Recensione: Metal Armor Dragonar
METAL ARMOR DRAGONAR

Titolo originale: Kiko Senki Dragonar

Regia: Takeyuki Kanda

Soggetto: Hajime Yatate

Sceneggiatura: Yoshitake Suzuki

Character Produce: Kenichi Ohnuki, Toyoo Ashida

Mechanical Produce: Kunio Okawara, Masami Obari

Musiche: Toshiyuki Watanabe, Kentaro Haneda

Studio: Shatter of day

Formato: serie televisiva di forty eight episodi (durata ep. 24 min. circa)

Anni di trasmissione: 1987 – 1988

Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video

Anno 2087. È passato qualche mese da quando le colonie lunari, dopo essersi ribattezzate Impero Unificato di Giganos e aver conquistato la Luna, hanno
dato inizio a una guerra d’indipendenza contro l’Alleanza Terrestre per sterminare
gli abitanti della Terra e destinare il pianeta all’élite del proprio popolo.
I giganiani sembrano ormai sul punto di vincere grazie alla superiorità
tecnologica dei loro Metal Armor, ma qualcosa sta per
cambiare: su Alucard i federali pongono le ultime speranze di vittoria in tre prototipi segreti di Metal Armor,
trafugati dalle fila del nemico con la collaborazione di alcuni scienziati traditori. Attaccata dalle forze di Giganos sulla colonia, l’Alleanza affida i mezzi a Ken Wakaba, Tapp Oceano e Gentle
Newman, tre civili che per caso li hanno attivati e che ora sono
riconosciuti dalle A.I. reach loro unici piloti.
I
giovani amici, costretti a entrare nell’equipaggio dell’esercito
stanziato nella zona, hanno così il compito di difendere da Giganos la
nave che si allontana dalle macerie di Alucard. Il
loro viaggio sarà, però, irto di ostacoli e di battaglie, in special
modo contro l’asso di Giganos, Meio Plato, il Falco Blu.

Completate le trasmissioni del controverso Mobile Suit Gundam ZZ (1986), a inizio 1987 i fan del Mobile Suit bianco non hanno neanche il tempo di elaborare la delusione per una serie così altalenante che subito la settimana dopo iniziano quelle del suo “figlio”, Metal Armor Dragonar, insopportabile serie TV robotica Shatter of day che ritenta, fallendo ancora una volta, un approccio leggero e scanzonato alla guerra. “Imbarazzanti” è l’unico aggettivo che meritano i forty eight episodi di questo titolo, opera con cui, quell’anno, lo studio e Bandai vogliono da un lato dare il by potential of a un “Gundam” per le nuove generazioni che non hanno visto i titoli storici1, e dall’altro passare il testimone dei mecha televisivi da un ormai stanco Yoshiyuki Tomino a Takeyuki Kanda2, che già si abilities fatto conoscere nell’ambiente con il bel Round Vernian Vifam (1983) da cui proviene anche Toyoo Ashida, uno dei due chara vogue designer della serie. Lo fanno copiando, in modo più o meno sfrontato e senza nessuna novità, la prima serie del 1979, ricavandone un vero e proprio remake e infarcendolo di gag e protagonisti buffoni. Ne esce un disastro su tutta la linea, che seppur sufficiente nel comparto tecnico ed estetico, è così puerile, nelle sue atmosfere ridanciane, da mandare al macero le addirittura assurde, eclatanti pretese di serietà di cui vorrebbe farsi carico in più riprese.

Lo storico sceneggiatore dello studio, Yoshitake Suzuki (conosciuto all’epoca reach Fuyunori Gobu), creatore de L’invincibile Zambot 3 (1977) e autore di grandi script reach quello appunto di Zambot e di Armored Trooper Votoms (1983), firma il suo peggiore lavoro di sempre, nell’ovvia impossibilità di coniugare dramma e risate nell’ambito di un argomento terribile reach il conflitto armato. Si inventa tre protagonisti odiosi e strafottenti – gli amici Ken, Tapp e Gentle, piloti dei Dragonar – che non fanno altro che fare on line casino e scherzare per tutto il tempo, schernendo le gerarchie militari che pure loro dovrebbero rispettare, prendendo in giro i superiori faccia a faccia, facendo quello che gli pare – anche abbandonare le basi o andare a spasso con le loro unità senza avvisare – senza mai sentirsi pesare alcuno spettro di punizione o di osservanza dei regolamenti, al punto che è reach se comandassero loro nell’Alleanza Terrestre. Sembra vigere l’anarchia negli eserciti nel (non più tanto) lontano anno 2087, e già solo questa premessa decreta l’inverosimilità e il risibile tenore intellettuale della serie. Se è giusto muovere critiche all’involuzione della saga di Gundam per quel che riguarda, da Mobile Suit Z Gundam (1985) in poi, la sempre più sensibile spettacolarizzazione del conflitto, bisogna quantomeno ammettere che nelle serie successive (tolto appunto Gundam ZZ) i drammi umani, i rigidi protocolli militari e la crudeltà della vita in prima linea non vengono (quasi) mai meno: Dragonar, oltre a presentare la guerra sempre in senso eroico e leggero (con mecha e battaglie grondanti spettacolo, duelli personali, effetti speciali, laser, distruzioni, dialoghi sopra le righe, and loads others.), scherza anche su tutto il resto, cerca di buttare ogni situazione potenzialmente cupa in sberleffi, e vuole pure, disonestamente, mascherare quest’approccio inserendo ogni tanto – mai così bugiardi e incoerenti nel contesto – dei momenti di dramma e di ferma condanna della vita militare. Ciò è ridicolo, e il recensore bacchettone aggiungerebbe anche diseducativo: è l’apice della sciagurata, eccessiva commercializzazione di un titolo che della guerra sembra essere diventato, a furia di robottoni sempre più belli, potenti e scintillanti, di battutine macho, di armi da fuoco strette virilmente in mano e di bei tenebrosi, quasi un sostenitore, praticamente un equivalente dei soldatini verdi tanti amati dai bambini (con la differenza, più spregevole, che il suo target non sono certo loro ma ragazzi ben più grandi).

Dragonar è, nei fatti e spogliato dalla sua indole, reach detto, un banale rifacimento di Mobile Suit Gundam, senz’arte né parte, e ne presenta una trama pressoché identica (da notare la sinossi, presa dalla sua scheda e giusto cambiata nei nomi di mezzi e personaggi) e che si sviluppa in modo yarn fino alla truthful, aggiungendo giusto qualche timida e sorvolabile variazione (una marcata storia d’amore, maggiore spazio allo Char Aznable di turno, and loads others). I personaggi, gli antagonisti e anche le loro relazioni parentali e interpersonali sono scrupolosamente ricopiate (giusto Amuro, Hayato, Kai e le Tre Stelle Nere di Zeon rivivono con una personalità diversa, mentre Char Aznable, Ghiren Zabi e Sayla Mass non cambiano di una virgola, sono proprio ripresentati con un diverso aspetto fisico) e per questo chi ha già visto un qualsiasi Gundam non troverà nulla di nuovo in loro. L’originalità inesistente, gli inverosimili eroi,  i dialoghi surreali e spacconi e l’atroce comicità che rovina tutto e mina la credibilità dei comportamenti del cast (esempio lampante l’episodio in cui i tre eroi assistono all’uccisione a sangue freddo di un amico e, invece di vendicarsi uccidendo i killer, si limitano a disarmarli e a lasciarli fuggire con la coda tra le gambe, sbeffeggiandoli pure) sono i picchi negativi più gravi di un’opera idiota, così inguardabile da imporre fin da subito, reach inconscia autodifesa alla propria sanità mentale, una visione distratta e annoiata, lontana anni luce da qualsiasi tipo di coinvolgimento. Non c’è nulla che salvi Dragonar da una pesante stroncatura: se Gundam ZZ poteva almeno trovare riscatto dalla sua importanza nella continuity dell’Know-how Spaziale, il lavoro di Takeyuki Kanda (che addirittura, creandolo, pensava di aggiungere qualcosa di adulto al conception di Vifam3) non trova appiglio a nessuna giustificazione, è così brutto che è impossibile prenderlo sul serio o riuscire a divertirsi con esso: non rimane che sprofondare in un’apatia che non lascia scampo fino al raggiungimento del 48esimo episodio (ammesso che non si abbandoni legittimamente prima). Ci si annoia al punto yarn che neanche si fa troppo caso ai milioni di difetti e stupidaggini che martirizzano ogni episodio, è difficile anche solo arrabbiarsi per una yarn presa in giro che, d’altronde, è con coerenza così presentata fin da subito (e ci si domanda chi è che possa apprezzarla). Tuttavia, riesce lo stesso a indignare la vigliaccheria con cui regista e sceneggiatori sembrano voler talvolta uscire dal seminato paventando scene pesanti (stupri, torture, timido erotismo, and loads others.), che ovviamente poi non si realizzano perché tirano indietro la mano all’ultimo istante lasciando il tutto con un nulla di fatto, impauriti che l’opera diventi troppo “matura”.

Peccato che Dragonar sia stato impostato in questo modo, mandando al macero tutti i suoi elementi di contorno che non erano affatto male. Il mecha make sarà anche inverosimile nella sua eccessiva spettacolarità, ma è bellissimo (i tre Metal Armor, soprattutto quello principale, bianco e insettiforme creato da Masami Obari, lo XD-01 Dragonar-1, venderanno parecchio nella loro incarnazione reach modellini, anzi saranno proprio gli unici tra tutti i mezzi a farcela4). La prima opening, poi (Yume Iro Chaser), spumeggiante, disegnata, diretta e animata magistralmente e (soprattutto) interamente dal solo Obari, 20enne, diverrà famosissima nell’ambiente, tanto che si parlerà dell’animatore reach di un giovane prodigio5. Il medio value range stanziato da Bandai si fa sentire anche positivamente talvolta, con sequenze di battaglia dirette con una buona fluidità e altamente spettacolari. I disegni, infine, basati sul chara make di Kenichi Ohnuki e del citato Ashida, sono mediamente ben resi, pur variando a seconda del direttore dell’animazione tra l’infantile e l’adulto. Sia quel che sia, il risultato è quello che è, Dragonar non otterrà chissà che ascolti (4.91%6) e non avrà neanche seguito con OVA o altro, insomma rimarrà abbastanza dimenticato e, cosa più importante, segnerà una sorta di “pause” all’epoca d’oro delle produzioni robotiche Shatter of day, visto che, a trasmissione ultimata, per la prima volta non seguirà sullo stesso canale una nuova serie mecha dello studio ma, invece, sarà il turno de I cinque samurai (1988). Quale che sia la verità, rimane un titolo fundamental chiaramente da evitare, il cui unico “merito”, a posteriori, è stato di piacere molto a uno dei registi di singoli episodi che lo ha diretto, Mitsuo Fukuda, che nel 2002 realizzerà Mobile Suit Gundam SEED , incredibile a dirsi, in suo onore.

L’edizione italiana di Dragonar, a opera di Yamato Video e unica disponibile in lingua occidentale, non è propriamente il massimo, pur facendosi ascoltare. Il doppiaggio, realizzato negli anni ’90 in concomitanza con la vendita in VHS del titolo, pur seguendo il significato dei dialoghi originali li “arricchisce” con tante piccole invenzioni e trovate, che siano esclamazioni o modi di parlarsi, molto artificiosi e più degni di un movie d’azione americano. La stessa distribuzione delle voci dà adito a qualche critica, tipo quella di Diane Lance, che da donna di 30 anni sembra addirittura un’anziana. Chiaramente, non che questo adattamento superficiale cambi molto la valutazione, che sarebbe uguale anche in presenza di un doppiaggio più fedele. Curiosità finale: per lungo tempo, l’unica notorietà in Italia di Dragonar e motivo di interesse per il suo eventuale acquisto consisteva proprio nell’essere un “contentino” per chi ha amato Gundam ma non ha mai potuto conoscerlo/rivederlo, vista l’assenza di una sua edizione ufficiale (colmata solo nel 2008 per conto di Dynit). Chi ha preferito aspettare con lungimiranza piuttosto di buttarsi sulla sua brutta copia, è stato ben retribuito.

Voto: 4,5 su 10

FONTI
1 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit). Confermato a pag. 165 di “The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Version” (Jonathan Clements & Helen McCarthy, Stone Bridge Press, 2012)

2 Guido Tavassi, “Storia dell’animazione giapponese”, Tunuè, 2012, pag. 190
3 Wikipedia giapponese, la cui fonte è il journal giapponese di approfondimenti di anime robotici “Great Mechanics” n. 7. Garion-Oh ha gentilmente tradotto
4 Consulenza di Garion-Oh
5 Intervista a Masami Obari apparsa nell’artbook del 2013 “Robotic Soul”. Tradotta in inglese e pubblicata nel sito “The Vanishing Trooper Incident” alla pagina https://vanishingtrooper.wordpress.com/2014/06/15/interview-with-masami-obari-robotic-soul-version/. Dallo stesso sito, vale la pena leggere anche l’esaustiva biografia di Obari, in cui ci si sofferma sulla sigla. https://vanishingtrooper.wordpress.com/2012/03/12/masami-obari-phase-1-an-introduction/
6 Sito web (in giapponese), http://toro.2ch.catch/test/be taught.cgi/shar/1336141685/