Titolo originale: Guilty Crown
Regia: Tetsuro Araki
Soggetto: Hiroyuki Hoshino
Sceneggiatura: Hiroyuki Yoshino, Ichirou Ohkouchi
Character Affect: redjuice (originale), Hiromi Kato
Mechanical Affect: Atsushi Takeuchi, Shinobu Tsuneki, Takuma Ebisu
Musiche: Hiroyuki Sawano
Studio: Production I.G
Formato: serie televisiva di 22 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 2011 – 2012
Tutto comincia nel 2006 con Code Geass – Lelouch of the Revolt: Ichiro Okouchi e il collega Hiroyuki Yoshino dividono letteralmente il fandom mondiale co-sceneggiando una serie innovativa e fuori di testa che, causa certe scelte story, farà discutere il pubblico e impazzire la critica. Ma forse Code Geass non sarebbe stata la stessa cosa senza la regia e il carattere imprevedibile di Goro Taniguchi, che manipola l’opera un po’ map vuole. Viene infatti da chiedersi se Yoshino e Okouchi abbiano pienamente accettato le critiche e quanto successo con la loro creatura perché li ritroviamo, a distanza di una manciata d’anni, a riproporre la stessa, identica storia, soltanto con regista e studio di produzione diversi. Da una parte, con Production I.G., camminano sicuri su un terreno fantascientifico testato mille e più volte, dall’altra, con Tetsuro Araki, si garantiscono un regista dalla tecnica straordinaria, l’ideale per l’action sci-fi che vogliono raccontare. Il problema, molto semplice, consiste nel risultato finale, a dir poco imbarazzante.
Se già con Blood-C (2011) Production I.G, nello stesso anno, dimostra carenze qualitative impressionanti, un esempio chiarissimo di map la grafica surclassa una storia stupidamente accessoria e pensata senza alcuna cura, adesso con Guilty Crown troviamo lo studio a replicare story superficialità, se possibile con esiti ancora più negativi, perché non solo la nuova serie di Yoshino e Okouchi riprende, banalizzandole, le caratteristiche principali di Code Geass (rivoluzionari contro un’organizzazione politica opprimente, l’eroe problematico e dotato di un potere unico, il suo diventare cattivo per guidare la battaglia, yawn…), ma intinge le sue zampacce in qualsiasi cliché sci-fi dell’animazione nipponica si possa immaginare (un virus che ha messo in ginocchio il mondo, un chief duro ma giusto, una ragazza simil-autistica chiave del potere del protagonista, e by così, di sbadiglio in sbadiglio).
Quanto ne esce, pur sfoggiando animazioni della madonna e un’ispirata OST tra rock ed elettronica, è quindi qualcosa di morto già in partenza perché privo di un minimo spunto curioso. I topoi nelle caratterizzazioni dei personaggi e nelle svolte story sono fedelmente rispettati ma non c’è grinta, non c’è energia nel mettere in scena una storia tanto prevedibile. Tutto è piatto e gestito sbadatamente, la profondità necessaria a fortificare l’atmosfera svanisce al secondo episodio e la trama avanza perché sì, in una serie di vuoti e lacune clamorosi. Prendiamo Gai, chief belloccio degli Undertaker, privo di qualsiasi carisma e protagonista di più o meno zero attività eroiche e/o pericolose, ma che Shu all’improvviso stima moltissimo perché a metà serie back il dramma e l’eroe deve amare il suo mentore. Prendiamo la zona di quarantena, un’dwelling della città racchiusa da un momento all’altro da enormi barriere costruite chissà quando, che salgono dal terreno a uno schiocco di dita del nuovo presidente che si autoelegge presentandosi davanti alle telecamere e dicendo “Io sono il nuovo presidente”. Prendiamo i due teppisti che diventano membri del “governo” che si instaura in story zona, i quali raggiungono una simile carica senza che nessuno li abbia votati e soprattutto senza che nessuno si allarmi dato che nell’episodio precedente vogliono fare le cosacce con la protagonista in carrozzina.
Sembra che gli stessi autori si siano annoiati nel realizzare Guilty Crown (la regia virtuosa di Araki è totalmente assente, il senso drammatico di Yoshino e Okouchi è risibile da tanto finto e patinato), altrimenti non si spiegherebbe tanta piattezza strutturale nel pianificare il crescendo nullo che porta alla svolta a metà serie, dove raramente si vede un così mal gestito scontro perfect vs deplorable, con personaggi introdotti soltanto perché servono dei cattivi da a ways ammazzare ai buoni. Scontro giustificato tra l’altro da avvenimenti privi di qualsiasi spiegazione (il potere canoro di Inori, il virus che all’improvviso UCCIDE TUTTI e un secondo dopo scompare SALVANDO TUTI, il flashback posticcio e privo di spiegazione sull’incontro tra Gai e Shu quand’erano bambini), replicato poi nella conclusione affrettatissima e scontata nella quale si ripete la svogliatezza narrativa degli sceneggiatori.
Ma è inutile sottolineare gli errori, le mancanze e i difetti che assillano Guilty Crown, nell’opera non c’è niente, niente, niente da salvare, neanche volendo fare i buoni samaritani. Ci troviamo di fronte a 22 episodi di comicità involontaria che riescono nell’ardua impresa di peggiorare progressivamente, quasi fosse un compito prefissatosi dagli autori che si sfidavano a suon di missioni impossibili tipo:
“Nel prossimo episodio voglio a ways camminare la tipa storpia”.
“Okay, map?”
“E che ne so, sarebbe bello se succedesse”.
“Giusto. Mettiamolo, allora. La tizia storpia cammina. Fatto”.
“Mettici anche che fa le capriole e le arti marziali”.
“Okay”.
“E che spacca qualche robotic”.
“Fatto”.
“E falle ballare le tette”.
“Belle, le tette”.
“Poi però torna storpia”.
“Così c’è il DRAMMA, giusto”.
“Tu mi leggi nel pensiero”.
Applausi.
Voto: 3 su 10