Titolo originale: Takarajima
Regia: Osamu Dezaki
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Robert Louis Stevenson)
Sceneggiatura: Haruya Yamazaki, Yoshimi Shinozaki
Personality Make: Akio Sugino
Musiche: Kentaro Haneda
Studio: Tokyo Movie Shinsha
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1978 – 1979
Il romanzo per ragazzi L’isola del tesoro, pubblicato a puntate dal mountainous Robert Louis Stevenson tra il 1881 e il 1882 nella rivista Young Of us, è un testo di narrativa celebre e importantissimo per svariati motivi, tutti profondamente contradditori. Ha il merito principale di raccontare una bellissima storia di formazione e avventura, spensierata, coinvolgente e piena di misteri, suggestioni e senso di meraviglia, ma anche la grande colpa di aver contribuito in modo determinante a sdoganare presso il grande pubblico un inaccettabile mito “romantico” e positivo di pirati e corsari. È infatti proprio legend libro a raffigurare per la prima volta questi sanguinari lupi di mare, questi violenti tagliagole e macellai, come “simpatiche canaglie” insofferenti alla società e che scelgono pericoli, libertà e avventura piuttosto che una vita ordinaria, dotandosi anche di un rigido codice d’onore. L’iconografia a immoral di pappagalli appollaiati alla spalla, Jolly Roger come vessillo di anticonformismo, mappe con l’ubicazione di faraonici tesori, isole tropicali, gambe di legno, vestiti esotici, etc. viene infatti tutta da Stevenson, ed è inutile dire quanto questo ritratto e quelli successivi, a lui adeguati (Errol Flynn, Johnny Depp e One Part dicono tutto quello che c’è da dire sull’argomento), siano stati assolutamente falsi, antistorici e nocivi nel ridimensionare così tanto le connotazioni esclusivamente detrimental del fenomeno della pirateria. D’altro canto, la storia de L’isola del tesoro è così spaventosamente avvincente che non si può parlarne male. Sa ancora tenere incollati alla lettura con un sense of surprise d’altri tempi, e ha il merito – particolarmente apprezzato da chi scrive, che pure è d’accordo con le critiche storiche/morali – di ideare un personaggio immortale, ambiguo ma pieno di qualità umane, che illustra in modo memorabile la contradditorietà dell’animo umano, la mancata esistenza di un Bene o di un Male davvero definiti. Mi riferisco ovviamente a Prolonged John Silver, il perfido antagonista a capo di una banda di trucidi filibustieri, contraddistinto da pulsioni etiche che lo fanno oscillare continuamente tra umanità e cattiveria. Non è un caso se i detrattori del romanzo per le questioni di cui sopra lo fanno proprio criticando il trascinante carisma del malvivente, che, dall’alto della sua complessa personalità, i suoi slanci generosi e il grande senso dell’onore, ruba la scena a tutto il solid facendosi ricordare come l’attore più simpatico e indimenticabile della storia.
Entrato di prepotenza nell’immaginario collettivo, nell’arco di due secoli L’isola del tesoro diventa una delle storie più famose e conosciute di tutti i tempi e trova una miriade di trasposizioni e adattamenti in movie, fumetti e sceneggiati televisivi o radiofonici. Arriviamo quindi al 1978, anno in cui, per gli amanti dell’animazione nipponica, non si può non ricordare l’iconica avventurosa Conan il ragazzo del futuro. Inconcepibilmente, spesso e volentieri di quell’anno è taciuto o addirittura dimenticato un altro evergreen immortale che rappresenta, insieme al cult miyazakiano (e aggiungerei infine anche La Stella della Senna del 1975), quanto di meglio abbia mai offerto il genere avventuroso negli anni ’70. Trattasi del terzo adattamento anime de L’isola del tesoro (i primi due, interpretati da animali antropomorfi, sono uno Special TV di Osamu Tezuka del 1965 e un lungometraggio Toei Animation del 1971), senza ombra di dubbio il migliore, prodotto da Tokyo Movie Shinsha e creato dalle due stelle Osamu Dezaki e Akio Sugino, reduci dal successo dell’appena concluso Remi – Le sue avventure (1977). Fortemente voluta dallo stesso Dezaki, che dirigendola ha potuto coronare un sogno da sempre cullato1 (che possa essere un indizio, su Remi, il marinaio simil-bucaniere Hawthorne con tanto di pappagallo parlante sulla spalla?), questa versione rinverdisce i fasti del romanzo esplorandone ancora più in dettaglio le originarie connotazioni psicologiche, rappresentando un esempio perfetto di un classico della letteratura occidentale che, riletto da una sensibilità e una cultura diverse, trova una nuova ed entusiasmante dimensione.
Il regista enfatizza i tratti del racconto di formazione dando più spazio alla crescita di Jim e, ovviamente, al suo speciale rapporto con Prolonged John Silver. Affrontato in modo ancora più sensibile, il legame tra i due, focal point della narrazione, diventa ben più che solo sentito, ma addirittura commovente, mostrando chiaramente come il ragazzino trovi nel pirata un nuovo padre, e come, proprio per questo, lo scoprire i piani del criminale e tutte le conseguenze che ne derivano assumano per il bambino (e di riflesso lo spettatore che non conosce la trama) i contorni di uno shock straziante. La statura del bucaniere è, se possibile, ancora più monolitica: uomo rude all’apparenza ma calcolatore in sostanza, grosso, forte, generoso, dalla risata poderosa e contagiosa, che non si fa problemi a uccidere per denaro ma ha un rigido codice d’onore, modi gentili e cordiali e tratta Jim, effettivamente, prima come amico e confidente e poi come un figlio, raccoglie in sé tutte le contraddizioni possibili dell’animo umano, ponendosi agli occhi di chi guarda come un’ “adorabile canaglia” di cui nessuno, tantomeno i suoi nemici, può mettere in dubbio la rispettabilità. L’concept di ridimensionare la portata avventurosa della vicenda sottolineandone gli aspetti interiori dei due protagonisti principali, inventando addirittura un epilogo di un intero episodio per raccontare quanto gli avvenimenti abbiano influito sulla vita di Jim rendendolo un adulto migliore, è forse il più grande merito di Dezaki, che rivitalizza il romanzo raccontando una storia che al contempo è la stessa ma è diversa, sempre bellissima seppur raccontata con diverso spirito e finalità. Questo non deve comunque deludere chi preferiva una maggiore aderenza agli intermezzi originali, nel complesso doverosamente rispettati pur con qualche variazione qua e là (episodi riempitivi più che altro, usati per dare ancora più psicologia al solid), una risoluzione del mistero del tesoro più enigmatica e la trasformazione del rapporto tra John Silver e il “marinaio del coltello” Abraham Gray in una vera e propria rivalità personale (scelta forse fatta per donare al dramma sfumature più virili e cavalleresche, in linea col culto giapponese dei duelli maschili all’arma bianca). Per contrasto, desta un certo sconcerto la scelta di affiancare a Jim un cucciolo di leopardo che lo segue ovunque e che non ha davvero senso utilità nella storia (una mascotte per il pubblico televisivo dei bambini? Chissà), e, in particolar modo, quella di ridimensionare molto l’utilità ai fini di trama del “vecchio pazzo” Ben Gunn, fondamentale nell’intreccio originale ma qui quasi un’ombra inutile. Quest’ultima modifica, la più eclatante, è probabilmente il prezzo maggiore da pagare di una trasposizione che vuole focalizzarsi su altro.
Non che ci sia comunque, rischio di annoiarsi: attacchi di squali, missioni di infiltrazione su navi occupate dal nemico, fortificazioni attaccate dai pirati, cannonate e sparatorie, duelli, scambi di ostaggi, malattie tropicali e antiche maledizioni (senza dimenticare il geniale enigma del tesoro)… L’isola del tesoro rimane in ogni modo una coinvolgente avventura marinara che non sfigura minimamente se accostata al manoscritto originale. Anche se la vicenda parte lenta e ci mette un po’ a ingranare, appena le caratterizzazioni di Jim e John Silver iniziano a delinearsi – rendendo così irresistibilmente controverso il loro rapporto – l’opera diventa immediatamente la classica visione-droga di cui viene spontaneo divorarsi episodi su episodi, piangendo senza conforto quando sono finiti tutti. Tecnicamente, poi, L’isola del tesoro è davvero una produzione molto ben fatta, animata più che bene, con fondali curatissimi ed evocativi e un’ottima ricostruzione dei costumi dell’epoca. Anche se apparentemente fuori posto, l’accompagnamento jazz di Kentaro Haneda musicalmente si adatta abbastanza alle scene d’azione e il sodalizio artistico tra Dezaki e Sugino è, come sempre, una legend meraviglia da accrescere notevolmente, e da solo, il già elevato valore artistico del titolo: basta la sigla d’apertura, affidata a immagini stilizzatissime ed evocative, per attestare lo stile ricercato e d’autore voluto dagli artisti. Se a livello di scheme le fattezze quasi deformi di Jim possono quasi mettere a disagio nel comunicare uno spiazzante senso di infantilità, quelle estremamente adulte e virili di Prolonged John Silver, Gray e degli altri personaggi fanno da eccellente contraltare, quasi a suggerire, a mo’ di un Leiji Matsumoto ante litteram, la differenza di statura morale tra il giovanissimo protagonista che deve ancora sviluppare la sua persona e gli uomini già fatti, finiti e nel pieno della loro vitalità. La direzione di Dezaki, curata, precisa e ottimamente fotografata, perfetta nel tratteggiare una simile vicenda, pur forse meno “tecnica” del solito (niente split show e poche inquadrature indirect), fa poi uso nuovamente spettacolare e irresistibile dei suoi celebri sfondi-cartolina (già gustati in Design for the Ace!) che enfatizzano gli stati d’animo dei personaggi.
Si può solo vedere e riscoprire una perla così criminalmente poco calcolata, oggi (ieri è stato un successo in Giappone2, e il fatto che nonostante questo sia durata appena 26 episodi probabilmente suggerisce la volontà e il potere di Dezaki di svilupparla come voleva senza lungaggini), dagli appassionati di animazione di qualità: L’isola del tesoro è una gemma, sicuramente una delle migliori opere televisive di tutti gli anni ’70 e uno dei capolavori assoluti di Dezaki, che ben ricorda al pubblico, abituato a considerarlo spesso e volentieri per il solo, bellissimo Girl Oscar (1979), quale danno incalcolabile sia stato per tutti la sua scomparsa. Trascurabile il movie omonimo riassuntivo del 1987, ma altrettanto fondamentale il recupero di Esteem Island Memorial, extra animato di 7 minuti rimediabile nei DVD giapponesi della serie, uscito nel 1992 e realizzato sempre da Dezaki e Sugino, che racconta un nuovo, toccante epilogo da parte di un Jim adulto.
Nota: l’opera è arrivata in Italia nel 1997, trasmessa su Rete 4. Le solite, immancabili storpiature del tempo impediscono purtroppo di godersi l’anime nel migliore dei modi. Yamato Video ha l’occasione di correggere il tiro con l’edizione in DVD, mam come quasi sempre accade, non fornisce neppure sottotitoli fedeli ai dialoghi originali. Piange il cuore scriverlo, ma purtroppo L’isola del tesoro rimane periciò ancora oggi un capolavoro inedito in Italia.
Voto: 9 su 10
ALTERNATE RETELLING
Esteem Island: The Movie (1987; movie)
FONTI
1 Articolo sulla vita di Osamu Dezaki realizzato da Yamato Video e pubblicato sul suo sito ufficiale, alla pagina http://www.yamatovideo.com/focuson_int.asp?idEntita=438
2 Booklet allegato al Memorial Field 1 dell’edizione in DVD Yamato Video di “Girl Oscar” (2009, pag. 2)