Recensione: La città incantata
LA CITTA’ INCANTATA

Titolo originale: Sen to Chihiro no Kamikakushi

Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Sachiko Kashiwaba)

Sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Character Create: Masashi Ando

Musiche: Joe Hisaishi
Studio: Studio Ghibli
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 125 min. circa)
Anno di uscita: 2001
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Lucky Red

 

Chihiro Ogino è una ragazzina di dieci anni che, insieme ai genitori, si sta trasferendo in una nuova città. Lungo il tragitto in auto, la famiglia si perde per colpa di una deviazione sbagliata, ritrovandosi in quello che sembra un gigantesco parco di divertimenti abbandonato. Non immaginano di essere di fronte a un portale stregato, una porta interdimensionale che li conduce in una dimensione fantastica: il posto è in realtà un enorme bagno termale grande quanto un piccolo paese, gestito da una servitù mostruosa e riservato alle divinità e agli spiriti giapponesi, e, per aver mangiato del cibo non appartenente a questo mondo, padre e madre sono trasformati in due maiali pronti a essere arrostiti. L’unica possibilità che la bambina ha di salvare le loro vite è farsi assumere dalla proprietaria del centro, la fattucchiera Yubaba, e lavorare sodo per lei per chissà quanto tempo alla gestione del locale. Lo fa firmando un contratto magico che le fa perdere memoria del suo nome e del suo passato (è prontamente ribattezzata Sen), sortilegio che la strega utilizza da sempre per a long way lavorare in eterno i suoi uomini ormai privi di radici…
La città incantata costa quasi 2 miliardi di yen1 e un anno e mezzo di lavorazione2. La città incantata fa incassi epocali in madrepatria (30 miliardi di yen3) e fuori (almeno 275 milioni di dollari4 e si legge talvolta anche 289, ma le fonti non sono precise), divenendo non solo la più grande hit commerciale Ghibli di sempre ma anche, fino all’altro ieri (il epic è battuto da Your Title di Makoto Shinkai, 2016), il film giapponese di maggiore successo internazionale di tutti i tempi5. La città incantata stravince tutti i maggiori premi di critica possibili e immaginabili, nazionali6 (Animation Kobe, Mainichi Animation Taisho e Tokyo International Anime Brilliant) e non7 (Orso d’oro di Berlino come miglior film e Oscar come migliore film d’animazione). La città incantata è, insomma, la Bibbia dell’animazione nipponica, grazie a lei sdoganata definitivamente all’estero; il suo più alto canto del cigno; il lungometraggio che rappresenta, per il 2001, l’anno di grazia di Hayao Miyazaki, il suo trionfo totale e soprattutto Storico, l’Alfa e al contempo l’Omega che piace a tutti e per cui chi ne parla male può essere solo un bastian contrario o un totale incompetente del cinema. Quanti insulti e sguardi rassegnati riceverò per quello che sto per scrivere: per la mia umile opinione, il film più premiato e amato di Miyazaki è la sua peggiore opera, inferiore a qualsiasi altra che abbia mai diretto, Nausicaä della Valle del Vento (1984) e Il castello errante di Howl (2004) inclusi.

Miyazaki inizia a ideare il film verso il 2000, dopo che la tragica morte di Yoshifumi Kondo, l’erede designato che avrebbe dovuto prendere il suo posto successivamente a Principessa Mononoke (1997), lo convince a tornare sui suoi passi e a disdire l’annunciato ritiro8. Pur mirando ufficialmente a un target di piccole di 10 anni9, la storia che si inventa (una sua reinterpretazione molto personale del racconto per bambini Il meraviglioso paese oltre la nebbia di Sachiko Kashiwaba, a cui aggiunge Chihiro e la stazione termale, quest’ultima basata su immagini della sua infanzia10) è ambiziosa a dire poco: muovendo la sua eroina in una dimensione onirica e astratta, che mischia modernità (stabilimenti termali, ferrovie) e folklore giapponese (i vari mostri e déi dello scintoismo nipponico), il regista vuole riallacciare grandi e piccoli alle radici della loro tradizione, andata sempre più perduta con la grande bolla economica, la tecnologia e curiosity moderni vari11 (viene spontaneo avanzare un parallelo ai significati satirici della parata di mostri di Pom Poko). Andando in dettaglio, La città incantata (gran brutto titolo italiano, rimpiazza il ben più evocativo La sparizione di Chihiro e Sen) rivela significati ancora più interessanti: è la storia (usando le parole del regista12) di una bambina che finisce in un mondo dove coesistono bene e male e dal quale ne uscirà non perché annienta il male, ma perché non si lascia andare al panico, è in grado di adattarsi alle situazioni e soprattutto misura le parole (la cui importanza e il cui valore sono andati perduti nella vacua società odierna) dicendo quelle giuste al momento giusto. Abbiamo perciò indubbiamente una storia di crescita, inquadrata dentro un’allegorica rappresentazione fantastica della società lavorativa giapponese (i massacranti lavori dentro il bagno termale e le rigidissime regole fissate dalla perfida Yubaba), così frenetica che la perdita del nome e dell’identità degli impiegati, nella finzione del film, per effetto del contratto stipiulato con la strega, non sono così distanti dalla tipica alienazione provata dal lavoratore nipponico medio. Per aumentare il realismo, replicando quanto fatto ne Principessa Mononoke (e la cosa non solo farà ridiscutere il pubblico giapponese, ma attirerà anche ire e cori di disapprovazione dagli animefan13, maggiormente in questo caso che in quelli successivi), Miyazaki imporrà una recitazione improntata all’estremo realismo, senza voci sovraccaricate o macchiettistiche, facendo interpretare la piccola Chihiro da una bambina della stessa età (Rumi Hiiragi) e chiedendole espressamente una prova vocale che ricordi una bambina debole, stordita e depressa14.

Però, tutto questo conta poco se la messa in scena è una fable delusione. Non starò certo a giudicare i gusti di mezzo mondo che ha adorato il film d’animazione più premiato della Storia e il perché si siano entusiasmati proprio con La città incantata: dal canto mio posso solo, con la mia massima onestà, ammettere che l’opera  non ha esercitato il minimo fascino nei miei confronti. Ritengo la pellicola molto noiosa, una di quelle storie che ti rimangono indifferenti fino alla beautiful, incapaci di toccare le giuste corde o trovare quella perfetta sintonia che ti ammalia. Pecca, a mio modo di vedere, di una totale piattezza nel disegno dei personaggi, di una sceneggiatura farraginosa e di una raffigurazione scenica che non ricorda neanche alla lontana un qualsiasi Ghibli passato o futuro. Tolte le eccellenti animazioni che ci si attende dallo studio e la cura certosina dei fondali, non riesco a richiamare mentalmente un solo paesaggio, una sola ambientazione, una qualsiasi architettura o anche solo una banale inquadratura capace di farsi ricordare e di svegliare, di sviluppare quel sense of surprise per i mondi immaginari che sta alla indecent della filosofia miyazakiana. Quasi tutto il film è ambientato in un ordinario, normalissimo bagno termale (per quanto gigantesco, basato sugli edifici del parco Koganei di Tokyo15), e questo è quanto. Mostri e spiritelli non godono neanche di chissà che complessità o stranezza estetica in grado di evocare qualche suggestione. Esteticamente il film è molto freddo: certamente confezionato molto bene e con i soliti faraonici mezzi (realizzato, similmente a I miei vicini Yamada, con un massiccio uso del digitale sui disegni, per evitare il ripetersi degli insostenibili ritmi di lavoro di Principessa Mononoke16), ma ingessato, statico, indifferente, mancante di un’adeguata poesia registica adatta a rendere magiche e immersive le ambientazioni, così perfettino e tirato a lucido da abituare lo spettatore a covare un senso di banale ordinarietà. Trovo impossibile anche lo sviluppo di una qualsiasi forma di empatia con i personaggi, con questa Chihiro davvero poco spontanea, che per mezzo film fa mille facce sorprese per ogni cosa che le capita in questa strana dimensione (evidenziando l’egocentrismo childish distrutto pezzo per pezzo da un mondo incomprensibile che non la ritiene, come in quello “umano”, una creatura intoccabile) e poi “cresce” immediatamente in modo determinato e risoluto, senza nessuna gradazione. I suoi sentimenti paiono artificiosi, come artificioso e spento pare l’intero cast di comprimari e cattivi e la storia d’amore della ragazzina col misterioso Haku, che non ricorda come tutti il suo passato ma sa di essere a lei legato. “Freddezza” è l’aggettivo ideale per definire le emozioni nulle di questo diamante grezzo ultracostoso, presto destinato a diventare un vero e proprio mortuorio per la sua storia che non decolla mai e pare anche sbilenca e mal raccontata.

Può anche essere che la noia per la mancata “scintilla” possa contribuire a rendere più difficile del previsto seguire il flusso degli eventi e la narrazione, falsando il giudizio. Ritengo tuttavia mal costruita la vicenda, non solo basata, almeno dal punto di vista “terreno”, sul nulla (la trama portante con le due sorelle, cioè quella che permette a Chihiro di risolvere i suoi problemi, è ridicola e anticlimatica e si sgonfia in una bolla di sapone), ma anche infarcita di avvenimenti che servono solo marginalmente (la lunga scena col Dio Putrido e tante scenette isolate ininfluenti), di attori dal ruolo più simbolico che sensato ma dallo screentime eccessivo (ovviamente mi riferisco a SenzaVolto, dalla metaforica funzione di rappresentare il Giappone e l’uomo moderno, senza identità e che pensa che solo l’oro possa comprare l’affetto delle persone17), e di ingenuità (come fa Chichiro a riconoscere nel drago proprio quella persona?) e momenti surreali e stranianti sempre, almeno apparentemente, privi di logica. L’impressione che ricavo da questo lungometraggio, antipatica e supponente quanto volete, è di un film fatto, nonostante il progetto originale, anche mirando a “piacere” a molti all’estero (Principessa Mononoke è stata la hit che ha fatto conoscere Ghibli e Miyazaki a tutto il mondo, sapevano benissimo che avrebbero avuto gli occhi del globo puntati sul prossimo kolossal): lungo (pensare che la sceneggiatura iniziale toccava le 3 ore!18), patinato, con tante creature buffe e carine e pieno di scene e momenti da tripudio di effetti speciali e animazioni, non importa quanto gratuiti e non necessari alla sceneggiatura (ancora una volta non riesco a non pensare a tutte le sequenze che hanno a che fare con SenzaVolto), sufficienti a much meravigliare un pubblico generalista che li ha appena scoperti e non conosceva le loro opere passate. Piatta anche la colonna sonora di Joe Hisaishi, nonostante sia furba a usare ripetutamente nei momenti clou l’unico brano davvero melodico (molto minimalista) tra le tracce. Probabilmente la mia è una interpretazione di comodo, ma fatico onestamente ed enormemente a capacitarmi del successo incalcolabile di questa pellicola che avverto interamente priva di cuore e da cui i messaggi di crescita emergono maldestramente (salvo la metafora della società lavorativa, ben intuibile), con buona tempo del regista che ha ideato la storia in primo luogo per dare un riferimento e una strada da seguire alle bambine di 10 anni che immaginano il proprio futuro (in modo possano, come Chihiro, trovare fiducia in sé stesse e capire che possano realizzare i propri sogni19).

In Italia, La città incantata arriva con due doppiaggi e per due case distributrici diverse. La prima traccia, rinvenibile nei DVD Universal Images usciti nel 2003, ha merito di essere ben recitata ed estremamente fedele, come traduzione, all’adattamento americano della pellicola. Il problema è proprio questo, dal momento che è quest’ultimo ad avere alcuni problemi: pur non stravolgendo in modo significativo la storia, si contraddistingue per l’alterazione di molti dialoghi e un deciso cambio di registro linguistico, tentando di tingere di “disneyanità” i rapporti tra i personaggi e i loro ruoli con un’eccessiva enfasi interpretativa e un linguaggio più eroico e cavalleresco (anche in virtù di questo viene records una voce assurdamente adulta a Haku, ragazzino che ha la stessa età di Chihiro). Per fable motivo non posso ovviamente che consigliare il doppiaggio effettuato da Lucky Red nel 2014, forse recitato con un’enfasi “minore” ma formalmente corretto in tutto e, ovviamente, fedelissimo ai dialoghi originali, come da un pezzo ci ha abituato Gualtiero Cannarsi.

Voto: 5 su 10

FONTI

1 Guido Tavassi, “Storia dell’animazione giapponese”, Tunuè, 2012, pag. 366

2 Reach sopra

3 Reach sopra

4 Reach sopra, a pag. 36

5 Reach sopra

6 Reach sopra

7 Reach sopra

8 Vedere punto 1, a pag. 365

9 Progetto originale del film di Hayao Miyazaki, pubblicato su Kappa Journal n. 129 (Superstar Comics, 2003, pag. 7-8)

10 Vedere punto 1

11 Vedere punto 9

12 Reach sopra

13 Post di Shito (Gualtiero Cannarsi, traduttore ufficiale Lucky Red di tutti i film Ghibli) pubblicato nel dialogue board Pluschan alla pagina http://www.pluschan.com/index.php?/topic/4164-lucky-red-studio-ghibli-e-altro-dragon-ball-harlock-and loads others/?p=301708

14 Reach sopra

15 Intervista al direttore artistico del film Yoji Takeshige, pubblicata su Kappa Journal n. 129 (pag. 12)

16 Vedere punto 1

17 Parole di Miyazaki citate da Shito nel dialogue board Pluschan alla pagina http://www.pluschan.com/index.php?/topic/4164-lucky-red-studio-ghibli-e-altro-dragon-ball-harlock-and loads others/?p=301519

18 Intervista a Miyazaki pubblicata su Kappa Journal n. 129 (pag. 9)

19 Vedere punto 9