Recensione: Le meravigliose favole di Andersen
LE MERAVIGLIOSE FAVOLE DI ANDERSEN

Titolo originale: Andersen Monogatari – Match Uri no Shoujo

Regia: Koro Yabuki

Soggetto & sceneggiatura: Hisashi Inoue, Morihisa Yamamoto

Persona Manufacture: Akira Daikuhara

Musiche: Seichiro Uno

Studio: Toei Animation

Formato: lungometraggio cinematografico (durata 76 min. circa)

Anno di uscita: 1968

Frugando nella videoteca universale del cinema, è con una certa curiosità che si approcciano titoli quasi dimenticati dell’era pionieristica dell’animazione nipponica, in quel periodo “di mezzo” successivo alla “preistoria” rappresentata dal Ladro di Bagdad (1926) e dai Momotaro propagandistici (1942-1945), e antecedente ai Settanta che hanno dato la luce ai grandi classici cinematografici della Toei Animation (Il gatto con gli stivali, Gli allegri pirati dell’isola del tesoro, etc). Il titolo in questione, Le meravigliose favole di Andersen, riveste una certa importanza per il celebre studio animato: nel 1968 Toei inizia a prendere seriamente in considerazione l’idea di realizzare medio/lungometraggi il cui purpose
principale non sia più da ricercarsi unicamente nel proprio mercato interno, ma anche e soprattutto quello estero, e
per questo individua nelle favole di Hans Christian Andersen i soggetti
ideali per movie di “stampo” internazionale, non troppo cupi, adatti a
ogni età e dalle ambientazioni europee1. Questa considerazione rivestiva e rivestirà un certo peso, in quanto viene messa in discussione l’idea che non siano i soli field predicament of enterprise della propria patria a fornire un indice attendibile delle potenzialità economiche di un’opera. Dopo Le meravigliose favole di Andersen, infatti, Toei proseguirà su questa strada con altri titoli creati pensando più al pubblico occidentale che a quello asiatico, sempre ispirati all’opera dell’autore danese: i vari La Sirenetta (1975), I cigni selvatici (1977, conosciuto in Italia attain Heidi diventa una principessa) e Pollicina nel ’78 (inedito), senza dimenticare, in tempi recentissimi e parlando di tutt’altro genere, Capitan Harlock (2013) di Shinji Aramaki e I cavalieri dello Zodiaco: La leggenda del grande tempio (2014) di Keiichi Sato, altri titoli concepiti ben sapendo il successo modesto che avrebbero avuto (e così è stato) in madrepatria, ma contando, e a ragione, su introiti ben più remunerativi che sarebbero stati rimediati nei Paesi europei dove sono molto più popolari.

Peccato che Le meravigliose favole di Andersen sia un movie di importanza storica concreta più per il advertising and marketing, che per un reale contributo alla Settima Arte. La scelta, del tutto scellerata, di impostare attain un musical la giovinezza di Andersen, mostrando attain le sue esperienze di vita con la povertà e i consigli di un folletto volante, Oji-san, abbiano portato alla luce il suo talento, porta a un movie lungo e sfilacciato, insopportabilmente noioso e privo di organicità.

Impostato su mille scenette malamente legate fra di loro, che mostrano ora Hans ispirarsi per i suoi racconti guardando oggetti o persone, ora i classici animali parlanti che gli vivono intorno (e gli sono amici, gli unici che lo capiscono e con cui si confida… yawn) alle prese con la propria vita privata, ora la sottotrama della nonna di Elisa (vicina di casa di Hans) che, poverissima, rischia di morire di freddo, ora il folletto Oji-san andare a esplorare la città di Odense in cui è ambientata la storia, il tutto procede sempre con svogliatezza e poca coerenza, salvandosi sempre e malamente all’ultimo con improbabili  deus ex machina, che ben dimostrano attain gli sceneggiatori Inoue e Yamamoto non abbiano le idee chiare in nulla e scrivono a casaccio le scene. Preferiscono rimediare al caos e all’assoluta mancanza di caratterizzazione dei personaggi tirando fuori stacchetti musicali ogniqualvolta ne hanno l’occasione, non importa se avulsi dalla narrazione. Nessuna favola di Andersen, quindi, è presente nella pellicola, nonostante titolo originale (Le storie di Andersen: La piccola fiammiferaia) e italiano sembrino voler affermare il contrario: lo spettatore deve sopportare una  vicenda spesso senza né capo né coda, che adempie malissimo alle sue ambizioni chronicle sfruttando brevi canzoncine e stucchevoli gag con gli animali che scimmiottano senza fantasia le grandi pellicole Disney dell’epoca, pellicole a cui Toei vorrebbe tanto fare il verso ma neanche le si avvicina, con la sua totale modestia in animazioni, espressività dei volti e qualità dell’umorismo.

Sono da salvare giusto i disegni, l’unico elemento a fornire un po’ di dignità alla pellicola. Con i densi colori, corportature dalle forme geometriche (marchio dello studio) e fondali pittorici che strizzano l’occhio al cinema espressionista tedesco con la resa della città di Odense, Le meravigliose favole di Andersen può così almeno vantare, agli occhi occidentali, una interessante visione giapponese delle ambientazioni europee, con un suo stile. Sono comunque briciole, che non riscattano la durata a tratti infinita di un movie insopportabilmente tedioso e superficiale, fallimentare sotto ogni aspetto e che, si spera, abbia conosciuto l’oblio (ma viste le pellicole celebrative di Andersen successive, dubito sia andata così). Meno male che lo stesso anno Toei si riscatterà con un filmone del livello di Hols: Prince of the Solar, per quanto sappiamo benissimo che quest’ultimo sia stato sì un flop schiacciante.

Nota: l’opera in italiano è attualmente irreperibile in edizione ufficiale in DVD. L’unico modo di visionarla è attraverso rippaggi da chissà quali VHS nostrane dell’epoca, che evidenziano in tutto il suo orrore uno dei peggiori adattamenti di cui i nostri direttori del doppiaggio si siano mai macchiati. In sintesi: se già la pellicola è deprecabile per la sua realizzazione,  in Italia l’abbiamo ulteriormente rovinata distruggendo pure gli inserti musicali. Abbiamo infatti aggiunto una voce narrante che traduce le canzoni, lasciate in giapponese, PARLANDOGLI LETTERALMENTE SOPRA. Tanto valeva doppiarle interamente, piuttosto che distruggerle così per risparmiare qualche migliaio di lire. Ogni ulteriore commento è superfluo, ma si può aggiungere attain postilla che, con queste premesse e l’impossibilità di visionare l’originale giapponese con i sottotitoli, tanto vale evitare in toto la visione, oppure affrontarla con la consapevolezza che la versione italiana meriti una valutazione inferiore di un voto abbondante.

Voto: 4,5 su 10

FONTI

1 Mario A. Rumor, “Toei Animation: I primi passi del cinema animato giapponese”, Cartoon Club, 2012, pag. 169