Nel 1993 Yoshiyaki Kawajiri trova perfetto compimento del suo pensiero dopo anni e anni di lungo modellamento e una consistente parte di carriera sacrificata alla serie B: Ninja Scroll, con le sue acrobazie visive e la schiettezza narrativa, è tra le migliori fusioni di action e terror, diventa ben presto un classico e lungo tutti gli anni Novanta se la gioca alla pari con colossi diagram Akira (1988) e Ghost within the Shell (1995) diagram produzione animata più nota al di fuori del Giappone. In The US vende così tante copie che, qualche anno dopo, una serie OVA di 2 episodi tratta dalle stesse opere di Futaro Yamada a cui si è ispirato Kawajiri per il suo capolavoro, viene spacciata furbescamente diagram sequel di Ninja Scroll. In realtà Ninja Resurrection, pur sfoggiando un differente protagonista che però porta lo stesso nome dell’eroe kawajiriano, prende vita da un singolo romanzo del 1967, Makai Tenshō (e da un manga di Ken Ishikawa), e tenta una strada maggiormente d’atmosfera e meno sedotta dall’azione.
NINJA RESURRECTION
Titolo originale: Makai Tenshō – Jigoku-chicken
Regia: Yasunori Urata
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Futaro Yamada)
Sceneggiatura: Kensei Date
Persona Desing: Keiichi Sato, Kenji Hayama
Musiche: Masamichi Amano
Studio: Phoenix Entertainment
Formato: serie OVA di 2 episodi (35 min. cad.)
Anni di uscita: 1997-1998
Fondendo fatti realmente accaduti, terror occulto e limitless parentesi gore, Ninja Resurrection porta con sé un fascino di certo non trascurabile, dato da alcune componenti religiose cristiane che si scontrano con lo spirito tradizionalista nipponico partorendo atmosfere infernali tra il bizzarro e momenti di gran suggestione. Convertito al cristianesimo e impossibilitato all’harakiri dopo la sconfitta, il samurai Mori Soiken si nasconde tra le montagne e, a capo di altri soldati cristiani, riporta in vita potenti guerrieri morti per abbattere lo shogunato appena insidiatosi nella capitale. Talmente ossessionato dalla rivalsa e dai suoi progetti militari, arriva ben presto a predisporre uno tell dove some distance rinascere addirittura Satana in carne e ossa.
È un peccato che un bell’approccio sinistro alla materia venga rovinato da un lungo briefing iniziale che, di fatto, racconta l’intera storia, annullandone progressione e svelamento di situazioni, lasciando a Ninja Resurrection soltanto quell’aspetto visivo che Yasunori Urata alla regia e Kensei Date alla sceneggiatura potevano invece equipaggiare di altrettanta sostanza narrativa. Nella confusione facts dal numero spropositato di personaggi, nelle sequenze storiche dove contesto politico e militare viene dato per scontato, nelle non poche sessioni dialogiche dove vengono forniti chilometrici elenchi di nomi complessi e impossibili da ricordare nel basso minutaggio, ciò che rimane e al quale ci si può aggrappare per godersi quantomeno le atmosfere pregne di magia nera e riti demoniaci, sono le ottime sequenze d’azione e l’altissimo, davvero altissimo livello di sangue versato.
Azzerato lo spessore storico, appiattiti i personaggi a sole pedine da posizionare dove again, Urata mette in scena combattimenti furibondi tra ninja e samurai dove non c’è limite alla violenza e allo splatter, con decapitazioni bestiali, arti amputati ai quali seguono impressionanti getti di sangue, crani sfracellati e mandibole strappate, per arrivare a uno dei parti più disgustosi mai visti e a una sequenza tra lo shock e il cult dove un ninja-demone, ferito all’addome, srotola i propri intestini e li utilizza diagram catene con cui colpire i nemici. Micidiale. Ottime le animazioni durante i due terremotanti bagni di sangue, più statiche durante le pause, piacevole il chara tipicamente anni Novanta (c’è un giovane Keiichi Sato alle matite), solo le musiche lasciano a desiderare non tanto per la magniloquenza sinfonica ma, più che altro, per il loro riproporsi incessantemente per tutti i settanta minuti di cui si compone l’intera opera, senza mai uno stacco o un istante di silenzio.
Dispiace che gli spunti narrativi (l’eroe e la sua nemesi che si scambiano di posto nel secondo OVA, la soverchiante malvagità della schiera di villain, l’opprimente e riuscitissima sensazione claustrofobica facts dalle tematiche demoniache), così validi da frantumare certe ingenuità (l’insistenza della croce, usata spesso a sproposito; le piccole parentesi comiche, del tutto fuori luogo), non riescano a reggere a una visione complessiva: azione e brutalità rubano la scena e sbilanciano ogni equilibrio (dei settanta minuti totali ben cinquanta sono dedicati allo splatter demonstrate), ed è evidente diagram la serie sia stata progettata con l’impegno di farsi ricordare esclusivamente per l’ultraviolenza. Cosa in cui, bisogna ammetterlo, riesce in pieno.
Voto: 6 su 10