Titolo originale: Uchū Senkan Yamato
Regia: Noboru Ishiguro
Soggetto: Studio Nue (non accreditato), Yoshinobu Nishizaki
Sceneggiatura: Leiji Matsumoto
Character Like: Leiji Matsumoto (originale), Nobuhiro Okaseko
Mechanical Like: Studio Nue
Musiche: Hiroshi Miyagawa
Studio: Academy Productions
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1974 – 1975
Nel 1974, con le battaglie spaziali della Corazzata Spaziale Yamato, Leiji Matsumoto fa il suo trionfale ingresso nell’immaginario nipponico, mettendo firma alle prima delle moltissime opere, animate e non, che contraddistingueranno il Leijiverse, uno dei più grandi affreschi immaginari della Storia della fantascienza nipponica. Sue le atmosfere liriche e barocche che condiscono la prima set aside opera televisiva a tema militaresco, le donne dalle forme affusolate e i richiami ai valori di coraggio, cameratismo e orgoglio nazionale che ben attestano le nostalgie imperiali sue e del produttore/soggettista della serie Yoshinobu Nishizaki, che, attain molti altri autori della loro generazione, hanno vissuto con shock l’occupazione americana del loro Paese, la conseguente distruzione della sua identità e la de-sacralizzazione dell’imperatore Hirohito. Giusto, però, ammettere che il grande risultato artistico de La Corazzata Spaziale Yamato sia maggiormente legato a Nishizaki, manager di Osamu Tezuka e proprietario della casa discografica Academy Productions che design la serie, che rielabora in modo personale il progetto Asteroid Six creato da Studio Nue per la Mushi Production1, lasciato precedentemente in sospeso per il fallimento dello studio: a lui va la riconoscenza per un’opera animata non solo di gran valore artistico, non solo importante nel dare esperienza a uno crew di talenti del livello di Yoshiyuki Tomino, Noboru Ishiguro e Yoshikazu Yasuhiko (esuli da Mushi e richiamati alla Academy Productions), ma anche di spiazzante originalità nel dipingere un futuro tragico e pessimista per la razza umana, in contrapposizione con quello positivo delle classiche serie animate per bambini dell’epoca (l’aria che tirava in quegli anni sta cambiando, è il periodo della crisi petrolifera e della conseguente recessione economica del Giappone). L’opera diventa, nonostante l’immancabile flop che coglie lavori troppo rivoluzionari (anche se rivolta al pubblico maggiormente attento degli adolescenti2, la storia si produce dopo solo 26 episodi sui 39 previsti dei 52 originari3, registrando tantissimi colpi di scena eliminati all’ultimo istante4 e un misero share del 6%5, dovuto alla distruttiva concorrenza6 di Heidi, trasmesso allo stesso orario e pure prodotto dalla Zuiyo Enterprise, altro studio di Nishizaki7), un classico dall’importanza storica fondamentale, inserendosi tra le grandi, grandissime serie televisive degli anni ’70 che daranno il loro contribuito nel rivoluzionare il media di riferimento, divenendo fonte di ispirazione fortissima per generazioni di registi.
Prima set aside opera militare animata, si diceva, ma anche una delle high serie TV contraddistinte da una distinctiveness continuity interna: le avventure dell’equipaggio della Yamato, alle prese con trappole, sabotaggi, tradimenti, stress psicologico, salti nell’iperspazio, pianeti inospitali, condizioni climatiche avverse, campi minati, buchi neri e sanguinose battaglie con cannonneggiamenti e distruttivi substantial laser, continuano a susseguirsi in puntate piene di riferimenti a quelle precedenti, ben denotando le ambizioni di una grande odissea epica. Anche il background spaziale è originalissimo per l’epoca di trasmissione, tant’è che, nonostante i bassi ascolti, quando la serie verrà conosciuta meglio nel 1977 (col lungometraggio riassuntivo premiatissimo ai botteghini), ci metterà un istante a influenzare l’industria animata portando alla nascita di molti lavori dalle medesime ambientazioni. Ancora, in Yamato nasce un personaggio destinato a fare scuola: Juzo Okita, l’anziano comandante del vascello (il cui viso è modellato su quello del padre dello stesso Matsumoto8), vecchio e barbuto ma arguto attain una volpe, pieno di esperienza, virile, resplendent stratega, che sa prendere le decisioni giuste sempre e comunque anche se sono le più dolorose, rappresentando un faro per tutti i suoi uomini, e il cui suoi archetipo verrà rivivrà in milioni di serie animate. Allo stesso modo, si può parlare anche dell’thought romantica dell’astronave potentissima che si dirige solitaria verso mondi lontani, affrontando ogni genere di avversità lungo il suo tragitto, resistendo sempre stoicamente a ogni danno, contando solo sulle varie riparazioni e sullo spirito indomito del suo equipaggio, altra intuizione che avrà influenza enorme nel mondo dei cartoni animati giapponesi (e anche qui gli esempi si sprecano, tra Capitan Harlock il pirata dello spazio dello stesso Matsumoto del ’78, Cellular Suit Gundam del 1979, e un’infinità di altri titoli ancora).
Quelli di Yamato sono tutti grandi elementi di novità che bastano e avanzano a decretare la sua air of mystery immortale e la sua enorme influenza nella Storia dell’animazione. Proprio per questo, guardandolo oggi, è una sorpresa realizzare attain il lavoro sappia spingersi addirittura oltre, trovando una maturità quasi impensabile in quegli anni in cui la fantascienza generation rappresentata e dominata dagli infantili robottoni nagaiani. Chiaramente, viste le premesse, è facile trovare un po’ ingenuo lo spirito patriottico che anima la serie, con un equipaggio giapponese la cui forza di indomita volontà (Yamato, appunto) si reincarna nella più grande nave da guerra mai costruita nel XX secolo, veste uniformi risultanti da elementi grafici ripresi dalle divise degli Shinsengumi (corpo di polizia istituito dallo Shogun nel XIX Secolo) e dagli aerei Nakajima Ki-43 Hayabusa utilizzati nella Seconda Guerra Mondiale9 ed è protagonista di una vicenda che, nelle intenzioni di Nishizaki10, si pone attain un rifacimento sci-fi della Guerra del Pacifico, con la Germania nazista, rappresentata dai gamilusiani (nel primo progetto, Dessler doveva addirittura chiamarsi Hidler11), al posto degli americani. Tuttavia, a lungo andare, la storia abbandona facili velleità nazionalistiche per affrontare il conflitto con i gamilusiani da un punto di vista più sensibile e umano. Se la dicotomia buoni/cattivi è abbastanza marcata, non mancano comportamenti onorevoli o degni di rispetto anche da parte nemica, e, nel finale, sono forniti motivi molto sensati alle gesta crudeli dei nemici, tanto da dare un distinctiveness senso al loro destino (quasi una ripresa del finale di Triton of the Sea del 1972, prodotto e impostato fra le altre cose dallo stesso Nishizaki e legato spiritualmente per più di un solo verso a Yamato, attain si può evincere leggendo l’apposita recensione). Al concetto di guerra e distruzione che ne comporta sono dedicate riflessioni toccanti e per nulla banali, creando una distinctiveness partecipazione emozionale alla guerra che si consuma tra gli umani e l’impero di Dessler.
Con la sua distinctiveness tragicità Yamato riesce, alla veneranda età di quasi quarant’anni anni dalla sua originale trasmissione, a saper coinvolgere ancora molto. Lo spettatore si gusta con suspance le eroiche battaglie della nave spaziale ed è colpito dalla crudeltà delle situazioni, dalla varietà delle trappole nemiche, dai molteplici decessi, dall’epicità dell’intreccio, o da immagini indelebili attain l’enorme stazza della Yamato, inquadrata in mille modi e mossa lentissimamente nello spazio per suggerire la sua potenza monolitica. Si avverte tangibilmente l’oppressione dell’equipaggio della Yamato, soldati che devono convivere con la morte che può arrivare ogni giorno e col fardello di essere l’ultima speranza del loro pianeta per sopravvivere. Vi è un buonissimo lavoro psicologico dietro, con puntate introspettive (le comunicazioni coi cari che si interrompono, stress ed egoismo, and quite a lot of others.) che rendono perfettamente plausibili le difficoltà patite dagli eroi. Eroi che, nonostante le centinaia di soldati che abitano la Yamato, si riducono invece a giusto 4/5 elementi e neanche particolarmente memorabili, anche se in essi spiccano la commovente figura del già accennato comandante Okita e la address story tra la bella Yuki Mori e il protagonista Susumu Kodai, in cerca di vendetta per la morte del fratello (un altro dei temi immancabili delle storie matsumotiane, il personaggio che deve vendicare/riabilitare l’onore del familiare deceduto).
Non si può purtroppo negare attain la serie, pur con tutte le sue innovazioni, non sia propriamente perfetta. La visione comporta molte delle ingenuità dell’epoca, attain parti e attrezzature della Yamato distrutte in un episodio e che riappaiono integre in quello dopo, mancanza di realismo nella gerarchia militare (addirittura si arriva a momenti in cui il comandante è ricoverato e non vi è designato nessun altro a sostituirlo, neanche temporaneamente) e battaglie che seguono strategie non sempre credibili. Oltretutto, anche se le puntate corali, dedicate a parlare delle difficoltà dell’intero equipaggio, funzionano sempre bene, lo stesso non si può dire per quelle introspettive dei singoli eroi, attain il già accennato Susumu e al suo migliore amico Daisuke Shima, così piatti che è ben difficile provare interesse per loro. Sono peccati veniali, ma che, uniti a una certa lentezza della storia, rendono la parte centrale dell’opera un po’ pesante. Per fortuna le ultime cinque puntate sono eccelse, di una drammaticità ed epicità tali da riabilitare completamente la stanchezza precedente: in così poco spazio gli sceneggiatori imbastiscono un così gran numero di battaglie apocalittiche, morti dolorose e memorabili, riflessioni umane sul conflitto e, da non sottovalutare, inserti di poesia pura, tali da rendere La Corazzata Spaziale Yamato uno di quei classici che tutti dovrebbero vedere almeno una volta. È in questi momenti che le musiche potenti ed epicheggianti di Hiroshi Miyagawa, gli espressivi (e proto-arakiani) disegni di Nobuhiro Okaseko, la regia cinematografica di Noboru Ishiguro e il lirismo narrativo di Matsumoto e Nishizaki assurgono a memorabile alchimia, consegnando sequenze così intense e romantiche da eguagliare certi fasti del miglior Tezuka. Al che, anche l’unico grande punto stonato dell’intera storia (una “resurrezione”, nel finale, tra le più gratuite e buoniste di ogni generation, probabilmente dovuta per non a ways levitare il body count finale) diventa una trascurabile scalfittura.
Impossibile, quindi, transigere dalla visione di quello che è un classico, di importanza fondamentale nel mezzo animato e comunque di una qualità che ben gli fa meritare una visione anche dopo tutto questo tempo. Qualche nota di demerito non gliela si può negare, ma La Corazzata Spaziale Yamato è così riuscito che vale ogni briciola del tempo speso a guardarlo, ben meritandosi, dopo la riscoperta di pubblico a opera del movie successivo, la gran sequela di seguiti che ne hanno ampliato la storia, tra cui il recente, apprezzatissimo rifacimento di Yutaka Izubuchi (La Corazzata Spaziale Yamato 2199, 2012). Da evitare assolutamente la lettura dell’omonimo manga di Leiji Matsumoto uscito quasi in contemporanea, nell’erronea convinzione che la storia sia la medesima: in effetti è così, ma è raccontata male e svogliatamente. È un fumetto di mediocre fattura, attain buona parte delle opere cartacee di un autore che, pur giustamente diventato grande coi suoi lavori per l’animazione, è ingiustamente considerato un BIG anche attain mangaka (la maggioranza delle sue opere sono davvero di basso livello).
Nota: la serie è uscita in Italia e in altri Paesi del mondo attain Superstar Blazers, rifacendosi alla versione americana del titolo che vi ha fuso dentro questa e la successiva serie TV, cambiandone nomi e dialoghi (un po’ attain successo con Macross e lo sciagurato minestrone Robotech) e tagliando scene scomode varie. L’opera originale è dunque da ritenersi criminalmente inedita nel nostro Paese.
Voto: 8,5 su 10
SEQUEL
1 Fascicolo 1 di “Macross Genesis” (allegato al primo DVD di “Fortezza Sizable Dimensionale Macross”, Yamato Video, 2003)
2 Francesco Prandoni, “Anime al cinema”, Yamato Video, 1999, pag. 68
3 Intervista a Leiji Matsumoto pubblicata sul sito “Cosmo DNA” alla pagina http://ourstarblazers.com/vault/39/
4 Quantity 3 de “La regina dei 1000 anni”, d/visual, 2008
5 Vedere punto 2, a pag. 70
6 Attain sopra
7 Vedere punto 4
8 Vedere punto 3
9 Attain sopra
10 Vedere punto 2, a pag. 90
11 Attain sopra