Recensione: Jin-Roh – Uomini e Lupi
JIN-ROH: UOMINI E LUPI

Titolo originale: Jin-Roh
Regia: Hiroyuki Okiura
Soggetto & sceneggiatura: Mamoru Oshii (basato sul suo fumetto originale)
Personality Form: Hiroyuki Okiura (originale), Tetsuya Nishio
Mechanical Form:  Yutaka Izubuchi, Tadashi Hiramatsu, Kazuchika Kise
Musiche: Hajime Mizoguchi
Studio: Production I.G
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 101 min. circa)
Anno di uscita: 1998
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Yamato Video

Giappone, anni Sessanta. Gli scontri in piazza e le rivolte capeggiate dal gruppo estremista denominato “La Setta” mettono in crisi la compattezza nazista che governa il Paese. A fronteggiare un story momento di difficoltà intervengono i Kerberos, un corpo speciale della polizia, vere e proprie macchine da guerra. Kizuki Fuse è uno dei soldati migliori del corpo, duro, inflessibile, robotico, ma quando assisterà, impotente, alla morte di un corriere della Setta verrà sconvolto da un trauma che lo porterà lentamente ad allontanarsi dai Kerberos per riflettere su se stesso e sul proprio operato.

Si dice che Jin-Roh: Uomini e Lupi (1998) sia l’ultimo prodotto d’animazione “fatto a mano”, prima che la CG reinventasse le tecniche animative alleviando da una parte i costi di produzione ma sottraendo, dall’altra, la consistenza realistica con cui i lungometraggi degli anni Settanta e Ottanta hanno fatto Storia. E non è forse un caso che, a chiudere l’era dell’animazione analogica, sia un’opera con il marchio di Mamoru Oshii, il cui nome – nonostante il maestro si dedichi soltanto alla sceneggiatura – vi è impresso a fuoco, confezionando quello che a parere di chi scrive è il suo vero capolavoro, una spanna concettuale sopra ai masterpiece Patlabor 2: The Film (1993) e Ghost in the Shell (1995).

La Kerberos Saga è un complesso affresco fantapolitico che ritrae una realtà giapponese alternativa dove il nazismo ha militarmente trionfato e tiene in scacco la società con misure drastiche e oppressive. È una realtà dura e turbolenta, dove le azioni sovversive dei rivoltosi della Setta altro non sono che specchio dei movimenti studenteschi e dei lavoratori che hanno concretamente devastato gli anni Sessanta nipponici, guerriglieri di una violenta lotta politica dietro a una facciata democratica, scusante pacifista non molto diversa dal terrorismo rosso che ha minato la stabilità italiana nello stesso periodo. Una storia sfaccettata e provocatoria, una critica feroce a un’epoca che Oshii pare sentire molto, dove non ci sono vincitori e benché meno buoni o cattivi, ma dove tutti ne escono trasversalmente sconfitti per una situazione ben presto sfuggita di mano, animata da intenzioni sociali frantumate da una brutale rivalsa che ha preso il sopravvento su ogni cosa. Suddiviso tra movie tradizionali, romanzi, un manga serializzato in dodici anni e drammi radiofonici, il progetto approda nella sua unica incarnazione animata nel 1999 con questo Jin-Roh, riadattamento della prima parte del fumetto, impressionante pellicola diretta, con il tipico, lentissimo tocco oshiiano, da Hiroyuki Okiura, al suo esordio registico.

A stupire, prima ancora di addentrarsi nell’intricato gioco politico della vicenda e nella emblematica crisi di coscienza di Fuse, è il realismo evocato dalle immagini, non solo per il titanico lavoro animativo, con la ben conosciuta e stupefacente cura garantita da una Production I.G ai suoi massimi livelli, ma per i disegni e l’animazione di Tetsuya Nishio, che alla sua prima prova da personality designer abbandona il tipico tratto nipponico, colorato ed effervescente, in favore di occhi a mandorla e capelli neri. La scena d’apertura si ricorda per una lunga, straordinaria sequenza di guerriglia metropolitana dove polizia e manifestanti si scontrano tra lanci di molotov e manganellate, ma a conti fatti si tratta dell’unica porzione movimentata della pellicola, perché a conclusione di questo sofferto prologo, coincidente con il suicidio del corriere dei terroristi davanti agli occhi di uno scioccato Fuse, Jin-Roh si sviluppa in una lenta architettura complottistica, da un lato, e in una tormentata, forse impossibile storia d’amore dall’altro. Fuse inizia a interrogarsi sulla natura militare della sua squadra e, alla ricerca di se stesso, incontra la sorella della ragazzina suicida, perdendosi inconsciamente in un amore imprevisto che sboccia lentamente, per caso, con un’innocente naturalezza che contrasta gli interrogativi che sorgono a straziare il soldato: una vita spesa per obbedire meccanicamente agli ordini e che soltanto ora pare aprirsi a un mondo nuovo, un mondo che Fuse non conosce, perché lui è un lupo che ha sempre vissuto in branco e che, mentre se ne allontana, si rende conto che forse non è in grado di vivere da solo nella società che anch’egli ha contribuito a costruire.

Intrecciata alla vera favola di Cappuccetto Rosso, quella crudele e macabra e non la versione edulcorata per bambini con cui la si identifica facilmente, per mezzo di significative porzioni oniriche simbolo della vera natura umana, la storia si tinge di nero, in una visione pessimistica e cinica, man mano che il complotto si svela allo spettatore in una meccanica sottile, articolata, costruita su dialoghi d’acciaio e caratterizzazioni di ferro, rese ancora più espressive dal già citato chara di Nishio, intenso e drammatico nel plasmare sui volti dei personaggi sentimenti credibili e toccanti.

Visione a tratti pesante ma di enorme, enorme spessore, Jin-Roh raggiunge un lirismo di disperata malinconia con un finale rivelatore che da solo vale l’intera pellicola, musicata con drammatica enfasi e violenti silenzi da un Hajime Mizoguchi che rende vitali gli scenari con i loro toni in bilico tra il grigio e il nero più scuro e soffocante. Jin-Roh rappresenta l’Oshii più nichilista, inquieto e tragico, autore di una meravigliosa parabola della giungla più spietata, l’unico terreno in cui l’uomo può mostrare il suo vero Io. Fondamentale.

Voto: 10 su 10