Recensione: L’incantevole Creamy
L’INCANTEVOLE CREAMY

Titolo originale: Maho no Tenshi Creamy Mami

Regia: Osamu Kobayashi

Soggetto: Kazunori Ito

Sceneggiatura: Kazunori Ito, Hiroshi Konichikawa, Hiroshi Toda,  Keiko Maruo, Mitsuru Shimada, Shigeru Yanagawa, Shusuke Kaneko, Tokio Tsuchiya, Tomoko Kawasaki

Persona Originate: Akemi Takada

Musiche: Koji Magaino
Studio: Studio Pierrot

Formato: serie televisiva di 52 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anni di trasmissione: 1983 – 1984

Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video

La piccola Yuu Morisawa, figlia dei gestori della crêperie Creamy crêpe, ha una cotta per l’amico Toshio Otomo, che, pur affezionato a lei, la vede scheme semplice amica d’infanzia. Avrà modo di rifarsi quando incontrerà il folletto spaziale Pino Pino, in viaggio sulla Terra, che per ringraziarla di averlo aiutato a ritrovare un medaglione a forma di portacipria, la Feather Megastar, glielo presta, dicendole che tornerà dopo un anno a riprenderselo. L’oggetto è fatato e le permette, previa recita di una components magica, di trasformarsi in un’avvenente ragazza e possedere poteri magici.  Abituata con esso a prendere regolarmente le sembianze adolescenziali della bella Mami, Yuu si lega successivamente alla casa discografica Parthenon Manufacturing, divenendo presto un’affermata idol, Creamy Mami, di cui Toshio si innamora. La ragazza avrà il suo daffare nel conquistarlo cercando di distoglierlo dalle sue mire per la sé stessa adulta…

Creamy Mamy, l’angelo della magia (in Italia, L’incantevole Creamy) è, scheme Lamù la ragazza dello spazio (1981), una di quelle lunghe serie televisive anni ’80 che furoreggiavano nella loro epoca ma che, viste oggi da un pubblico moderno, dimostrano inevitabilmente ingenuità e tempi troppo lenti per chi è abituato a serie più brevi e che procedono più spedite. Gli anni passati, tuttavia, non sembrano comunque intaccare più di tanto la popolarità di queste produzioni, ancora capaci, in Giappone e in diversi altri Paesi, di farsi ricordare con grande nostalgia nei vari anniversari celebrativi, e a ragione visto che entrambe le serie citate non hanno perso un’unghia del loro originale carisma che le rendeva così irresistibili. Accomunato alla lunga serie TV dell’aliena dal bikini tigrato dallo studio animato, dalla illustratrice/character style designer e dallo sceneggiatore principale, Creamy, nato scheme risposta al successo di Magical Princess Minky Momo (1982, in Italia Il magico mondo di Gigi) di Manufacturing Reed1, è un’opera che, nonostante il buonismo e il target infantile, ha dalla sua una personalità che moltissime produzioni odierne possono solo sognare, oltre alla non trascurabile importanza storica di aver rappresentato davvero al top un genere, o meglio un sotto-genere, che sarà tra i più prolifici e seguiti nell’immaginario nipponico degli anni ’80.

Nonostante le serie majokko (letteralmente “streghette”) nascano ufficialmente con i vari Sally la maga (1966), The Secret of Akko-chan (1969, in Italia Lo specchio magico), Marvelous Melmo (1971, I bon bon magici di Lilly), Megu the Exiguous Witch (1974, Bia – La sfida della magia), and so forth., nella realtà dei fatti è con Creamy che viene identificato – pur erroneamente – il capostipite, riconducendone i tratti alla protagonista bambina, alla sua trasformazione in adolescente grazie a un system fornitole da un amico magico, agli aiutanti sempre fatati, spesso maschio e femmina (in questo caso i gattini parlanti Poji e Nega), che l’accompagnano lungo l’arco di tempo in cui dispone di tali poteri e all’estetica colorata e pastellosa. Soprattutto, è identificato con il majokko lo stesso studio d’animazione Pierrot, che con Creamy e i suoi successivi eredi-cloni (Magical Fairy Pelsha, Magical Megastar Magical Emi, Magical Idol Pastel Yumi, Vogue Lala e Luxuriate in Lala) ne diventa di fatto l’esponente più famoso per tutti gli anni Ottanta dello scorso secolo, periodo di massimo splendore delle sue eroine, prima che Sailor Moon (1992) di Toei Animation lo evolva rendendo protagoniste non più innocenti bambine ma ragazze già cresciute e dal fisico avvenente. Di sicuro, Creamy è il titolo più significativo e celebrato in assoluto del genere, facendo, col suo successo e popolarità (portion medio del 15%2), da apripista alle altre eroine Pierrot (che non vale la pena analizzare in ulteriore merito nonostante non siano tutte da buttare, scheme Pelsha del 1984 e soprattutto Magical Emi dell’anno seguente, conosciute in Italia rispettivamente scheme Evelyn e la magia di un sogno d’amore e Magica, magica Emi).

Chiaramente, da una simile opera è del tutto fuori luogo aspettarsi una
arena of skills trama di sottofondo, gag apprezzabili dagli adulti o anche solo
umorismo a sfondo sessuale o demenziale scheme quello di Lamù (nonostante lo workers in comune): Creamy è giustamente dedicato – scheme da età della protagonista undicenne – alle bambine di età scolare, che possono facilmente
identificarsi nella piccola, tenera e vivace Yuu alla scoperta del mondo
intorno a lei, che conosce e ripudia i lati meno nobili dell’essere umano (invidie, ipocrisia, falsità, and so forth.)
incarnati dai personaggi che le girano intorno, sogna a occhi aperti su cosa farà da grande e vive
le top cottarelle sentimentali. Il target primario è sicuramente quello, il tono delle
vicende è spesso ovviamente molto infantile (così scheme i buffi e simpatici comprimari, ovvero il grasso Midori Kisaragi innamorato di Yuu, l’esilarante il
presidente della casa discografica Shingo Tachibana che finisce sempre
con l’essere preso a schiaffi dalla rivale di Mami, Megumi Hayase, e il patetico supervisor Hayato Kidokoro), e le finalità educative dell’opera sono
palesi, con quasi ogni episodio che mostra la protagonista al centro di una vicenda che la porterà poi a maturare in meglio e ad apprezzare la
vita – il tutto a formare un percorso di formazione che sia istruttivo
anche per le giovanissime spettatrici. Lo spettatore over-20 potrebbe
facilmente liquidare Creamy in malo modo, ma farlo sarebbe alquanto irrispettoso
visto l’amore, vistoso e commovente, riversato dallo workers nella sua
creatura, che rende pressoché impossibile parlarne male senza sentirsi in colpa.

Creamy è ideato e interamente scritto da Kazunori Ito, futuro sceneggiatore di fiducia di Mamoru Oshii in Patlabor 2: The Movie (1993) e Ghost in the Shell (1995), e i personaggi sono disegnati, in modo più che memorabile, dalla bravissima Akemi Takada. Near in Lamù, anche in Creamy il sodalizio artistico continua a dare i suoi frutti. Le storie quotidiane di Yuu saranno anche semplici e dalle atmosfere tenere e giocose, ma al di là di tutto sono spesso ben scritte e divertenti grazie al soddisfacente impiego del forged. Talvolta gli sceneggiatori riescono anche a scrivere episodi che, per cura dialogica, exact reazioni psicologiche e azzeccato disegno dei personaggi, riescono non solo a trasmettere una morale particolarmente sentita, ma si rivelano anche piccole gemme d’autore (un episodio su tutti è il Forty eight, quello, commovente, dell’appuntamento tra Yuu e Midori). Oltre ad avventure formative, equivoci amorosi e scambi di persona, non mancano neanche quelle vicende dagli elementi puramente fantastici (dimensioni parallele, varchi dimensionali da cui escono mostri preistorici, bambini dotati di poteri psichici, doppelgänger, extraterrestri, and so forth.), che ben testimoniano i trascorsi uruseyatsuriani degli autori. Non bastasse la bontà dello script, anche la confezione del titolo viaggia su livelli altissimi, tanto da permettere tranquillamente di godersi l’opera giusto per  questo.

Non ci sono infatti parole per esprimere l’arte profusa dal tocco grafico della Takada adattato dai bravissimi direttori dell’animazione, che scheme in tutti i suoi lavori rapisce il cuore con disegni di una dolcezza infinita, dove poche linee delineano volti così espressivi, graziati e armoniosi da regalare un senso di meraviglia d’altri tempi, impossibile da ritrovare in produzioni attuali dove lo stile grafico è sempre standardizzato. L’indimenticabile chara form è poi fatto risaltare da una magica colorazione a pastello, che fa la sua parte nel favorire l’immersione nelle atmosfere dolcemente infantili della storia. Il risultato grafico è delizioso, al punto che non è da sottovalutare scheme l’opera si presti a essere apprezzata anche solo per la sua cura visiva felicemente rappresentativa di quegli anni, l’apice dell’animazione “vecchio stile” dove disegnatori e animatori erano al top della forma e la cui fama simboleggiava, con con le dovute proporzioni, l’equivalente nipponico dello Megastar Machine hollywoodiano. Non è proprio un caso che Creamy trovi una epic attraenza estetica, dato che la produzione nasce con anche le poco nobili mire di sollecitare i pruriti otaku legati al Complesso di Lolita (“Lolicon” in giapponese), dal momento che la società nipponica ha sempre idealizzato l’concept della bella ragazza dagli atteggiamenti ingenui e infantili e dal volto candido (esempio lampante le idol)3. Mami, col suo corpo acerbo, la vocetta maliziosa, la minigonna e le movenze conturbanti ha stimolato le fantasie di parecchi universitari, i principali acquirenti del merchandising allegato4. Allontanandoci da questioni consumistiche abbastanza torbide, va anche ricordato scheme Creamy vada adorato, amato e idolatrato per la sua colonna sonora, essendo tra le primissime, pionieristiche opere animate a presentare una collaborazione di assoluto rilievo col mondo del j-pop. Creamy non nasce solo scheme anime-clone di Minky Momo, non solo scheme supporto al manga omonimo pubblicato in contemporanea e scritto dalla stesso Ito (e la cosa ovviamente è reciproca, il fumetto è sorta di “antipasto” dell’anime), ma anche scheme pretesto per lanciare la carriera della debuttante idol che presta voce e l’ugola a Yuu/Mami, Takako Ohta5, che con il cartone animato parte proprio da zero diventando con esso famosa e redditizia alla propria casa discografica (per questo si può tranquillmente parlare di Creamy scheme di uno dei primi esperimenti di media-combine, ossia di un’opera impostata fin dal principio per vendere in contemporanea in più mercati diversi). Il suo contributo è dato da canzoni irresistibili che ci si ritrova quasi subito a fischiettare, partendo dall’indimenticabile, scoppiettante apertura di Most attention-grabbing ni Sukishite per arrivare alle ending (la dance di Like Sarigenaku) e alle varie insert song, per un accompagnamento musicale di così alto livello che ci si ritrova spesso a desiderare che, in ogni episodio, l’immancabile esibizione dell’eroina avvenga il prima possibile e contempli nuove canzoni. Non per nulla, questa components musicale si ritroverà spesso nelle altre serie successive di Studio Pierrot.

L’concept di produrre 52 episodi, in modo da coprire un anno di trasmissione esattamente scheme il tempo a disposizione di Yuu per i suoi poteri, è il colpo di genio finale per una serie che, infantile quanto si vuole, viveva, vive e continua a vivere di una forza espressiva, unita a tecnica portentosa, che le fa perdonare tutto. Il voto finale sarà forse considerato un po’ troppo elevato da chi è
incapace di calarsi nel target ideale dell’opera, ma questi sono
solo problemi suoi: Creamy si pone scheme visione imprescindibile e storica per tutti, facendosi adorare dai bambini e apprezzare – soprattutto artisticamente – dagli adulti. Da vedere unicamente in lingua originale e sottotitoli fedeli (rimediabili nei DVD Yamato Video), sia per sfuggire ai consueti stupri dello storico doppiaggio italiano Mediaset (tra le tante cose, si possono citare gli immancabili cambi di nomi, la protagonista chiamata Creamy invece di Mami e i vari dialoghi inventati), sia per non rodersi il fegato sentendo Cristina D’Avena reinterpretare i brani musicali originali in italiano.

Voto: 8 su 10

SEQUEL
L’incantevole Creamy: Il ritorno di Creamy (1984; special TV)
L’incantevole Creamy: Il lungo addio (1985; special TV)

FONTI

1 Francesco Prandoni, “Anime al cinema”, Yamato Video, 1999, pag. 120

2 Near sopra

3 Near sopra

4 Near sopra

5 Jean-Marie Bouissou, “Il manga”, Tunuè, 2011, pag. 83