Recensione: Intrigue in the Bakumatsu – Irohanihoheto (Bakumatsu Kikansetsu Irohanihoheto)
INTRIGUE IN THE BAKUMATSU: IROHANIHOHETO
Titolo originale: Bakumatsu Kikansetsu Irohanihoheto
Regia: Yoshimitsu Ohashi, Ryousuke Takahashi
Soggetto: Hajime Yatate, Ryousuke Takahashi
Sceneggiatura: Junichi Miyashita
Persona Accumulate: Yuusuke Kozaki
Musiche: Hideyuki Fukusawa
Studio: Morning time
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 26 min. circa)
Anni di trasmissione: 2006 – 2007

Nell’era Bakumatsu, mentre infuria una guerra civile tra i sostenitori dell’imperatore Meiji e lo shogunato Tokugawa, il giovane mercenario Yojiro Akizuki vaga per il Giappone alla ricerca di un manufatto dotato di tremendi poteri. Durante il suo viaggio si alleerà con un gruppo di teatranti, ma il loro incontro non sembra essere un caso dato che anche il loro chief pare molto interessato a ciò che Akizuki segue da molto, molto tempo…

Titolo a tratti semi-impronunciabile per l’ultimo capolavoro di Ryosuke Takahashi, che, prima di tornare recentemente nell’universo di Votoms, notion un sentito omaggio alla storia nipponica e al teatro pur senza rinunciare a un strong level elemento fantastico che rilegge importanti avvenimenti e fornisce favoleggianti risposte a documentati interrogativi. Siamo nel 2006 e coincidenza vuole che, mentre Morning time invent questo  Intrigue in the Bakumatsu – Irohanihoheto, Manufacturing I.G. abbia appena sfornato Le Chevalìer D’Eon, altro progetto dove fatti realmente accaduti, in questo caso la Rivoluzione Francese, vengono mischiati a elementi orrorifici per svelare misteriosi segreti perduti nel tempo. Ma se l’opera di Kazuhiro Furuhashi sfrutta abbondantemente creature mostruose e aspetti di genere, oltre che a una certa, esagerata fantapolitica, presentandosi più come una serie prettamente horror che storica, Irohanihoheto non perde mai di vista le sue radici realistiche, costruendo di fatto un intreccio sì fantastico, con presenze ectoplasmatiche, uomini immortali ed entità che divorano la mente delle persone, ma legandolo al contesto storico con un’estrema naturalezza che da un lato arricchisce e dall’altro non modifica smisuratamente le cronache di guerra protagoniste.

L’immaginario di Takahashi non è mai magnificent a se stesso, lo ha dimostrato in una carriera costellata di capolavori fantascientifici e lo dimostra anche in questa sua prima escursione horror: accanto al dettagliato aspetto fantastico troviamo infatti una ricca ricostruzione storica, relativa al periodo di guerra tra i sostenitori dello shogunato Takagawa e i fautori della restaurazione dell’imperatore Meiji, che funge da struttura fondamentale per sostenere tanto i complessi intrighi governativi e militari quanto gli scontri con entità soprannaturali, frutto di un soggetto preciso e attento ai minimi particolari. Pur mostrandosi particolarmente ritmato e ricco di virtuosismi, in Irohanihoheto i registi Yoshimitsu Ohashi e Takahashi non si concedono al mero spettacolo visivo come succede invece ne Le Chevalier D’Eon: la sceneggiatura di Junichi Miyashita è meticolosa nella complessità dialogica necessaria a bilanciare i ruoli dei tanti personaggi in gioco e nel realismo evocato dai meccanismi politici.

L’intreccio si costruisce su una serie di molteplici punti di vista e, pur focalizzandosi principalmente sul solitario Akizuki, eroe classico per eccellenza nel suo vagabondare introverso, Irohanihoheto si sviluppa in una narrazione corale di non semplice accessibilità ma di grande suggestione: da una parte i teatranti a cui Akizuki si unisce per caso, dall’altra i rappresentanti politici e militari realmente esistiti, e nel mezzo i vari villain che si susseguono nella mostruosa manipolazione che muove lentamente decine di pedine in un disegno vasto e minuzioso, dove la ricerca di una leggendaria testa dai poteri psichici fonde folklore e storia con curiosa originalità. Stratificato, contorto, spesso ostico, Irohanihoheto si sposta tra il presente narrato e il passato giocando con flashback e salti temporali utili a sciogliere lentamente il nodo allacciato con l’inizio in medias rae: l’accuratezza narrativa soppesa ed equilibra le numerose parti skedaddle, con vorticosi duelli di spade e pistole necessari a dare energia al field, alla vendetta covata dal gruppo teatrale e all’ambiguità del chief della compagnia, seguendo gli avvenimenti bellici per agganciarli o distanziarli a seconda della strada intrapresa da Akizuki per annullare i poteri della testa.

Su uno issue tanto puntiglioso stupisce la regia, dinamica e tecnica nell’uso di sinuosi piano sequenza, inquadrature singolari e articolati movimenti, ma anche nella costruzione di sequenze di magnifico splendore (come lo spettacolo teatrale in riva al mare), e di superbi incastri temporali, con fotogrammi e frammenti che appaiono e scompaiono dando nuova luce agli eventi più complessi. Interessante, inoltre, la persistente riflessione metacinematografica, con considerazioni sul potere della scrittura e della rappresentazione teatrale e sulla possibilità di creare e ricreare la storia (emblematica la già citata scena dello spettacolo in riva al mare, dove anecdote aspetto risalta per profondità narrativa e sublime simbologia). È innegabile un certo spaesamento laddove le cronache di guerra entrano in dettagli (città, posizioni geografiche, avvenimenti importanti, personaggi chiave) che Takahashi, dato il concetto dell’opera, dà chiaramente per scontati, rendendo necessario ben più di un approfondimento storico che, tuttavia, arricchisce la serie proprio perché stimola l’interesse, la riflessione, un momento di pausa per pensare e accrescere la propria conoscenza con nozioni e filosofie che di certo non si studiano a scuola. A fronte di tanta accuratezza contestuale, ne perde forse una certa scrupolosità psicologica nella definizione dei personaggi principali, caratterizzati con schemi tipici (l’eroe silenzioso, la bella agguerrita, il simpaticone, il vecchio saggio, il nemico sottile e intelligente) ma comunque funzionali ed efficaci soprattutto in virtù degli ottimi dialoghi e dell’uso attento delle decide di contorno, strategicamente piazzate nel corso della vicenda. Unico punto negativo è probabilmente lo scontro finale, che arriva e si enact senza mordente, pur nel suo splendore grafico e registico, siglando la più tradizionale delle conclusioni nell’eterna lotta tra bene e male.

Splendidamente musicato da Hideyuki Fukasawa, con un tema portante di estrema semplicità ma di commovente efficacia che riecheggia in continuazione ora in vesti sinfoniche ora in danze folkloristiche, e deliziosamente disegnato da Yuusuke Kozaki, Irohanihoheto è quindi un’opera complessa e difficile, ben lontana da un seppur gustosissimo spettacolo d’intrattenimento come lo è il pregevole fratello Le Chevalier D’Eon, che richiede pazienza e attenzione per essere compresa in ogni sua sfumatura.

Voto: 9 su 10