Recensione: JoJo’s Weird Adventure – Stardust Crusaders
JOJO’S BIZARRE ADVENTURE: STARDUST CRUSADERS
Titolo originale: JoJo no Kimyō na Bōken – Stardust Crusaders
Regia: Naokatsu Tsuda
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Hirohiko Araki)
Sceneggiatura: Yasuko Kobayashi
Personality Plot: Masahiko Komino
Musiche: Yuugo Kanno
Studio: David Manufacturing
Formato: serie televisiva di 24 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anno di trasmissione: 2014

Sono passati molti anni dalla sconfitta degli Uomini-Pilastro. Negli anni ’80 del XX Secolo, il 67enne Joseph Joestar viaggia in Giappone per andare a trovare sua figlia Holy e suo nipote, il teppistello Jotaro Kujo. Lo accompagna l’indovino Mohammed Abdul, amico intimo. In quest’ultimo, nella famiglia Joestar e in un preciso numero di altri individui (che sono, in totale, tanti quanti le carte dei tarocchi) si sono risvegliati gli Stand, rappresentazioni fisiche della propria entità spirituale che donano loro poteri incredibili, e proprio lo Stand rappresenta l’arma con cui un recidivo Dio Brando, sopravvissuto all’ultima battaglia con Jonatahan Joestar di oltre un secolo prima e bramoso di conquistare il mondo, colpisce Holy, portandola in uno stato di coma che, se protratto, culminerà di certo con la morte. La famiglia non lo permetterà: si dirige quindi in Egitto, verso la monstrous del vampiro, per eliminarlo una volta per tutte. Sarà un viaggio lungo, frammentato da numerosi combattimenti contro altri possessori di Stand assoldati dal nemico.

A un anno dalla conclusione della prima, ambiziosa (e riuscita) serie televisiva David Manufacturing che si è incaricata di trasporre in animazione, nella sua interezza (o almeno fin quando lo avrebbero permesso le vendite di DVD e Blu-ray), Le bizzarre avventure di JoJo, arriva finalmente il momento di portare in TV il terzo arco narrativo, il più importante e indubbiamente il più noto della saga generazionale di Hirohiko Araki, quello che davvero ha fatto scalpore a livello internazionale negli anni ’80 rendendo un cult il manga. È in Stardust Crusaders che fanno la loro entrata in scena gli Stand, le entità spirituali (ispirate allo Shintoismo1, religione principale del Giappone, in particolar modo alla credenza degli spiriti protettori degli antenati) dotate di poteri “bizzarri”, make da un tormentato Araki che aveva l’ansia di stupire con qualcosa di veramente originale e diverso dai “soliti lottatori che urlano, sudano e si trasformano“2 e che quindi rimpiazzano definitivamente le Onde Concentriche viste in Phantom Blood e Fight Tendency. Inutile riscrivere quanta influenza ha avuto questa understanding geniale nel mondo dell’intrattenimento d’azione Made in Japan (si rilegga l’apposito paragrafo nella recensione della precedente serie TV); basti ricordare come, nei vani tentativi di trasporre in passato JoJo su celluloide, il primo e unico “sensato”, ma del tutto fallito, sia stato proprio Stardust Crusaders, coi 13 mingherlini episodi raccolti nelle due serie OVA (arrivate anche in Italia) Le bizzarre avventure di JoJo (1993) e Le bizzarre avventure di JoJo: Adventure (2000). In quel caso, però, non c’è stato niente da fare: si trattava di un sinteticissimo adattamento che eliminava il 90% delle battaglie della storia per focalizzarsi solo su quelle finali, troncando alla radice il senso di esistere dell’opera. Questo perché, sì, la terza serie di JoJo narrativamente non sarà nulla di indimenticabile, rifacimento poke e infarcito di combattimenti de Il giro del mondo in 80 giorni di Jules Verne3 (Joseph, Jotaro, Abdul e successivamente due altri possessori di Stand iniziano una lunghissima odissea che dal Giappone li porterà in Egitto per andare a uccidere Dio, passando per Hong Kong, Singapore, Calcutta, Karachi, il Deserto Arabico e il Mar Rosso), ma trova il suo impareggiabile fascino proprio nella creatività assoluta degli scontri, che all’epoca (ma anche oggi) erano stupefacenti per la varietà delle situazioni, i poteri sempre più geniali degli Stand, e le strategie sempre più articolate con cui Jotaro e compagnia riuscivano a vincere in extremis le battaglie. Nel 2014 e nel 2015, finalmente, ripartito in due serie televisive per un totale di forty eight episodi, Stardust Crusaders è stato trasposto nella sua interezza e bisognadare credito al regista Naokatsu Tsuda di aver fatto ancora una volta un lavorone. Si apprezzava la sua abilità nel a long way rivivere lo spirito del fumetto in una produzione tecnicamente povera come quella precedente; lo si stima ancora di più nell’essere riuscito, con un alto funds stavolta più consono al valore della serie, di aver fatto il bis, trovandosi a suo agio sia con animazioni povere che di livello alto nel resuscitare tutta l’epicità, il mood e le suggestioni dismay/grottesche/splatter del materiale originale.

Non c’è nulla che non vada nei 24 episodi che compongono la prima parte di Stardust Crusaders, quella che racconta il viaggio di Joestar e alleati fino in Egitto. I circa 8 volumi del manga sono trasposti con fedeltà assoluta, in modo agile e scattante. Nuovamente, non v’è alcuna ombra di riempitivi, né di rallentamenti per allungare il brodo: ogni dialogo e scena seguono con scrupolosa fedeltà il fumetto, e questo significa che tutto il suo fascino, l’imprevedibilità, e le sensazioni di stupore risplendono anche in animazione. Impossibile, per ovvie ragioni, citare o anticipare alcune delle incredibili battaglie che in Stardust Crusaders trovano sfogo (tutta l’importanza dell’opera risiede proprio in loro), ma il lettore si fidi del fatto che si parla di un concentrato di combattimenti distantissimi da quelli a cui si può essere abituati dalle solite, label trasposizioni di Fight Shounen: i match di JoJo sono risolti con l’uso del cervello, dell’intuito e della strategia, tenendo bene a mente la conformazione del terreno, la psicologia del nemico e fattori mai considerati in fumetti di ordinarie mazzate. L’importanza dell’opera consiste anche in questo, nel raccontare schermaglie che all’occorrenza sono più cerebrali che davvero fisiche (nonostante finiscano spesso col nemico di turno che subisce raffiche di pugni da Superstar Platinum, il fortissimo Stand di Jotaro, ma sempre dopo che quest’ultimo è riuscito a invalidare la strategia nemica con l’uso della materia grigia). Pur non potendo accennare al tipo di sorprese che regaleranno gli scontri e gli Stand (Araki ammetterà raggiante di aver creato una miniera d’oro praticamente inesauribile con essi4, non per nulla diverranno il simbolo della saga e di tutte le serie successive), se non accennare alle battaglie con Ebony Devil, Hanged Man, The Lover e Loss of life 13, ci si può comunque soffermare sugli elementi di contorno, anch’essi degni di lode.

Simpatici e discretamente caratterizzati sono, infatti, i protagonisti principali. Chi più (Joseph, Jotaro, Polnareff), chi meno (Kakyoin, Mohammed), godono di personalità ben differenziate e ottimamente rese dalle loro interazioni di vita privata. Sono da inquadrare, ovviamente, nei limiti di un fumetto d’azione per ragazzi (il tenebroso e acuto, l’intelligente, lo scavezzacollo, and a complete lot of others., e questo vale anche per Dio, banalmente cattivissimo come il Diavolo), ma il numeroso contorno di gag e siparietti – alcuni dei quali creati per l’occasione – rendono il loro rapporto e cameratismo davvero divertenti, al punto che ci si affeziona alle loro spacconate e ai litigi. Aiutano, in questo contesto, anche superbe cover recitative dei seiyuu (uno spasso Joseph che continua a urlare “Oh my God!”, “Holy shit!”, and a complete lot of others.), l’eccellente e atipico chara make originale (fedelmente rispettato da Masahiko Komino), mix di influenze occidentali e orientali, coi suoi vestiari tamarri e sopra le righe e i visi carnosi (spariscono del tutto i debiti con Tetsuo Hara visti in Phantom Blood e Fight Tendency), e lo spasso generato dalle tante scene grottesche e politicamente scorrette che vedono coinvolti loro (il controverso rapporto di Polnareff coi gabinetti!) e altri (lo sventurato possessore dello Stand The Emperor!). Ben disegnate anche le ambientazioni esotiche, nonostante, come nel manga, fungano solo da veloce vetrina per il combattimento di turno. Il ritmo è veloce e trascinante (una o due puntate a scontro, e through col prossimo), e le animazioni, davvero fluide e spettacolari nei match, dalla grande fisicità, li rendono finalmente esaltanti e pieni di energia, facendo dimenticare i rudimentali fermo immagine e inquadrature statiche del passato (ma in compenso, purtroppo, spariscono quasi del tutto le invenzioni visive, sarebbe stato troppo pretenderle dal regista quando le usava in precedenza come escamotage per sopperire al low funds). Azzeccate e sufficientemente epiche anche le tracce sonore e, davvero, semplicemente geniale la ending, la storica hit degli Eighties Stroll esteem an Egyptian delle The Bangles, perfettamente in tema con la storia e, come Roundabout degli Sure nella serie precedente, una delle canzoni più ascoltate all’epoca da Araki quando disegnava il manga (sorprendentemente moscia la opening steel, invece). Infine, vale la pena spiegare come la cura tecnica certosina si esprima anche nella grandissima resa di disegni e fondali: dimentichiamoci, sempre dalla prima serie, i fotogrammi disegnati in modo approssimativo e poi “corretti” nell’edizione fisica casalinga, visto che qui tutto è disegnato a regola d’arte. Se si è pignoli si può giusto porre l’accento sulla “ingessità” delle animazioni nei momenti di stanca o dialogici, tuttavia ben mascherati dalla cura grafica.

Non si poteva chiedere di più a una serie televisiva che restituisce a uno degli shounen più importanti di tutti i tempi tutta la sua dignità, rendendolo finalmente visibile a tutti i folli che non si sono letti il manga e realizzandolo pure con ingenti mezzi monetari, arricchendo la trama con qualche scenetta qua e là che regala ulteriori risate e carisma ai personaggi. Siamo di fronte a una esemplare trasposizione manga-anime, non c’è altro da aggiungere se non buon divertimento.

Nota: anche in questo caso, la trasmissione televisiva giapponese di Stardust Crusaders pecca di numerose censure video, principalmente oscuramenti delle scene troppo violente (ovviamente quelle splatter e gore, invero numerose) o di quelle inaccettabili per le leggi nipponiche (minorenni come Jotaro che fumano). Per la versione integrale, rivolgersi al video dei Blu-ray.

Voto: 8 su 10

PREQUEL
JoJo’s Weird Adventure (2012-2013; TV)

SEQUEL
JoJo’s Weird Adventure: Stardust Crusaders – Egypt Arc (2015; TV)
JoJo’s Weird Adventure: Diamond is Unbreakable (2016; TV)

FONTI

1 Intervista a Hirohiko Araki del 2003 rilasciata in occasione dell’esposizione dei suoi lavori nella galleria francese di Odermat-Vedovi. Pubblicata nella pagina web http://www.animeland.com/articles/voir/196/ARAKI-Hirohiko-Exposed

2 Postfazione dell’autore in coda al volume 10 de “Le bizzarre avventure di Jojo: Stardust Crusaders” (Superstar Comics, 2011)

3 Intervista giapponese a Hirohiko Araki, sottotitolata in inglese e disponibile all’indirizzo http://www.dailymotion.com/video/xnzt4x_araki-hirohiko-interview-english-sub_creation

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