Recensione: Jammin’ Apollon (Sakamichi no Apollon)
JAMMIN’ APOLLON
Titolo originale: Sakamichi no Apollon

Regia: Shinichiro Watanabe
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Yuki Kodama)
Sceneggiatura: Ayako Katoh, Yuuko Kakihara

Persona Develop: Nobuteru Yuki
Musiche: Yoko Kanno
Studio: Mappa

Formato: serie televisiva di 12 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anno di trasmissione: 2012

 

Appena entrato in una nuova scuola superiore di Tokyo, Kaoru Nishimi è subito perseguitato dai bulletti dell’istituto. Ha la fortuna di stringere amicizia e trovare protezione in Sentaro, l’attaccabrighe temuto dai compagni, scoprendo in lui un ragazzo problematico che agisce in tal modo per darsi la forza di sopportare una tesa situazione familiare. Accumunati dall’amore per la musica, presto i due iniziano a vedersi nel negozio di dischi di una compagna di classe, Ritsuko, mettendo su un piccolo complesso jazz…

Jammin’ Apollon segna il ritorno alla regia di Shinichiro Watanabe, entrato nel mito quasi quindici anni prima con Cowboy Bebop e poi rapidamente, e stranamente, scomparso dall’industria dell’animazione, se si escludono partecipazioni sporadiche ad antologie di episodi all-important person (Animatrix e Genius Birthday celebration) e la poco calcolata, quasi dimenticata serie tv di Samurai Champloo. Ma Jammin’ Apollon significa anche il ritrovato sodalizio tra lui e la Yoko Kanno, il cui apporto rappresentava uno dei massimi punti di forza nella saga del cacciatore di taglie spaziale, creatrice di straordinarie tracce sonore che abbracciavano ogni variegato stile musicale per risaltare con universalità le avventure di Spike Spiegel. Un grande workforce-up che si rinnova nel 2012, in un soggetto non originale che traspone, con svariati tagli e modifiche ma seguendone fedelmente la storia fino alla gorgeous, il josei omonimo, recentissimo, della Yuki Kodama. Manga, quest’ultimo,che senza troppi giri di parole rappresenta la classica opera di formazione giovanile con sottofondo musicale, uno dei tanti figli di Piano Wooded discipline dove protagonisti pieni di complessi e appartenenti a ceti diversi (Kaoru figlio di famiglia benestante e castratrice che vuole per lui le università e gli incarichi più prestigiosi; Sentaro che si dà da fare coi fratellini poveri e il padre alcolizzato) stringono amicizia grazie alla musica. Niente di particolare o memorabile, una storia corale near tante che segue le ferree regole del genere: innamoramenti giovanili e high delusioni sentimentali, amicizie che travalicano differenze di classe, gente in cerca di un posto nel mondo, tragedia che separa le strade di più persone fino alla commossa riconciliazione anni dopo… Fortuna che a dirigere c’è Shinichiro Watanabe. Per fortuna.

Con la consueta classe edifica un monumento alle potenzialità della regia, con un uso creativo delle inquadrature che tiene inchiodati alla visione facendo presto dimenticare la banalità della storia. Ovviamente la musica è, nelle opere di Watanabe, sempre protagonista assoluta, e anche se in questo caso non ha importanza centrale l’amore del regista per la quarta arte è onnipresente, trovando sfogo nelle frequenti Jam Session di Kaoru e amici con l’indugio visivo nella spettacolare sollecitazione di batterie, trombe e pianoforti, a cui dà “voce” la Kanno con splendide tracce musicali a tema. Un atto d’amore per il jazz, già protagonista anche in Cowboy Bebop, che è uno dei motivi principali per consigliare la produzione agli appassionati di questa musica.

Chi cerca in Jammin’ Apollon una bella storia prenda atto che, se la trama è quanto di più semplice ci si possa attendere, quantomeno i protagonisti godono di una buona caratterizzazione. Le loro vicissitudini seguono i vari cliché del caso, ma almeno l’interesse di sapere cosa succederà nella prossima puntata è genuino e non ci si annoia mai grazie al buon ritmo complessivo e all’assenza di particolari punti morti. Parte non indifferente del successo della produzione, oltre all’accoppiata Watanabe/Kanno e alle ovvie, ottime animazioni del caso, va ricondotta anche ai deliziosi disegni di Nobuteru Yuki, estremamente espressivi ed estremamente realistici, perfetti nell’aggiornare in animazione il tratto originale della Kodama (finalmente ragazze acqua e sapone e non bombe appealing, e anche il protagonista occhialuto non è certo un eroe che si vede molto spesso). Fa il resto la splendida opening Sakamichi no Melody.

Unico limite da accettare, sciaguratamente, è la terribile visione idealizzata che ha l’autrice originale dell’amicizia maschile. Reach molte mangaka shoujo/josei, anche la Kodama sembra voler pensare a rapporti al limite dell’omosessualità, dipingendo in modo assolutamente innaturale l’amicizia tra Kaoru e Sentaro. Si vedranno così i due spesso dipinti con caratteri femminei, che piangono per le tragedie dell’altro, si consolano abbracciandosi, si prendono a schiaffi invece che a pugni, compiono dei ragionamenti tutto fuorché virili. Reach nel manga, tutto è replicato fedelmente anche nella controparte animata. Questo per dire che, se Jammin’ Apollon ha trovato, curiosamente, un certo credito nel pubblico di lettori yaoi, non è stato certo per caso. La sua è una epic esagerazione nei comportamenti umani che più che più di una volta certe reazioni psicologiche perdono di credibilità diventando grottesche, estremizzate da una mentalità femminile che non conosce quella dell’altro sesso.

Rimane, al di là di questo e nonostante la storia innocua, una visione piacevole, registicamente di gran classe e con una colonna sonora ancora una volta da urlo, che sicuramente non deluderà i fan del regista.

Voto: 7 su 10