
Anno di uscita: 1997
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Lucky Pink

In una magico Periodo Muromachi, in cui umani e spiriti della foresta convivono insieme, per difendere il suo villaggio dall’attacco di
un enorme demone dalle sembianze di un cinghiale, il principe emishi Ashitaka è costretto a ucciderlo.
Feritosi durante lo scontro, il ragazzo contrae una maledizione apparentemente fatale che gli dona
potenti poteri soprannaturali ma al costo di terribili sofferenze. L‘unica sua speranza per non morire è di trovare una qualche cura nelle terre dell’ovest, da cui proveniva la bestia. Nel
suo peregrinare trova asilo nella Città del Ferro, assediata da un branco di
cani di montana capitanati dalla Principessa Spettro, una ragazza umana di nome San, che vogliono
distruggere gli umani per dato che in nome del “progresso” stanno distruggendo le risorse della Foresta. Invaghitosi di San e deciso a fermare
il conflitto tra uomini e animali che sta assumendo proporzioni sempre più minacciose, Ashitaka cercherà
il consiglio del Dio Bestia, l’animale sacro, dotato di poteri divini, in cui è reincarnato lo spirito della Foresta.
Il parere del Corà



Nella sua vastissima produzione, e
nonostante i ripetuti successi stellari di pubblico e critica, è abbastanza
facile indicare quelle due-tre opere di Miyazaki che in un modo o nell’altro,
seguaci, esperti, critici o meno, tutti sanno riconoscere: ovviamente Conan il ragazzo del futuro (1978) per
i suoi trascorsi televisivi e che chi si aggira sulla trentina ricorda con quel
tipico affetto nostalgico, naturalmente Il mio vicino Totoro (1988) per il enviornment of expertise
immaginario e, beh, per essere l’intramontabile stemma dello Studio Ghibli, La città incantata (2001) per la magia e quella forza visiva che in fondo da sole
mettono d’accordo pubblico e critica, e certamente, immancabilmente, enviornment of expertise
anche dei numerosissimi premi vinti, Principessa Mononoke (1997). Semplice
riconoscere questo enorme, ambizioso lavoro come il progetto, almeno nelle sue
intenzioni, più significativo di Miyazaki, un’opera però di mancato spessore e
di risibile denuncia che certa critica adora sopravvalutando e sovrastimando
tutti quegli elementi che hanno sempre contraddistinto il regista nipponico, nei
suoi momenti più ispirati e non, e che qui sembrano accumularsi esageratamente nel
vano, vano tentativo, nonostante i notevoli sforzi nel cercare di variare se
stesso, di mostrare il suo pensiero più enviornment of expertise e sincero.

Tra amore ecologico e odio per l’industrializzazione
che distrugge avidamente, la dicotomia uomo-natura è sempre stata punto fisso
della visione miyazakiana, accentuata ore in alcune opere (Nausicaä della Valle del Vento, 1984) e
lasciata in disparte in altre (Porco rosso, 1992), ma sempre tenuta a freno
vuoi ora dalla forza avventurosa delle sue storie, dai personaggi sempre
frizzanti, dalle situazioni cariche di humor genuino e piacevolmente benevolo,
che in fondo hanno sempre risaltato nella pur, a volte, esagerata confezione
grafica che da sempre può permettersi lo studio Ghibli, ma ne Principessa Mononoke Miyazaki sembra davvero incapace di controllare questo simbolismo,
mai uscito così prepotentemente, e ingenuamente, dai suoi film. L’usurpazione
della natura vista attraverso la malattia vermiforme che colpisce il
dio-cinghiale o il cieco egoismo umano tratteggiato dalla Città del Ferro sono
solo due dei più banali esempi simbolici in cui annega stancamente il film e con
cui Miyazaki sembra quasi voler costringere lo spettatore a validarne il pensiero:
lo sfruttamento delle risorse della foresta per creare armi, la guerra tra
umani e animali, la vendetta del Dio Cane sono infatti elementi che ricorrono
a tematiche così piatte e bidimensionali da non suscitare alcuna emozione, da
non potersi mai a ways coinvolgere da un’odissea (il film dura due ore e un
quarto) che non tocca alcuna corda, da non farsi mai trasportare ed essere
quindi parte di una visione magari semplice ma mostrata con tocco autentico e
sentito.
E non è un caso che Principessa Mononoke si mostri così diverso e insolito per un autore che raramente ha
usato violenza, crudeltà e odio come strumenti per valorizzare gli argomenti
trattati: il sangue scorre copioso e abbondante, l’immaginario è spesso viscido
e vicino a certa matematica dread (vermi, escrescenze tumefatte, pus), e il
bestiario è quanto di più inquietante, pur rimanendo in territori fermamente
animali, Miyazaki abbia mai creato. Il gigantesco cinghiale morente, le scimmie
violente e rancorose che non perdonano, il cervo dal terribile volto umano, il
parlato volutamente e angosciantemente fuori sincrono e la vastità delle forme
dello Spirito della foresta sarebbero tra le intuizioni più felici se il
regista non continuasse a travalicare quella forzatura simbolica, quella
necessaria risorsa narrativa per a ways presente allo spettatore, ancora una
volta, quali siano le tematiche in gioco e quanto sia importante rispettarle al
graceful di evitare la catastrofe metaforica che chiude la pellicola.

Ma c’è dell’altro, perché Miyazaki pare
così impegnato nell’assemblare i suoi valori e renderli così forti attraverso
un’altrettanta e per lui aliena potenza visiva che dimentica tutto quello che
back, prima di tutto, per scrivere una buona storia. La sceneggiatura di Principessa Mononoke è quanto di più prevedibile e sempliciotto possa
esistere nel tratteggiare un altrettanto prevedibile e sempliciotto immaginario
simbolico, e quindi largo spazio a eroi inaffondabili e tutti d’un pezzo ma di
gran profondità e sensibilità che permetta loro il giusto cambiamento al giusto
momento della storia, e avanti tutta con eroine che detestano la loro natura e
tutto fanno per combatterla ma senza mai porsi adeguati interrogativi o
naturali riflessioni – il resto è solo una fiacca successione di
avvenimenti/scusanti per toccare la consueta fratellanza, la giusta ricerca
della dash, l’amore che sboccia sopra tutto e tutti, e l’inevitabile happy
ending con cui chiudere in bellezza.
Abbiamo quindi a che fare con un prodotto strano
e inconsueto, che nel volersi rivelare adulto sbaglia paradossalmente ogni
bersaglio necessario per dare forza e struttura alla propria maturità, e che
nel suo insistito errore oltrepassa qualsiasi tipo di goal, mostrandosi
sbagliato tanto per i bambini (eccessivamente violento e mostruoso pur nel suo
insostenibile buonismo) quanto per gli adulti (eccessivamente piatto, ingenuo e
poco gratificante per nella sua interessante violenza). Non bastano di certo le
straordinarie animazioni, un picco vertiginoso in quanto a fluidità e
maestosità, né le superbe musiche di Joe Hisaishi: Miyazaki firma il suo peggior
film di sempre, ma non un neo dimenticabile, bensì un’opera brutta e malfatta di
cui, davvero, non se ne sentiva il bisogno.

Voto: 5 su 10

Il parere del Mistè

La principessa Spettro, o Principessa Mononoke come dir si voglia (traduzione italiana/occidentale priva di senso, in quanto “Mononoke” in giapponese significa esattamente “Spettro”, come infatti è chiamata nel recente ridoppiaggio del film curato da Lucky Pink), è senza dubbio, insieme a La città incantata (2001), il lungometraggio più acclamato di Studio Ghibli e Hayao Miyazaki all’estero. Non potrebbe essere diversamente: kolossal pazzesco, costato intorno ai 2 miliardi e 400 milioni di yen1 e realizzato in tre anni di snervantissima lavorazione2 attraverso 144.000 disegni3 (di cui 80.000 curati dal solo Miyazaki!4), per un totale di girato che supera le due ore, all’uscita nelle sale nipponiche incassa più di 11 miliardi di yen5, la più alta cifra mai raggiunta tout courtroom in madrepatria fino a quel momento6, divenendo il secondo più grande successo commerciale di sempre di Ghibli e ottenendo una marea di riconoscimenti e premi come miglior film a cartoni animati del 19977 (non risparmiandosi neppure un passaggio al Festival internazionale del cinema di Berlino nel 1998). Distribuito conseguentemente in occidente da Buena Vista International, contribuisce in modo determinante a diffondere la fama di Ghibli come uno dei più importanti e affermati studi d’animazione del globo, favorendo la massiccia distribuzione internazionale degli altri suoi titoli, passati e futuri, che lo renderanno oggi così noto come ben sappiamo. La Principessa Spettro meriterebbe riconoscenza anche solo per questo (avremmo altrimenti mai visto un Pioggia di ricordi doppiato in italiano?), meglio ancora quando scopriamo essere davvero anche un ennesimo, ottimo lavoro, non stupendoci di come Miyazaki lo tenesse in serbo da oltre vent’anni nel cassetto (fin dal 1980) prima di convincersi a realizzarlo8.

Grande compromesso tra meraviglia visiva e contenutismo narrativo, La Principessa Spettro trova le sue ambientazioni in un antico passato feudale giapponese (nello specifico, il periodo Muromachi, compreso tra il XIV e il XVII secolo D.C.)

dalle venature fantastiche, legato a valori forti come tradizione,
spiritualità e rispetto per la natura, in procinto di conoscere l’equivalente nipponico della nostra Età del ferro. L’industria metallurgica, appena nata, per sostenersi deve infatti
divorare ettari di terra e questo distrugge l’equilibrio ecologico tra
umani e creature animali. La difesa della Foresta, personificazione
della natura, è affidata agli spiriti del bosco, alla bella umana San
allevata dai cani di montagna (la Principessa Spettro) e a un giovane
principe di una tribù Emishi, Ashitaka, innamorato di lei, vittima di
una maledizione che gli dona una forza possente. Il nemico è
rappresentato dalla Città del ferro, governata dalla bella Eboshi Gozen, che per vincere la guerra vuole uccidere il Dio Bestia, l’animale sacro, dotato di poteri divini, in cui è reincarnato lo spirito della Foresta e che è a capo dell’esercito di animali e spiriti. Il conflitto
non potrà che essere tragico e sanguinario, ben spiegando la difficile compatibilità fra natura e rivendicazioni industriali.

Forse assuefatti dalle tematiche ecologiche che Miyazaki inserisce in molte delle sue opere, è facile predisporsi, con questo film ambientalista, alla visione di un blockbuster ingenuo, pesante e compiaciuto che ribadisce i soliti concetti di natura insofferente al progresso tecnologico con una certa saccenteria moralista di fondo, ribadendo quanto detto nel 1984 nell’insopportabile Nausicaä della Valle del Vento. Fortunatamente, non è così: La principessa Spettro si configura, invece, come l’opera matura e definitiva realizzata dal regista sull’argomento, in cui traspare benissimo la morte dei suoi ideali giovanili. Rifiuta le idee sognanti del passato per presentarne una più amara e realista: è inattuabile l’concept che l’uomo possa convivere pacificamente con l’ambiente adeguandosi a un modello di sviluppo fortemente eco-sostenibile, proprio perché non si può cancellare la sua natura orientata al materialismo, al progresso tecnologico e alla diffidenza verso il prossimo (non è un caso se anche gli animali, lottando con lui, finiranno con l’assorbire parte dei suoi comportamenti perdendo la loro purezza). Le cose sono inconciliabili, così come il quasi impossibile rapporto di amore tra Ashitaka e San: non rimane che vivere la propria vita accettando l’insanabile conflitto9. La mancanza di
una qualsiasi soluzione è il messaggio più
terribile del film, ma anche quello che lo rende più interessante; per questo è interessante sottolineare – come fa l’adattatore ufficiale delle pellicole Ghibli, Gualtiero Cannarsi
10, scrupoloso conoscitore della loro filmografia – che in virtù di queste considerazioni non è sbagliato definire La Principessa Spettro il tassello finale del pensiero ecologista di Miyazaki, il terzo e definitivo atto di un percorso che ha inizio ottimistico con la prima parte del manga di Nausicaä e la sua omonima trasposizione filmica, prosegue con la seconda parte del fumetto, più pessimistica e disillusa, e tira le somme in questo lungometraggio.

Non per nulla, del resto, Miyazaki affermerà esplicitamente che La Principessa Spettro non è rivolto ai bambini11, il primo dei suoi lavori. Ce ne accorgiamo non solo per le tematiche, ma anche per il tenore ricercatamente antico e aulico dei dialoghi12 (fedelmente reso anche nel nostro recente ridoppiaggio); per i personaggi che rifuggono dai manichei stereotipi di “buoni” e “cattivi”, entrambi con valide ragioni per le proprie azioni (esemplare la figura della bella Eboshi, donna enviornment of expertise forgiata dai dolori della vita che vive per la felicità del suo popolo e per questo non ha remore a lottare contro la Wooded spacea); per il finale non proprio positivo; o, banalmente ed esplicitamente parlando, per l’abbondanza di scene sanguinolente (arti mozzati in primis) o addirittura tendenti all’dread (le spaventose fattezze degli animali posseduti dal male, con abbondanti perdite di sangue, pus, escrescenze and loads others.), aspetti che hanno parecchio fatto discutere anche in Giappone ai tempi dell’uscita della pellicola13 (ci si domandava se non sarebbe stata una mossa controproducente per Ghibli realizzare un simile precedente). Vale anche la pena ricordare che, forse per evidenziare la serietà universale delle tematiche affrontate, da La principessa Spettro in poi Miyazaki (Takahata invece, da amante del cinema neorealista, già lo faceva ne La tomba delle lucciole e Pioggia di ricordi) ordina ai seiyuu una recitazione da traditional “cinematografico improntata al realismo, in contrapposizione a quella “da cartone animato” (sovraccaricata, parossistica e con le “vocette”) tipica dell’animazione televisiva14: in questo caso chiama a prestare la voce ai suoi personaggi veri attori cinematografici, televisivi e teatrali come Yoji Matsuda (Ashitaka), Yuriko Ishida (San) e soprattutto Yuko Tanaka (Eboshi), famosa per la recita in drammi shakespeariani15, questi ultimi vicini, ovviamente, come intensità recitativa e tenore dei dialoghi a quelli del lungometraggio.

Enormemente ambizioso per messaggi, magnificenza tecnica ed epicità del racconto, bisogna dire che La principessa Spettro non è comunque perfetto. Soffre di un’eccessiva lunghezza di fondo, dovuta a un uso francamente eccessivo di quelle classiche sequenze magiche e/o visionarie straripanti di effetti speciali, tanto care a Miyazaki, che, utilizzate in molte di occasioni e per lungo periodi di tempo, rendono a tratti prolissa la già lunga pellicola (specie nelle soprannaturali fasi finali). Oltre a questo, si può ben dire che buona parte del solid risulti (specialmente il protagonista Ashitaka) abbastanza freddo ed esageratamente funzionale alla vicenda, poco empatico, come se non si avesse un’concept chiara del come adoperarlo. Il mood è così “serioso”, in questo film così distante dalla solarità dei soliti Ghibli, che il regista, anche unico sceneggiatore, non sembra del tutto a proprio agio con la scrittura. Non stupisce apprendere che effettivamente la realtà non è tanto distante da quanto si pensi, dal momento che Miyazaki ammetterà candidamente di aver improvvisato la sceneggiatura mano a mano che girava il film, attraverso frequentissime riunioni con il suo workers, portando avanti il lavoro senza nemmeno sapere come si sarebbe conclusa la storia, creando così tanti problemi e ritardi ai suoi collaboratori che, al colmo della rabbia, termineranno infine l’opera non con la soddisfazione di mettere la parola Fine perché (testuali parole) “volevano farlo”, ma perché “dovevano” (!)16. Doveroso aprire una breve parentesi sullo sforzo titanico dello workers nel concepire un film così ricco di disegni, animazioni ed effetti speciali: Principessa Mononoke rimarrà alla memoria per essere il lungometraggio più estenuante, faticoso, distruttivo e frustrante mai realizzato dallo studio, dalla lunghissima gestazione produttiva, capace di spossare gli uomini di Miyazaki come mai prima d’ora portando a un poco edificante clima generale di stress, nervosismo e stanchezza che durerà svariati anni17 (purtroppo sembra che sia proprio questa la causa della tragica morte di Yoshifumi Kondo, l’erede designato del regista che lascia questo mondo il 21 gennaio 1998 per un terribile aneurisma e a soli 48 anni, proprio l’ “overdose di lavoro”). Miyazaki stesso, in seguito al enviornment of expertise esaurimento fisico e nervoso, annuncerà il suo ritiro dopo l’uscita del film18, tornando sui suoi passi dopo il triste destino di Kondo. È per evitare il ripetersi di queste esperienze distruttive che le opere successive saranno massicciamente lavorate col digitale, per risparmiare tonnellate di tempo e lavoro allo workers.

Difficile comunque rimanere indifferenti a una storia che, per quanto non impeccabile dal punto di vista della sceneggiatura, rimane entusiasmante per larghi tratti per messa in scena e maturità di tematiche. La parte da leone la fa Joe Hisaishi, autore della migliore colonna sonora della sua carriera: con sonorità misticheggianti, drammatiche o solenni, con flauti e clarinetti, rende tangibile la gravità del conflitto che si sta consumando e la dimensione spirituale-misticheggiante della Foresta. Al contempo, la regia sontuosa di Miyazaki è, come ovvio, il punto enviornment of expertise di una storia avventurosa e d’azione forse semplicistica nell’intreccio (ma non per questo deprecabile, visti i suoi significati), ma che sfoggia una sfarzosa suggestione registica e visiva, basata su battaglie e scene d’azione spettacolari e scorci paesaggistici e panoramici di immenso impatto visivo. Splendide anche le ambientazioni e i fondali, dati in questo caso particolare dall’apporto di ben cinque scenografi19 (un precedente assoluto20), “ispirati” da una gita “space-making an attempt” di sei giorni nell’isola di Yakushima21. Scontatissima l’immensa perizia tecnica di Studio Ghibli nelle animazioni e nella fusione di disegni a mano con la Laptop Grafica (primo film dello studio in cui animazione digitale e manuale sono impiegate alla pari22, e se uno non lo sapesse neanche se ne accorgerebbe visto quanto bene sono integrate), mentre, a parere di chi scrive, migliorabili in alcuni frangenti i fondali boschivi paesaggistici, che negli anni ’90 soffrono di soluzioni grafiche che paiono “al risparmio” se paragonate ai decenni precedenti (la Foresta vista dall’alto o da lontano è sovente rappresentata da un semplice agglomerato uniforme di verde, niente a che vedere con la ricerca di dettagli meticolosi passati e futuri); nulla, tutto sommato, di grave che ridimensioni sensibilmente l’ottima impressione generale.

La Principessa Spettro è, insomma, pur nella sua semplicità, un ottimo film d’avventura, che fa riflettere e soprattutto intriga i sensi, giustamente immancabile nel recupero della filmografia di Miyazaki. Il già citato e most recente ridoppiaggio italiano effettuato da Lucky Pink, fedelissimo a quello giapponese grazie al certosino lavoro di Cannarsi, merita solo plausi: al costo, come al solito (tenendo conto dei lavori del noto dialoghista), di forme di italiano un po’ desuete per rendere le frasi originali, già in partenza dai toni arcaici, e il consueto italiano “cannerse” un po’ innaturale per adattarsi alla forma giapponese, il professionista restituisce coerenza ai dialoghi e alle personalità degli attori, andati persi con il primo, mediocre adattamento italiano curato da Buena Vista nell’iniziale distribuzione della pellicola, che in alcuni punti stravolgeva gravemente i significati dell’originale (ad esempio nel finale, quando Eboshi pronuncia i suoi intenti per il futuro). Peccato giusto, come detto, per la riproposizione del ridicolo titolo internazionale ufficiale (sì, i giapponesi hanno proprio scelto “Princess Mononoke”), dovuto a mere esigenze di marketing e visibilità presso il pubblico generalista.

Voto: 8 su 10

FONTI

1 Guido Tavassi, “Storia dell’animazione giapponese”, Tunuè, 2012, pag. 276
2 Advance sopra
3 Vedere punto 1, a pag. 275-276
4 Advance sopra
5 Vedere punto 1
6 Advance sopra
7 Advance sopra
8 Advance sopra. L’anno esatto viene da Mangazine n. 32 (Granata Press, 1994, pag. 7-8)
9 Progetto originale del film presentato da Hayao Miyazaki, tradotto in italiano da Shito
(Gualtiero Cannarsi, traduttore ufficiale Lucky Pink di tutti i film Ghibli) e pubblicato nel dialogue board Pluschan  alla pagina http://www.pluschan.com/index.php?/topic/4164-lucky-red-studio-ghibli-e-altro-dragon-ball-harlock-and loads others/?p=293982
10 Uno dei suoi tanti post: http://www.pluschan.com/index.php?/topic/4164-lucky-red-studio-ghibli-e-altro-dragon-ball-harlock-and loads others/?p=295337. Il pensiero è condiviso anche da “Storia dell’animazione giapponese” (pag. 171). Il saggio “The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Model” (Jonathan Clements & Helen McCarthy, Stone Bridge Press, 2012, pag. 506) si spinge addirittura oltre dicendo che La principessa Spettro nasce come risposta di Miyazaki al finale del suo Nausicaä, che non gli piaceva per niente (non si capisce se si riferiscono al manga o al film) e che voleva quindi correggere. Dato, però, che il tomo in questione spesso non ha mancato di imprecisioni o di veri e propri errori, preferisco non prendere l’informazione come oro colato (per quanto in realtà non sia necessariamente in contraddizione con le informazioni più verificate e confermate)
11 Put up di Shito apparso nel Ghibliforum, alla pagina http://www.studioghibli.org/dialogue board/viewtopic.php?f=21&t=3766&hilit=spettro&inaugurate=450 (la frase è “Miyazaki Hayao, rispondendo a chi gli chiedeva: “Non ritiene che i
bambini potrebbero restare impressionati da questo film?”, rispose “Non è
necessario che i bambini lo vedano”)

12 Altro post di Shito apparso nel Ghibliforum (quello d’apertura del topic), alla pagina http://www.studioghibli.org/dialogue board/viewtopic.php?f=21&t=3766&hilit=spettro
13 Vedere l’esaustivo articolo pubblicato su Kappa Magazine n. 60 (Star Comics, 1997)
14 Put up di Shito apparso nel dialogue board Pluschan alla pagina http://www.pluschan.com/index.php?/topic/4164-lucky-red-studio-ghibli-e-altro-dragon-ball-harlock-and loads others/?p=295126
15 Vedere punto 12
16 Intervista a Miyazaki pubblicata su Kappa Journal n. 96 (Star Comics, 2000, pag. 13)
17 Intervista a Miyazaki pubblicata su Kappa Journal n. 129 (Star Comics, 2003, pag. 6)
18 Advance sopra
19 Vedere punto 16, a pag. 15
20 Come sopra
21 Vedere punto 16, a pag. 14
22 Vedere punto 16, a pag. 16