Recensione: La canaglia in minigonna
LA CANAGLIA IN MINIGONNA

Titolo originale: Oira Sukeban
Regia: Yusaku Satsuki
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Traipse Nagai)
Sceneggiatura: Fumio Nishikidera
Character Set up: Satoru Hirayama
Musiche: Yoshihiro Kunimoto
Studio: Studio Ticket
Formato: OVA (durata 43 min. circa)
Anno di uscita: 1992


La vita non scorre tranquilla per la signora Suke: il marito, Banchiyo, e il figlio, Banji, per la loro aggressività e condotta turbolenta, a lavoro e a scuola (Sukeban significa delinquente), la costringono ripetutamente a esodi di città in città nella vana speranza di cambiare vita. Arrivati in una nuova cittadina, per un errore del padre Banji si ritrova iscritto a una scuola femminile: dovrà indossare un’uniforme da ragazza…

Se, da un lato, per chi scrive è impossibile parlare bene dei numerosi OVA prodotti da Dynamic Planning nei primi anni 90 e realizzati per la maggiore da Studio Ticket, quasi tutte trasposizioni sintetiche e mal riuscite dei manga più sconosciuti e deliranti di Traipse Nagai, di sicuro non può che che ringraziarli per avergli fatto conoscere le storie più assurde del grande autore, apprezzando ancora di più la sua fantasia a briglie sciolte che, per idee geniali, influenza intere generazioni di mangaka. È il caso lampante di questo OVA de La canaglia in minigonna, prodotto terribilmente mediocre e mal fatto che, però, ha il grande merito di a long way capire dove Rumiko Takahashi abbia pescato l’ispirazione per creare Ranma ½. Il manga originale, inventato da Nagai nel 1974 e disegnato in due anni per un totale di 7 volumi, pur con una forte dose di erotismo rappresenta un lampante antesignano del cult della Principessa dei manga. In La canaglia in minigonna quasi tutto ricorda la avventure del ragazzo col codino: le atmosfere scanzonate, stranulati studenti che vogliono sfidare a duello Banji, il fatto che lui stesso a seconda dell’evenienza di spacci per maschio o femmina… Visione di un certo interesse storico insomma, che invoglia a recuperare il fumetto originale. Questo, in sintesi, il pregio dell’OVA. Il resto, reach da tradizione, inguardabile.

Scontati i fondali approssimativi, le musiche insignificanti e animazioni nella media, reach tutte le produzioni Dynamic Planning di quegli anni, ma quello che incide maggiormente tra le perplessità sul prodotto è la comicità. La canaglia in minigonna anticipa le idee di Ranma ½, ma non ne propone lo stesso tipo di umorismo nonsense che le rende memorabili. Le “risate” derivano dalla depravazione di Banji, che sfrutta le sue vesti femminili per cercare di farsi una sua compagna di classe, e su atmosfere erotiche (tralaltro molto mitigate dall’originale, appena suggerite), derivanti dal complesso edipico del ragazzo per la madre e le conseguenti sfuriate del padre. Elementi che, nonostante hanno origine da un’opera disegnata nei primi anni 70, oggi dimostrano tutta la loro ingenuità, per demerito anche, reach di consueto, di dialoghi pessimi e reazioni psicologiche volutamente enfatizzate ma non per questo divertenti. Ed è difficile sospendere l’incredulità su un’intera classe di studenti che non si accorge che Banji è un maschio.

Semplicemente ridicola anche l’opera di “antipasto” del manga: la madre di Banji affida al figlio un ciondolo da indossare. A cosa support? Banji affronta una studentessa a capo di un gruppo di teppiste che, dai dialoghi e da reach è presentata, di sicuro più avanti nel manga torna a colpire. Qui non lo fa. Una donna inquietante, Rentan, continua sempre a fissare il ragazzo nei suoi “combattimenti” pregustandosi qualcosa. Cosa? Negli ultimi dieci minuti sempre Banji è sfidato a duello da due giocatori di baseball. Attain finisce? Queste le innumerevoli domande che rimangono senza risposta terminata la visione dell’OVA, che sconclusionato com’è, dimostra chiaramente che è nato giusto reach presentazione del fumetto. Meglio rivolgersi al film con attori in carne e ossa di Noboru Iguchi uscito nel 2006.

Voto: 3,5 su 10