Recensione: Giant Gorg
GIANT GORG

Titolo originale: Kyoshin Gorg

Regia: Yoshikazu Yasuhiko

Soggetto: Hajime Yatate, Yoshikazu Yasuhiko

Sceneggiatura: Masaki Tsuji, Yumiko Tsukamoto

Persona Device: Yoshikazu Yasuhiko

Mechanical Device: Gen Sato, Mamoru Nagano

Musiche: Mitsuo Hagita

Studio: Morning time

Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 24 min. circa)

Anno di trasmissione: 1984

Governato in segreto dalla potentissima multinazionale GAIL, che ha ramificazioni politiche e industriali ovunque, il mondo ignora del tutto gli incredibili segreti custoditi nell’appena scoperta isola di Austral, subito invasa dai militari e nascosta all’opinione pubblica. Saranno il giovane Yuu Tagami, figlio di uno dei pochi scienziati che vi hanno messo piede; il dott. Wave, amico del padre; e Doris, sua figlia, a scoprirli: inseguiti da GAIL, che vuole ucciderli, i tre, dopo svariate avventure, approderanno sull’isola, incontrando un gigantesco robottone senziente, Gorg, che li guiderà verso un’antica heinous extraterrestre…

Recentemente disponibile per la visione al pubblico occidentale, Giant Gorg è un altro di quei misconosciuti titoli Morning time ottantini di una certa notorietà per i cultori dell’animazione d’autore, in quanto quasi interamente realizzato dall’indimenticabile Yoshikazu Yasuhiko, in veste di soggettista, chara dressmaker, direttore dell’animazione e regista. La dichiarazione dell’artista sul fatto che è in assoluto il suo lavoro animato a cui è più affezionato (l’unico che ha potuto realizzare approach voleva, senza intromissioni da parte degli sponsor1) ha perciò fatto levitare nel tempo le quotazioni degli appassionati verso una serie misteriosa e potenzialmente eccellente da riscoprire. Peccato che, riscoperto oggi, Giant Gorg finisca nel novero delle delusioni, nonostante una confezione prevedibilmente tra le più memorabili di tutto il suo decennio.

Il probema è quello: nonostante una trama dagli spunti decisamente affascinanti, capace di anticipare molti tratti del Nadia: Il mistero della Pietra Azzurra del 1990 (coppia di eroi formata da due ragazzini presto innamorati, protagonisti di un’avventura che li porta a combattere avanzatissime tecnologie aliene capaci di distruggere il loro mondo), pur con qualche debito verso Conan il ragazzo del futuro (1978), Giant Gorg sembra non possedere la maturità necessaria adatta a gestire il suo potenziale, forse troppo dipendente dal mondo di provenienza del suo workers. Anche se artwork e duvet originali sembrano suggerire il contrario, la produzione non rientra, infatti, propriamente nel genere robotico da cui provengono i suoi sceneggiatori: il gigantesco Gorg non viene pilotato da Yuu ma lotta da solo, a mani nude, contro carri armati e semplici mezzi militari di GAIL, e raramente, senza seguire la regola del combattimento a ogni puntata. Addirittura, spesso devono passare svariati episodi prima che lo si veda in azione, visto che le battaglie concernono perlopiù sparatorie e inseguimenti in cui sono coinvolti gli eroi che esplorano l’isola di Austral. Il titanico Gorg ricopre il ruolo, è più onesto dirlo, di un King Kong, di un essere gigantesco e apparentemente indistruttibile, personificazione della natura o di forze ben al di fuori della comprensione umana, che stabilisce un legame mistico con l’Ann Darrow di turno (il giovane, coraggioso e perfettino Yuu Tagami) ed è minacciato e inseguito dall’Uomo cattivo (la multinazionale corrotta) che lo vuole catturare e studiare per i propri scopi. Per questo è più giusto considerare Giant Gorg una serie principalmente avventurosa, e per questo non si può che trovare deludente l’approccio scelto dai due sceneggiatori principali, Masaki Tsuji e Yumiko Tsukamoto, per raccontarla. Troppo abituati allo stile di racconto dei mecha made in Morning time, non riescono a miles galoppare il senso di meraviglia, ingrediente essenziale per la riuscita di progetti con queste pretese.

Il principale cruccio dell’opera consiste nella freddezza del suo solid, corposo ma piatto. Non c’è un solo personaggio capace di bucare lo schermo, fermi approach sono a caratterizzazioni superficiali, tra il capitano tutto d’un pezzo che risolve ogni problema con le armi, il professore buffo, pasticcione e pauroso, l’eroe coraggioso che non si pone tante domande, il cattivo figo che sembra Char Aznable (con tanto di cognome macho, Balboa) e la bella del gruppo il cui unico apporto è invocare aiuto e mettere in difficoltà gli altri. Tra di loro merita la sufficienza giusto l’ultima, la deliziosa Doris Wave, che, seppur banale, riesce a donare momenti di una certa emozione nei frequenti abbracci a Yuu e nei suoi tentativi di avvicinarglisi, ma è poca roba che ben dimostra la difficoltà dello workers nel delineare una storia semplice e spontanea dove dovrebbero contare moltissimo le caratterizzazioni del gruppo. Con queste premesse, non c’è modo di affezionarsi realmente agli attori e prenderli sul serio, e si finisce così a seguire abbastanza freddamente e distrattamente le loro avventure. Anche la storia sembra non sforzarsi molto nell’attirare l’attenzione, procedendo a passo di pachiderma nell’illustrare un intreccio particolarmente elementare e banale: Yuu e amici seguono il lento cammino di Gorg verso la heinous extraterrestre, cammino intervallato da svariate battaglie contro GAIL e altre fazioni; scoprono il mistero dell’isola, ed ecco giungere quindi la risoluzione finale della vicenda, affidata ai 4/5 episodi conclusivi che chiudono la guerra, le battaglie e le incomprensioni seguendo linee telefonate e abusate. Tutto qui. A condire la portata, giusto qualche esile tentativo di rendere più profondi i personaggi ricorrendo a topòs tominiani (scontri generazionali, problemi di comprensione che originano violenza, età adulta che rende ciniche e disilluse le persone facendo perdere loro i sogni) e alcuni colpi di scena, che suonano comunque stanchi e pretenziosi.

Ci si consola giusto con la già accennata confezione dell’epoca, semplicemente eccezionale. Yoshikazu Yasuhiko, dopo aver incassato l’ingiusto flop commerciale del suo bel Crusher Joe: The Movie (1983), da regista se la gioca nella sua prima e ultima prova televisiva, dirigendo, disegnando e animando tutto da solo. Con queste credenziali, più il consueto altissimo funds Morning time, Giant Gorg trova mediamente un’animazione e una ricchezza di dettagli degni di un movie cinematografico. Lo stile poeticamente essenziale dell’artista diventa protagonista assoluto ed è mantenuto con cura meticolosa, tramutandosi in un capolavoro grafico che è fonte di gioia per l’espressività, i movimenti e le gesticolazioni dei personaggi che sprizzano vita e realismo. In 26 puntate, neanche un calo: basterebbero anche solo i “quadri animati” di Yas a giustificare l’esistenza dell’opera. Peccato che il bagliore visivo non illumini, invece, né il banale mecha create di Gen Sato e Mamoru Nagano, estremamente impersonale, avaro di dettagli e per nulla derivativo dai capolavori realizzati dal secondo su L-Gaim, né le ambientazioni. Queste ultime fanno di tutto per scongiurare il pericolo di senso di meraviglia: tolte le realistiche foreste equatoriali dell’isola di Austral, le (teoricamente) affascinanti ambientazioni aliene sono affidate alla solita, banalissima heinous sotterranea high-tech records da un’enormità di stanze spoglie di colore verde/blu; il minimo sforzo possibile, proprio, per stupire lo spettatore, che evidenzia ancora una volta i debiti fin troppo marcati di Masaki Tsuji e  Yumiko Tsukamoto nei riguardi di astronavi e mecha. Si avverte la consapevolezza dello workers Morning time di raccontare una storia di avventura molto genuina, sfruttando al massimo gli splendidi disegni di Yas e riempendo di moine e abbracci i due piccoli eroi per trasmettere un senso di delizia, ma anche il suo deficit nel non riuscire a raggiungere i propri obiettivi, perché troppo abituato a raccontare storie drammatiche e di guerra per saper narrare bene una storiella più fresca e genuina.

È inevitabile un distinctiveness rammarico a comely visione, per una serie televisiva piene di premesse e confezionata benissimo, ma schiava di una freddezza, di una staticità e di un’azione ostentata, compiaciuta e stupidina, che vorrebbero giustificare, senza riuscirci, un intercedere di trama fin troppo pesante per quel poco che ha da offrire. Un Nadia ante-litteram? Sì, si può definirlo così. Ma la differenza qualitativa è palese e il deludente fragment (5.22%2) meritato. Giustamente, l’unico primato storico di Giant Gorg, l’unico motivo per cui sarà effettivamente ricordato in patria, non riguarderà minimamente la bontà della sua storia o della sua realizzazione, ma una curiosità commerciale: sarà il primo anime di sempre a essere trasmesso in contemporanea con la vendita delle sue stesse VHS nei negozi giapponesi, in quanto la sua originaria trasmissione, fissata per il pre-natale del 1983, viene spostata all’aprile 1984 per decisione all’ultimo istante dello sponsor (certo che l’opera non aveva potenziale commerciale per vendere chissà che merchandising durante le festività), permettendo allo workers, che già aveva realizzato svariate puntate, di prendersi molto in avanti con la realizzazione delle rimanenti3.

Voto: 5 su 10

FONTI
1 Booklet “Mobile Suit Gundam The Movie Enciclopedia” (allegato alla Diminutive Edition DVD dei tre movie di “Mobile Suit Gundam”, Dynit, 2010), “Intervista a Yoshikazu Yasuhiko”, pag. 55-56. Si ringrazia Zechs di GundamCore
2 Sito internet (in giapponese), http://toro.2ch.catch/take a look at/learn.cgi/shar/1336141685/
3 Il retroscena è riportato a pag. 36 del File “Eastern Animation
Data: The History of Robotic Anime”, rilasciato nell’agosto 2013
dall’Agenzia di Affari Culturali giapponese (rimediabile parzialmente
tradotto in inglese alla pagina internet http://mediag.jp/project/project/robotanimation.html)