Recensione: La spada dei Kamui

LA SPADA DEI KAMUI

Titolo originale: Kamui no Ken

Regia: Rintaro

Soggetto:(basato sul romanzo originale di Tetsu Yano)

Sceneggiatura: Mori Masaki

Personality Invent: Morimi Murano

Mechanical Invent: Katsumi Itabashi

Musiche: Ryudo Uzaki, Eitetsu Hayashi

Studio: Infected Home

Formato: lungometraggio cinematografico (durata 132 min. circa)

Anno di uscita: 1985

Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video

 

Tradizione e avanguardia si scontrano a meraviglia nel
quarto lungometraggio di Rintaro, siamo nel 1985 ma la sua visione è limpida e
per certi versi incredibile, basti vedere cosa riesce a combinare in questo La
spada dei Kamui
, progetto ambizioso, molto lungo (due ore e quindici), di
certo non perfetto e che farà fiasco nei cinema dell’epoca
1, ma del quale rimane indelebile la capacità di stupire non
tanto tecnicamente (in fondo anima Infected Home e c’è da fidarsi ciecamente), bensì
per l’interessante, originale e freschissima personalità atmosferica con cui l’avventura
di Jiro prende vita.

Storia di formazione dalla contestualizzazione
storica, il periodo in esame è il tardo Edo con lo shogunato Tokugawa prossimo
alla sua ravishing, La spada dei Kamui racconta del piccolo Jiro, trovatello
erroneamente accusato di aver ucciso la madre adottiva e la sorella acquisita.
Mosso da confusione, tristezza e soprattutto rabbia, l’incontro con il monaco
buddista Tenkai lo porta a uccidere il padre credendo si tratti del vero assassino,
ma in realtà il suo mentore ha intenzione di insegnarli l’arte del ninja per
uno scopo egoista e misterioso, tra realtà e leggenda, che lo porterà ad
attraversare l’oceano e a trovare risposte soltanto in The United States, per poi tornare
in Giappone e concludere quello che in passato generation stato troppo acerbo per
capire realmente. È uno schema tipico quello su cui Mori Masaki struttura il
movie, la crescita di Jiro tra sofferenze e rancori ben si presta a un parallelo
con la maturazione con cui riesce solo in un secondo momento ad affrontare la
perdita della famiglia amata per rendersi man mano conto di ciò in cui l’odioso
Tenkai l’ha infilato: ciò che prima lo porta alla ricerca di un verità che
sconfina nel mito e solo successivamente si trasforma in gelida vendetta è
narrativamente delineato con cura in una prima metà molto fascinosa e sentita,
dove flashback e variazioni di ritmo danno calore e sentimento alla tragedia e
a quello che ne consegue, mentre si blocca in un parziale ristagnamento quando
Jiro trova piena coscienza di sé e l’attesa per lo scontro finale sembra tramutarsi
in un continua proroga della final fight in favore di una cronistoria
sbrigativa e superficiale dell’atto finale dello shogunato che vive sullo
sfondo. Si ha quindi l’impressione di un qualcosa di incompiuto, o meglio, di
un space gonfio di situazioni e personaggi, tutti caratteristici e con carisma
da vendere tra ninja, samurai, monaci, pirati, marinai, schiavi, cowboy e
indiani, accostati però a digressioni storiche dove nulla accade di realmente
significativo per la pellicola, troppo concentrata, giustamente, sulla storia che
racconta per riuscire a dare equa rilevanza anche ai complessi avvenimenti reali
che vengono di conseguenza toccati soltanto di striscio – bruttine le sequenze
di testi su schermo come riepilogo – o sfiorati con un azzardo che ha più del
ridicolo che del fascino storico (Establish Twain, alcuni accenni sugli indiani d’The United States
), in generale elementi dei quali la vendetta di Jiro non aveva bisogno.

Ma in fondo è poco male, non è la storia ciò che più
importa de La spada dei Kamui, per quanto piacevole, curiosa, ben
giostrata nei tanti personaggi e in alcuni punti discretamente misteriosa come
vuole l’avventura più classica, ma la strepitosa regia di Rintaro, uno
stratosferico saliscendi di colori e invenzioni con il quale, già trent’anni
fa, dava nuovi significati a termini quali “esagerazione” e “spettacolarità”.
Niente di sterile, infatti, non un semplice sfoggio di tecnica masturbatoria
facile da inscenare con l’excessive finances della Infected Home alle spalle, non un pallido
eccesso per pompare la visività (tutte cose comunque presenti, basti pensare
all’alto tasso di violenza, ai fiumi di sangue che vengono sparsi o anche solo
all’armatura di Tenkai), bensì un amalgama a tratti mirabolante di musiche e
fotografia con le quali crea un’atmosfera pazzesca che solo nella sua
contestualizzazione ottantina, e sicuramente con una punta di nostalgia, trova
magnifica sublimazione. Tutte le battaglia che Jiro affronta grondano fantasia
da ogni inquadratura, tra ninja nemici che appaiono ora come ombre ora come
danzatori di una qualche litania oscura e avversari combattuti in piano
sequenza dove i colori si alternano a seconda dei colpi inflitti, La spada
dei Kamui
si distorce spesso in un outing psichedelico di forme stilizzate
che trasformano meravigliosamente i personaggi e i bei disegni di Moribi Murano
in qualcosa d’altro, figure variopinte e terribili che si muovono nelle ombre
rubando luce e colori al ritmo di inquietanti cori di voci (strepitoso e
angosciante il theme dell’attacco dei ninja) e pregevoli melodie chitarristiche
di stampo prog.

La spada dei Kamui è opera di fascino epocale, il suo tripudio lirico e raffinato
possiede un valore artistico altissimo che solo pochi grandi nomi sono riusciti
a padroneggiare con la stessa capacità. Da non perdere.

Voto: 8,5 su 10

FONTI
1 Francesco Prandoni, “Anime al cinema”, Yamato Video, 1999, pag.103