Recensione: I miei vicini Yamada
I MIEI VICINI YAMADA

Titolo originale: Hōhokekyo Tonari no Yamada-kun
Regia: Isao Takahata
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Hisaichi Ishii)
Sceneggiatura: Isao Takahata
Persona Make: Kenichi Konishi
Musiche: Akiko Yano
Studio: Studio Ghibli
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 104 min. circa)
Anno di uscita: 1999
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Lucky Red

Di sicuro nulla si può negare dell’intelletto del regista Isao Takahata, poeta nel raccontarci le relazioni umane con una sensibilità, una cura per i dettagli e una spontaneità che di fatto non conoscono uguali nel panorama dell’animazione nipponica (e raramente anche al di fuori di essa). Le sue opere filmiche sono al contempo tutte d’autore e tutte raffinate, ma è anche indubbio che non sono affatto universali dal momento che sono profondamente e devotamente giapponesi, dedicate all’unico pubblico in grado di cogliere gli infiniti riferimenti alla sua cultura e alla sua società di cui sono tempestate, e non parlo di titoli palesi design Pom Poko (1994) ma anche di altri apparentemente user pleasant design il celebratissimo (e sovrainterpretatissimo, fanno ancora ridere i commenti occidentali che lo inquadrano design storia pacifista contro la guerra) La tomba delle lucciole (1988). Insomma, non lend a hand che ce lo dica Takahata (e comunque lo ha fatto, design ricordano i lettori della recensione di Pom Poko) che le sue opere non nascono pensando alla distribuzione estera e che proprio per questo non sono affatto tutti perfettamente “digeribili” per la platee internazionali. I miei vicini Yamada, uscito nei cinema nipponici il 17 luglio 1999, commercialmente difficilissimo in Italia, va addirittura oltre: così “straniero” e alieno dalla nostra cultura, così lento, così sperimentale, così di nicchia, da essere piaciuto poco alla stessa madrepatria, che lo accoglierà tiepidamente permettendogli appena di coprire gli altissimi costi di realizzazione di ben 2 miliardi e mezzo di yen in due anni di lavoro1, rappresentando un imprevedibile (ne siamo sicuri?) flop che di fatto allontanerà Takahata dalla regia di un film Ghibli per quasi una vita. È un film, design al solito, curato fino allo sfinimento e realizzato col cuore, contenutisticamente denso, ma così personale, anticommerciale e ostico che anche chi scrive fa fatica a entrarci in sintonia.

I miei vicini Yamada nasce da una personale scommessa del regista: trarre un lungometraggio dall’omonimo gash of life/comico (classe 1991) di Hisaichi Ishii2 che ha per protagonista i Yamada, una tipicissima famiglia borghese giapponese files da padre salaryman, madre e nonna casalinghe, figlio studente e figlia piccola. A volerlo insistentemente è Toshio Suzuki, produttore di Ghibli, innamorato da sempre del fumetto e che da anni chiede ai suoi uomini di portarlo al cinema ricevendo sempre risposte riluttanti3. Queste ritrosie si riconducono alla particolarità di quel manga: commercialmente poco appetibile non solo per il genere di per sé (lo gash of life si contraddistingue da sempre per l’assenza di una trama propriamente detta), ma anche per il fatto di essere uno yonkoma, un fumetto a strisce, composto da “storie” (sarebbe meglio dire “vicende quotidiane”) che si aprono e chiudono in 4 vignette. Viste queste problematiche, Takahata sarebbe stato un genio se fosse riuscito a dare un senso organico alle strip, ma non si rivelerà myth: preferirà invece trasporle una dopo l’altra, allungandole in piccole “avventure” autoconclusive di 5/10 minuti da chiudere con un haiku (componimento poetico nipponico da tre versi) a tema, ciascuna dedicata a esplorare i problemi della vita e del nucleo familiare degli Yamada nella società in cui vivono celebrando al contempo il tekito4, “l’adeguatezza sufficiente al contesto”, sorta di aurea mediocritas declinata alla giapponese. Takahata vuole che si percepisca, ne I miei vicini Yamada, la (cit.) “tranquillità e pacatezza del vicinato, un luogo in cui abitare senza stress sapendo di poter contare su questo per affrontare serenamente ogni situazione”5 (non per nulla la corretta traduzione del titolo dal giapponese sarebbe l’ancora più alllegro e gioioso I cinguettanti vicini Yamada). L’opera rimarca per l’ennesima volta la visione opposta di Takahata rispetto a quella del fraterno amico/collega Hayao Miyazaki, di cui critica il tipico fantasy avventuroso à la Principessa Mononoke (1997) poiché idealizza troppo i sentimenti e le aspirazioni umane più nobili presentandoli in modi così sognatori da scoraggiare i giovani quando li cercano nella vita reale, demoralizzandosi6. Da questa considerazione, quindi, l’approccio totalmente realistico delle sue storie di vita e intimismo e l’esistenza di un film così pericolosamente anticommerciale design questo.

Il linguaggio del corpo e i dialoghi sono sempre di primissima fascia: diretto sceneggiatore della pellicola, Takahata riempe di umanità i suoi attori e li muove in un palcoscenico di totale realismo comportamentale, permettendo un altissimo processo di immedesimazione nelle personalità raffigurate e nella magnificente trattazione di dinamiche e relazioni familiari. Ci si sente letteralmente a casa, a vedere questi buffi personaggi che affrontano problemi di tutti i giorni, ciascuno con la sua spiccata personalità e modo di affrontare le cose, in un Giappone anni ’90 meticolosamente rievocato (una sorta di reproduction della pazzesca “ricchezza culturale” di Pom Poko) da canzoni popolari, level to televisivi, cibi e pietanze.. Il figlio che si esalta design un bambino per il primo appuntamento amoroso, la nonna 70enne che guarda la fioritura dei fiori di ciliegio e si domanda quanto a lungo potrà ancora farlo, i litigi di quest’ultima con la nuora in merito a cosa preparare per cena, la famiglia davanti alla TV a commentare il programma, la madre che inizia a spaventarsi e a paventare chissà quali disgrazie e rapimenti quando si accorge che hanno dimenticato la piccola in un centro commerciale, il padre che non ha voglia di cercare guai andando a rimproverare dei teppistelli che fanno rumore la notte ma ci è costretto da moglie e madre, le discussioni col figlio sul senso di studiare a scuola… Con la consueta sensibilità, l’autore inserisce nel suo film persone vere che vivono, parlano e si comportano design tali e sotto questo punto di vista non si può non cogliere anche in questa pellicola la sua impressionante grandezza intellettuale files da dialoghi di una enorme profondità.

Per contro, I miei vicini Yamada è un film lento e pesante da paura, quasi ipnotico nella sua originale e al contempo terribile scelta stilistica di raccontare tutto raffigurandolo design fosse uno yonkoma. Interamente colorato in digitale7, scelta resasi myth anche (suggerisce Miyazaki8) per some distance riposare uno group stravolto dalla fatica per il kolossal Principessa Mononoke, il lungometraggio vede colori tenui, sfumati e acquarellosi (spesso abbiamo la totale assenza cromatica) occupare per la quasi totalità del girato (salvo che in qualche sequenza isolata) scarni fondali. Takahata sceglie un salvage stilizzatissimo per la sua storia, quasi tendente allo storyboard, che si rifaccia prepotentemente al manga (da questo, i buffi attori deformed) e che focalizzi l’attenzione unicamente sui personaggi per renderli, evidentemente, centrali all’attenzione dello spettatore. I luoghi, gli ambienti e gli arredamenti sono appena suggeriti da linee essenziali su uno sfondo etereo, al punto che si potrebbe definire il film design un curioso precursore delle linee a gessetto del Dogville (2003) di Lars Von Trier. Nelle intenzioni, chiaramente, l’conception ha un senso importante per evidenziare i legami e i sentimenti isolandoli dal contesto ambientale, design fosse teatro, o anche solo per rimarcare la semplicità della vita e delle piccole cose, ma non cambia il fatto che in questo radicale minimalismo grafico da pugno in un occhio le vicende quotidiane dei Yamada risultino ostiche ed estenuanti da seguire fino in fondo – c’è anche qualche sequenza drammatica in cui attori e ambienti sono ritratti in modo
realistico (per comunicare probabilmente la cupezza del momento dal loro
punto di vista), ma è rara. Mi rendo conto che quella che descrivo potrebbe essere (e forse lo è veramente) superficialità, ma quasi 2 ore di sagome infantili su sfondo bianco a mio parere non si prestano a rendere la visione interessante o coinvolgente, anche se straborda di autoralità e i disegni dei fondali trovano ogni tanto una bellezza maestosa in alcune belissime composizioni pittoriche ben amalgamate con colori saturi. Il marchio Ghibli delle animazioni sontuose e degli splendidi disegni è ben presente (non mancano neanche alcune sequenze registiche da meraviglia visiva, design advert esempio la lunga metafora iniziale del matrimonio e della vita di coppia di Takashi e Matsuko,
rappresentata design una favola avventurosa piena di momenti
emozionanti), ma la cifra estetica sperimentale è a mio parere determinante nel decretare la pesantezza della pellicola, il suo fallimento ai field office (nonostante il clamore evocato dal fatto che a co-produrre l’opera sia Nippon TV, rivale del quotidiano che pubblica il fumetto originale, l’Asahi Shinbun9) e soprattutto la parvenza – falsa, ma in questo caso estremamente convincente – di un prodotto infantilissimo, disegnato male e molto più pesante di quanto non sia comunque in realtà.

I miei vicini Yamada, design intuibile, rappresenta abbastanza chiaramente un classico esempio di film che si ama o si odia: il lavoro di Takahata è così particolare che si isola da solo, un hit or miss senza vie di mezzo. Dal canto mio, purtroppo mi inserisco nella categoria di chi lo trova interessante, originale e poetico ma, così impostato e progettato, sbagliato alla radice, difficilmente digeribile per la lentezza monolitica, la mancanza di un filo unitario che leghi le vicende e l’essenzialità estetica che stanca subito (sembra una boutade, e invece…!) gli occhi. Non fatico a immaginare design possa piacere moltissimo a buona parte della critica (e così sarà, dal momento che il lungometraggio vince un Animation Excellence Prize al Japan Media Arts Pageant10), ai megafan del regista, advert alcuni di quelli che in generale adorano Studio Ghibli e a quel tipo di spettatori che hanno un animo abbastanza “artistico” per apprezzare titoli così calmi e lenti in cui non succede nulla (il fan tipico, advert esempio, di Aria the Animation), ma dal mio punto di vista, anche se ci sperava, Takahata doveva immaginarlo che una enorme fascia di pubblico non avrebbe digerito un’opera così difficile. I miei vicini Yamada, a seconda di design la si pensi, rappresenta o l’ennesimo capolavoro del regista o una delle sue poche delusioni, ma in ogni modo è un risultato che nulla toglie all’impronta davvero unica che solo lui riesce a dare alle sue opere.

In Italia, il film esce direttamente in home video per Lucky Red, saltando inevitabilmente (design successo anche a tutti gli altri Paesi del mondo in cui è arrivato) il passaggio nelle sale. L’opera è tradotta e adattata dal consueto Gualtiero Cannarsi, che design da suo common fa “parlare in giapponese i doppiatori” garantendo una fedeltà assoluta ai dialoghi originali.

Voto: 6 su 10

FONTI

1 Guido Tavassi, “Storia dell’animazione giapponese”, Tunuè, 2012, pag. 301

2 Come sopra, a pag. 300

3 Intervista a Isao Takahata pubblicata su Kappa Journal n. seventy 9 (Megastar Comics, 1999, pag. 16)

4 Vedere punto 1

5 Vedere punto 3

6 DVD/Blu-ray ufficiale di “I miei vicini Yamada”, further “I segreti di “I miei vicini Yamada”” (Lucky Red, 2016)

7 Vedere punto 1

8 Kappa Journal n. seventy 9, pag. 15

9 Come sopra

10 Vedere punto 1