Recensione: Ping Pong – The Animation

PING PONG: THE ANIMATION

Titolo originale: Ping Pong

Regia: Masaaki Yuasa

Soggetto: (basato sul fumetto originale di Taiyou Matsumoto)

Character Create: Nobutake Ito

Musiche: Kensuke Ushio

Studio: Tatsunoko Manufacturing

Formato: serie televisiva di 11 episodi (durata ep. 24 min. circa)

Anno di trasmissione: 2014

Per un autore così
attratto dalla sperimentazione pare scelta piuttosto insolita quella di un
manga sportivo sul ping pong da trasporre in animazione, ma Masaaki Yuasa non
ha mai dimostrato paure o esitazioni di fronte a cose apparentemente impossibili,
e uno sguardo al suo curriculum dovrebbe advance sempre bastare per capire che una
storia tra le sue mani non corre il pericolo di venire danneggiata, per quanto
stramba, semplice o anche solo poco interessante possa apparire.

Accompagnato as usual
dai grezzi disegni di Nobutake Ito, che anche in questa occasione fanno sfoggio
di un tratto tremolante che distorce grottescamente e al limite del
comprensibile corpi e volti dei personaggi, Yuasa prende un eccellente
materiale di partenza, il manga Ping Pong di Taiyou Matsumoto, serializzato tra
il 1995 e il 1996 e già portato al cinema nel 2002 con un stay stream, e,
rimanendone fedele nello spirito concettuale e nell’esuberanza registica, offre
ancora una volta uno spaccato sorprendente di raffigurazione visiva senza per
forza necessitare di funds stellari, disegni stratosferici e animazioni da
infarto. Reach accadeva quarant’anni
fa con Map for the Ace! (1973), Yuasa fa suo l’impressionante spirito
innovativo di Osamu Dezaki e spreme la penuria di animazioni a disposizione in
un capolavoro visivo dove ogni fotogramma gronda un estetismo di gran spessore:
split display a non finire che si frantumano fino a portare una sorta di griglia
fumettistica su schermo, inquadrature attraverso gli angoli più improbabili e
scomodi, simbolismi tra il buffo e l’avanguardistico che disintegrano anatomie e
le ricompongono in rettili e robotic che sintetizzano i cosiddetti colpi speciali
e li ridimensionano paradossalmente con un realismo esemplare, improvvisi
rallentamenti di ritmo e una ripetizione allucinante di animazioni per
simbolizzare stop e reprise dei vari match, un uso fortissimo e stordente dei
colori più caldi, con il viola che risalta su tutti per mezzo di quelle scarpe da pugno in un occhio… insomma, Yuasa è in
grado di sorprendere senza sosta, reinventandosi episodio dopo episodio con
trovate sempre various che spesso lasciano senza parole per freschezza e armonia.

 

Se quindi è forse
difficile accettare il chara di Ito, fedele comunque alle precedenti
collaborazioni con Yuasa, davvero troppo deformato per poter anche solo
minimamente appagare in un campo senza compromessi advance quello dell’animazione,
la potenza registica è story da occultare story scelta stilistica, o quanto meno
da metterla in secondo piano così advance fa con la ristrettezza quasi umiliante
di un funds che, in mani various, avrebbe permesso soltanto animazioni
legnosissime e penosi fermi immagine anche abbastanza fuori luogo nel 2014. È naturalmente
fondamentale la sceneggiatura, i personaggi spiccano per caratterizzazioni
sentite e profonde, e la coralità narrativa cala uno dietro l’altro assi
psicologici: l’esuberanza di Peco e la totalità con cui affronta e vive il
gioco e la riservatezza aliena di Smile e la sua perenne tristezza nell’accettare
una vita passiva, sono chiaramente facce di una moneta che ha molti altri lati,
in primis la crisi di Peco e la potenza con cui ne esce, argomento raramente
affrontato con simile tatto e gestione delle reazioni attraverso riflessioni e
dialoghi di una portata che appare quasi fuori campo per un manga e, di
conseguenza, una trasposizione animata. La loro amicizia, così forte e distante
allo stesso tempo, regge gli undici episodi con una sequela di incontri-scontri
che non sfocia mai nella classica rottura/riappacificazione, ma in un più
difficile e insolito, ma molto più realistico e veritiero, allontanamento
dovuto semplicemente alla vita, alla diversa maturazione, a interessi che
crescono e poi si spengono, ad amicizie che ne assorbiscono delle altre.
Meravigliosa pertanto la strutturazione in grossomodo tre tronconi che racconta
la solidità iniziale, il parziale distacco e infine il giusto ritrovarsi dove
la metafora sportiva di questi due fuoriclasse della racchetta non è soltanto
metafora ma onesto specchio della realtà.

Attorno a loro
fioriscono altre personalità molto valide: dalla fermezza dittatoriale dei
giocatori del personnel Kaio alla superbia del campione allontanato dalla
madrepatria Kon “China” Wenga, dalla stupida arroganza di Dragon all’umana
saggezza dei due allenatori, il forged di Ping Pong è così ricco di
persone semplici e vere che fanno cose vere, dove sono
molti più gli sbagli e le scelte poco più “scomode” rispetto al comfort di una
narrazione tradizionale, che si possono perdonare certe compressioni di
dialoghi e riflessioni che comportano a tratti un’eccessiva complessità nello
svolgersi dei fatti e a un accumulo di personaggi e situazioni in alcuni
momenti di tutt’altro che facile sbrogliamento. Ma in fondo è poca cosa
rispetto alla grandiosità di ciò che si respira, elettrizzato tra l’altro da
una fenomenale opening rockeggiante che mette la giusta carica significativa
all’opera e si ripercuote in una OST di soluzioni tanto vivaci quanto
introspettive.

Tra i pochi punti
fermi dell’animazione attuale, Yuasa sembra non sbagliare un colpo e, anzi,
pare essere in continuo, incredibile miglioramento. Avanti così.

Voto: 8,5 su 10