Recensione: Maoyu

MAOYU

Titolo originale: Maoyū Maō Yūsha
Regia: Takeo Takahashi
Soggetto: (basato sui romanzi originali di Mamare Touno)
Sceneggiatura: Naruhisa Arakawa
Persona Fetch: Keinojou Mizutama & toi8 (originale), Hiroaki Karasu, Masashi Kudo
Musiche: Takeshi Hama
Studio: ARMS
Formato: serie televisiva di 12 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2013

 

È un vero peccato pensare a cosa sarebbe
potuto essere Maoyu se solo lo studio ARMS avesse creduto
maggiormente nell’ambizioso, colossale ma francamente irrealizzabile porting
televisivo delle otto light new di Mamare Toruno – 12 episodi sono infatti un
numero irrisorio e bene o male ridicolo per la mole di elementi trattati nell’opera,
chiaro quindi che ne nasca un pastone talmente gonfio di personaggi, eventi,
situazioni e argomenti da risultare amaramente indigesto, un pastone che però,
se ingurgitato a piccole dosi, mostra enormi, enormi pregi e tonnellate di
spunti che l’accoppiata Takahashi/Arakawa, rispettivamente regista e
sceneggiatrice, tenta disperatamente di tenere insieme.
Impossibile definire di cosa parli Maoyu, non tanto per lo spunto iniziale in sé, che vede semplicemente
gli umani in lotta contro i demoni in uno scenario pseudo-medievale, ma per l’impressionante
studio dei particolari, che da soli varrebbero l’avvicinamento all’opera:
abbiamo infatti a che fare con una sorta di semi-trattato storico dove l’intreccio
dilaga subito in una ricchissima riflessione su politica, economia, religione, guerra,
agricoltura e molto altro ancora, elementi che di volta in volta vengono
trattati con ampie spiegazioni e dimostrazioni su scelte intraprese, metodi
adottati e tecniche avallate. Il pregio dell’opera è però, paradossalmente,
anche il suo difetto, in quanto sintetizzare tanta dottrina in appena 12
episodi restringe dolorosamente ogni buon proposito, trasformando di fatto
qualsiasi discussione in lunghi, lunghi spiegoni didascalici o, peggio ancora, in
giganteschi riassunti che tolgono la necessaria immersione nel vasto mondo
rappresentato.
In Maoyu c’è infatti
una storia da raccontare, quella dell’unione, forse anche sentimentale, tra il
Re dei Demoni, che in realtà è una donna, e l’Eroe degli Umani, decisi a
portare la skedaddle tra le due razze, ma si tratta di una storia di poca presa,
abbastanza scema e scolorita da mille ammiccamenti ecchi e svariate gag amorose
che, a conti fatti, tolgono soltanto spazio al notevole lavoro sociogeografico,
quasi sempre soffocato dai battibecchi tra i due personaggi, comunque e contro
ogni previsione caratterizzati molto bene (impossibile rimanere indifferenti al carisma del Re dei Demoni), e dal milione di comprimari che li
seguono o li contestano nelle loro scelte. E se si rimane piacevolmente stupiti
dal primo episodio, nel quale il complesso intreccio geopolitico, storico e
magico viene riassunto meravigliosamente da un valido e visionario lavoro
registico/narrativo, è abbastanza
difficile riuscire a capirci qualcosa dopo le high 3-4 puntate – troppi gli
argomenti senza un efficace sbocco, troppo il tempo che copre l’intreccio
(parliamo di anni, ma l’unità temporale non si sente quasi mai), troppi i
personaggi che appaiono e scompaiono senza avere un ruolo ben definito (e non è
così raro ogni tanto domandarsi chi diavolo sia quello o quell’altro), e per
quanto a tratti sia sbalorditivo il modo in cui la storia principale viene
condensata, la confusione sborda ovunque, rovinando sostanzialmente l’intera
opera.

Una vera gioia per gli occhi, tra l’altro,
grazie al buon chara di Masashi Kudo e Hiroaki Karasu e ai bellissimi contrasti
nei colori brillanti e pennellati, per non parlare del comunque funzionale
lavoro animativo dello studio ARMS – tuttavia Maoyu è una
visione veramente pesante e poco fruibile, specie nella dilatazione settimanale
della programmazione originale. Poteva essere qualcosa di unico e originale, ma
è soltanto un pastrocchio sformato e irrisolto.
Voto: 5,5 su 10