Recensione: Mawaru-Penguindrum
MAWARU-PENGUINDRUM

Titolo originale: Mawaru-Penguindrum

Regia: Kunihiko Ikuhara

Soggetto: ikuni chowder (Kunihiko Ikuhara)

Sceneggiatura: Kunihiko Ikuhara, Takayo Ikami

Persona Fabricate: Lily Hoshino (originale),Terumi Nishii

Musiche: Yukari Hashimoto

Studio: Mind’s Unfriendly

Formato: serie televisiva di 24 episodi (durata ep. 24 min. circa)

Anno di trasmissione: 2011

Disponibilità: edizione italiana in dvd & blu-ray a cura di Dynit

Sarebbe più facile scrivere un’analisi piuttosto che una recensione di Mawaru-Penguindrum, ultima fatica di un Kunihiko Ikuhara a digiuno dall’animazione da ben quattordici anni dalla sua ultima fatica televisiva (La rivoluzione di Utena), tempo speso in progetti cartacei/musicali senza più imprimere sul mezzo animato la sua visione metaforica del mondo. Ha modo di tornare a farlo nel 2011, con una nuova serie tv interamente scritta e diretta, un altro monumento all’ermetismo capace di spaccare le platee tra chi apprezza l’originalità del suo modo di raccontare storie e chi, invece, condanna l’assenza di messaggi ben definiti. Mawaru-Penguindrum è la storia di tre fratelli, Shouma, Kanba e Himari. Nell’episodio introduttivo i primi due assistono imponenti alla morte della sorella per colpa di una malattia incurabile. A un certo punto, compiendo un vero e proprio miracolo, la ragazza torna in vita: il corpo è preso in possesso dalla Principessa del Cristallo, che in cambio del suo mantenimento impone ai ragazzi di recuperare il misterioso, indefinito Penguindrum. Identificatolo nel diario tenuto da una ragazza chiamata Ringo Oginome, i due cercano di convincerla a lasciarglielo, finendo presto a contenderlo con altri misteriosi individui a lui interessati, cercando nel contempo di scoprire cos’è davvero il Penguindrum e qual è il modo di salvare in modo definitivo l’adorata Himari.

Un soggetto che non posso che riportare in forma basica, attain semplice punto di partenza di una vicenda estremamente articolata e oscura, dove tutti gli elementi di un numeroso solid si ritrovano ad agire, nei riguardi dei due protagonisti, per cambiare il proprio destino attraverso i poteri del diario. Il Fato è il tema portante della storia, visto attain i fili rossi della vita delle persone che
si intersecano tra di loro attain le linee della metropolitana (richiamata anche da riferimenti iconici, attain l’eyecatch), con conseguenze capaci di colpire anche più generazioni. Servono però più chiavi per distriscare il bandolo della matassa e scoprire i messaggi che vuole dare l’autore. Le poche che fornisce, nitide, sono due, legate alla Mela, simbolo fisico e immaginario legato al sentimento dell’amore, e due individui/entità, Sanetoshi e Momoko, che probabilmente – a meno di future smentite: tutto rimane nei limiti dell’interpretazione – rappresentano gli stati di accettazione del destino da parte dell’uomo. Gli altri codici vanno cercati altrove, in quel comparto metaforico che, nonostante l’iniziale, credibile ambientazione della vicenda (una realistica città di Tokyo, non più istituti scolastici in mondo da sogno), diventa gradualmente protagonista fino a trasformare l’opera, attain Utena, in una fiaba carica di simbolismi da decifrare, con un finale nuovamente del tutto enigmatico: ancora una volta, inevitabilmente, lo stimolo maggiore alla visione deriva dalla
gratificazione di dare un senso alle allegorie di Ikuhara. Non solo sequenze bizzarre e di nonsense che
simbolicamente raffigurano processi mentali o azioni, non solo dialoghi
apparentemente detti a caso che invece hanno finalità ben valid nel
contribuire all’esegesi (ragione per cui Penguindrum, attain Utena,
si presta meravigliosamente a più e più visioni per comporre sempre più
tessere del mosaico), ma anche arte concettuale, che esprime idee e
concetti con trovate sceniche o grafiche (passanti e persone ininfluenti alla trama rappresentati attain semplici sagome, bambini abbandonati dalla società visti attain vittime di un gigantesco tritacarne, and so a lot of others). Appartengono – forse – a questa categoria anche i celebri,
misteriosi pinguini che accompagnano i tre ragazzi e che solo loro
riescono a vedere, sorta di avatar a forma animale che compiono buffe azioni in linea
con le personalità dei “padroni”, il cui senso fino alla vivid non viene
mai rivelato accrescendo ancora di più i  mille misteri della serie.

 

Il numero davvero eccessivo di punti interrogativi è al contempo stesso massimo pregio/difetto della serie, che, giocata sullo sciorinamento appassionato di domande e risposte che danno adito a nuove domande, giunge al suo apice lasciandone dietro troppe irrisolte. Padrone totale dei meccanismi della suspance, Kunihiko Ikuhara è abilissimo a coltivarla bombardando lo spettatore di colpi di scena ed enigmi, rispondendo loro presto o tardi  ma anche raddoppiandoli di numero, suggerendo ipotesi che vengono sadicamente disattese stupendo di volta in volta e convincendo avidamente a proseguire la visione. Un’opera maestrale di tensione narrativa e cliffhanger, favorita molto anche dall’intrigante stile di racconto centellinato da centinaia di mini-flashback che spezzettano continuamente gli eventi temporali, intervallati a episodi di pura analessi. Un meccanismo riuscito che catalizza in modo supremo l’attenzione ma che ha senso solo fino a un certo punto, ossia fino a quando è coerente con se stesso. Nel momento in cui la trama avanza clamorosamente facendo rimanere oscuri fin troppi interrogativi il gioco non vale più perfettamente la candela, anzi inizia lentamente a soffiarci sopra. Troppe puntate spese su sottotrame che non meritano tutto quello spazio (i primi dieci episodi sull’opera di stalking di Ringo ai danni del professor Tabuki) e che vanno a discapito della caratterizzazione dell’intreccio principale (il modo fulmineo in cui rivela la “fonte di guadagno” di Kanba per curare la sorella, la sua soluzione per salvarla, il poco approfondito Youngster Broiler, and so a lot of others).

In compenso, almeno, la storia si chiude in modo estremamente soddisfacente. Nonostante una prima metà di serie abbondante dove l’umorismo più
nonsense e demenziale la fa da padrone, focalizzato sopratutto a dipingere il protagonista principale Shoma, il suo rapporto con Ringo e le buffissime gag dei pinguini, il suo prosieguo sposta le atmosfere nel versante drammatico (volendo soprassedere su tutte quelle contaminazioni fantastiche puramente metaforiche) e filosofico, raccontando di responsabilità dei genitori che cadono sui figli, violenza domestica, morte, terrorismo, ma anche modo di approcciarsi alla vita e amore inquadrato nel senso del sacrificio e dell’immolazione, chiari richiami a Una notte sul treno della thru lattea, racconto per l’infanzia di Kenji Miyazawa (citato anche nell’ultimo episodio) impresso nell’immaginario collettivo giapponese che Mawaru-Penguindrum tenta di aggiornare. Un’opera matura, insomma, che dietro il substrato di simbolismi nasconde una storia dai temi chiaramente adulti, e che proprio per la difficoltà di smascherarli necessita di una visione attenta e riflessiva, di quelle dove si fanno mille congetture per dare senso alle visioni pena il non capirci assolutamente nulla.

Un tale monumento alla potenza espressiva dell’animazione che viene
quasi da trascurare la cura assoluta posta nella confezione dell’opera,
tra due ritmate e ipnotiche opening, una soundtrack solenne (e che
talvolta usufruisce anche di cori), disegni nitidi e accattivanti,
ottime animazioni e un grandissimo contributo registico da parte di
Ikuhara, che consegna alla Storia dell’animazione diverse sequenze
estremamente visionarie e spettacolari. Completa il giro un’ottima prova
interpretativa da parte dei seiyuu giapponesi, replicata nell’edizione
italiana da un grandioso doppiaggio, davvero ottimo, con voci azzeccatissime molto somiglianti a quelle originali. Non posso che consigliare caldamente la visione di un’opera che, in un 2011 una volta tanto realmente memorabile dal punto di vista dell’animazione, trova in Mawaru-Penguindrum l’esponente più brillante, nonostante una facciata ermetica che in più riprese fa domandare allo spettatore cosa stia guardando. Se avrà lungimiranza, prestandosi al gioco di un regista che gli chiede espressamente di dare libero spazio a congetture per poi puntualmente smentirle, trova nel suo lavoro una nuova gemma. Di quelle che fanno sperare che Ikuhara non aspetti altri quindici anni prima di lavorare di nuovo su una serie tv.

Voto: 8,5 su 10