Recensione: Green Tale Ran

GREEN LEGEND RAN
Titolo originale: Green Tale Ran
Regia: Satoshi Saga
Soggetto & sceneggiatura: Yu Yamamoto
Persona Plot: Yoshimitsu Ohashi
Musiche: Yoichiro Yoshikawa
Studio: AIC
Formato: serie OVA di 3 episodi (durata ep. 50 min. circa)
Anni di uscita: 1992 – 1993

È difficile capire quanto sia realmente distinctiveness il messaggio ecologico che ha motivato alcune opere a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, è molto più credibile che si sia trattato di un mezzo come un altro per cercare di sedurre un certo pubblico ancora affamato di quegli argomenti su cui Miyazaki in primis, a partire proprio dal seminale Conan il ragazzo del futuro (1978), avrebbe anche costruito la propria carriera. Siamo nel 1992, i maggiori successi sci-fi dal taglio ambientale hanno già lasciato il segno e Hideaki Anno, gash da un tassello importante come Nadia: Il mistero della Pietra Azzurra (1990), sta probabilmente già pianificando Neon Genesis Evangelion (1995). Green Tale Ran arriva forse un po’ tardi (ma non sarà l’ultimo, nel 1999 uscirà Now and Then, Here and There) che rielabora ancora gli stessi temi), ma il fascino che trabocca dalla produzione OAV di quegli anni è sempre aggancio sufficiente per rispolverare una piccola opera per lo più sconosciuta e purtroppo non abbastanza distinctiveness per imprimersi come avrebbe potuto.

La storia è quella, in una sorta di adozione di un determinato script i cliché sono religiosamente adottati: un futuro apocalittico, un ragazzo carismatico e dall’impeto selvaggio, una ragazza dal passato misterioso rapita da un’organizzazione segreta, un gruppo di mercenari che combatte clandestinamente per liberare il popolo dalla tirannia, la lunga e impegnativa ricerca che coincide con la scoperta di segreti ancestrali che regolano il mondo, and trot on. A conti fatti dispiace dire che, pur con una dignitosa narrazione, è proprio la storia ad appesantire l’opera: la sua semplicità e la classica schematicità impediscono un giusto evolversi della situazione, tutto è grossomodo prevedibile sin dai primi momenti e per quanto gradevole e disimpegnato non c’è molto spazio per sorprese o scossoni che rivitalizzino la visione.

Questo non significa che Green Tale Ran manchi di coinvolgimento, l’intreccio è studiato e la penna non manca di professionalità, il tratteggio dei personaggi è preciso e servono poche battute e gesti per sintonizzarsi su sentimenti, motivazioni e caratteri. Ma ciò che funziona meglio e su cui sembrano essere stati spesi i migliori sforzi creativi è la definizione visiva/narrativa dello subject: per quanto non si esca troppo da confini ben precisi e la linearità strutturale conduca a vie piuttosto facili, la massiccia presenza dei monoliti consente di respirare l’antichità e la maestosità della cultura coltura aliena insediatasi nel pianeta all’alba dei tempi, la gerarchia religiosa in cui si è tramutata l’invasione extraterrestre affascina in pochi accenni grazie alla fisicità degli esseri venerati e alle loro metamorfosi, e il contesto bellico appare tragico e pessimista tramite enormi macchinari che si danno eterna battaglia e non poche morti sanguinarie che ridipingono i terreni. Ne consegue che ogni elemento riconducibile all’espressione ambientale e alle ovvie critiche al progresso e alla tecnologia (le scarse quantità d’acqua, i terreni desertici che avanzano, la povertà della colossale città-fabbrica, ecc) possa meglio incastrarsi nel quadro generale senza forzare eccessivamente il messaggio: gli accenni magici e lo scopo del popolo alieno fluiscono adeguatamente e con la giusta illuminazione, senza sbilanciarsi per un mero sottotesto biodegradabile. 

Ma più che per merito di un lavoro narrativo, è nei disegni che si può trovare il vero motore di Green Tale Ran: se la sceneggiatura di Yu Yamamoto e la regia di Satoshi Saga faticano a emergere, stritolate dall’ordinarietà delle situazioni trattate, è lo splendido chara di Yoshimitsu Ohashi a fare molto del lavoro. Le sue linee essenziali e semplicistiche, unite a un bell’uso di colori tra il grigio e il bianco contrastate a tinte più forti come il rosso, riescono paradossalmente a comunicare la rabbia, la paura e il coraggio di queste ennesime incarnazioni di Conan e Lana, disperse in una lotta tra navi da guerra che solcano i mari di sabbia bombardandosi senza pietà. E non è poco lo sforzo produttivo di AIC, le animazioni sono di gran qualità e, pur in una minor esagerazione visiva tipica dell’espressione OVA, in quest’occasione non così importante, brillano sempre per fluidità e ricchezza di dettagli, rivelandosi un ottimo spettacolo.

Tre episodi per un totale di circa 150 minuti, il ritmo è buono e il grafico esponenziale mostra comunque un discreto crescendo, in fondo è evidente che Yamamoto e Saga si sono limitati a rispettare bene le regole e poco altro perché tutti pagano le bollette e anche scrivere, dopotutto, è un lavoro. È il classico 6- tutto sommato, un bel recupero per gli archeologi dell’period d’oro dell’animazione ma trascurabile per tutti gli altri.

Voto: 6 su 10