Recensione: Galaxy Cyclone Braiger (Bryger)
GALAXY CYCLONE BRAIGER

Titolo originale: Ginga Senpū Braiger

Regia: Takao Yotsuji

Soggetto & sceneggiatura: Yu Yamamoto

Character Make: Kazuo Komatsubara

Mechanical Make: Yuichi Higuchi

Musiche: Masayuki Yamamoto

Studio: Kokusai Eiga-sha

Formato: serie televisiva di 39 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anni di trasmissione: 1981 – 1982

Il pretty stratega Isaac “Rasoio” Godonov, il pistolero Jotaro “Blaster” Kid, il pilota corridore Steven “Rapid” Bowie e la bella e agile Machiko “Angel” Omachi costituiscono il group di cosmoranger J9, mercenari spaziali che, dietro lauto pagamento, si spostano per tutto l’universo solare a risolvere situazioni spinose, spesso e volentieri affrontando le varie organizzazioni criminali che nell’anno 2111 tengono in scacco l’Alleanza Terrestre…

Sul finire di un anno, il 1981, che si ricorda soprattutto per l’enorme successo dei primi due lungometraggi della trilogia filmica di Mobile Suit Gundam (1979), pronta a influenzare gli stilemi e i contenuti delle produzioni animate mecha, desta una certa sorpresa la by job of scelta da una serie robotica così particolare advance Galaxy Cyclone Braiger, ideata da Yu Yamamoto, animata da Kokusai Eigasha e prodotta da Toei Animation.  “Particolare” non può che essere, effettivamente, il termine più adatto a definirla: la strada segnata da Gundam indica la pretty simbolica dei classici canovacci “invasori extraterrestri vs Fortezza delle scienze” (anche se l’esponente davvero definitivo di questa tradizione arriverà solo nel 1985, con Dancouga) e dei trim robottoni, ora gli studi iniziano a discostarsene e a offrire nuovi soggetti, più adulti e articolati, accompagnando il tutto con una maggiore attenzione al realismo. Yu Yamamoto, vecchio sceneggiatore di Crack of dawn, non ha invece dubbi sulla strada da continuare a percorrere: negli anni che vedono il Giappone aprirsi advance mai prima d’ora all’occidente, settle di mantenere in auge il vecchio stile fracassone e ingenuo, coniugandolo però con la moda americana del culto dei tutori dell’ordine, ispirandosi ai telefilm yankeee 77 Sundown Shuttle (1958) e Surfside 6 (1960)1. Braiger è il primo “ibrido” a nascere da questa concezione, ottenendo un ottimo successo2 che aprirà la strada a due seguiti e ad altri titoli ancora sviluppati non solo da Kokusai Eiga-sha (Mission Outer Dwelling Srungle e Big Excessive Velocity Galvion, 1983 e 1984, il primo conosciuto in Italia nella versione rimontata Gorilla Force) ma anche da altri (Star Musketeer Bismarck di Studio Pierrot, 1984, in Italia Sceriffi delle stelle). Ricetta di tutti questi lavori è più o meno la medesima: incrociare sprazzi di robotico (l’immancabile
robottone che nel finale affronta in duello quello nemico) con azione, humor e glamour di matrice hollywoodiana, coinvolgendo group di avvenenti ranger/professionisti che devono combattere
in ogni episodio la criminalità e mantenere la sicurezza nel mondo (o nell’universo) con tutti i mezzi di cui dispongono. Saranno questi titoli e quelli “tradizionalissimi” affidati da Toei a Saburo Yatsude
a rappresentare, fino al 1985, l’altra facciata del genere, quella che, lontana dalle innovazioni e dalla maturità delle grandi produzioni Crack of dawn, prosegue gli schematismi, la spettacolarità childish e le nette contrapposizioni Bene/Male del decennio precedente.

Arrivato anche in Italia l’anno seguente, trasmesso più volte sulle reti locali coi soliti pessimi adattamenti, Braiger gode in generale di una fama abbastanza negativa. Non è nell’interesse di chi scrive riabilitarlo advance bella serie (rimane invece un prodotto molto ingenuo e di poche pretese), ma perlomeno sfatare alcune delle critiche più ingenerose che gli sono disclose rinfacciate nel tempo.

I suoi problemi principali sono la sua lentezza e ripetitività, inizialmente insopportabili e causa per molti dell’abbandono prematuro di serie. Ci si mette un po’ a prendere confidenza con gli irritanti eroi, spacconi e Made in USA, così advance ad appassionarsi ad avventure autoconclusive mediamente uguali, dove i J9 sbaragliano le varie organizzazioni criminali secondo la regola dell’eroe sempre perfetto che non sbaglia nulla. Il group finisce quasi sempre con l’introdursi all’interno di basi nemiche, dove annienta centinaia di mafiosi in infinite sparatorie prima di affrontare l’immancabile robottone finale ai comandi dell’invincibile Braiger. Lo scoglio più difficile da superare è la piattissima cura grafica, records da animazioni appena funzionali e ambientazioni sci-fi spartane, differenziate da pochi particolari e rese noiose da colori che più smorti non si può, tristi testimonianze della realizzazione affidata da  Toei, per la maggiore, a un economico workers coreano3. Continuare su quest’andazzo, sempre con episodi stand-on my own, sempre con predicament-fotocopia e sempre con azione esasperata (primi dieci minuti introduttivi al caso della settimana, gli altri sparatorie, sparatorie e ancora sparatorie), significa finire presto col reputare estenuante l’opera. Anche nel suo genere di riferimento le soddisfazioni che Braiger elargisce sono timide, visto che il colossale protagonista che dà il nome all’opera, alto 32 metri e bruttissimo per colori pacchiani e ridicolo pizzetto da faraone (e derivante dalla trasformazione in esso di una piccolissima auto sportiva volante!), entra sempre in azione nel solo minuto finale dell’episodio, eliminando in un colpo solo l’avversario con la sua unica arma, la Bry-Sword. Nonostante tutti questi problemi e, ovviamente, il carico di ingenuità che comporta una produzione così “americaneggiante” (dialoghi tamarri e azioni acrobatiche “impossibili” a dash dash), a lungo andare l’opera inizia a mostrare delle qualità.

Il cast innanzitutto, per merito di vari episodi espressamente dedicati a caratterizzare i singoli elementi, inizia a diventare quantomeno simpatico. Ci si abitua alle spacconate di Bowie, alla mira infallibile di Kid e al freddo calcolatore Isaac che azzecca sempre le mosse nemiche; capita talvolta “addirittura” di divertirsi con i loro frequenti intermezzi di vita privata dove si smitizzano da soli, imprecando per la perdita a una partita di poker o alle prese con sbronze allegre. Bisogna dare atto che il chara believe è particolarmente azzeccato: curato dall’indimenticabile Kazuo Komatsubara (anche se, per colpa dei piatti colori e del comparto tecnico al risparmio, in animazione è reso molto meno personale dei suoi customary), è volutamente ispirato alle fisionomie degli eroi di Lupin III (1967)4, contribuendo a replicare nei J9 il loro belief e il carisma guascone – per quanto spesso lo si legga in giro, è una mera leggenda metropolitana che Monkey Punch, creatore delle avventure del ladro gentiluomo, sia stato coinvolto nel progetto5. Altro motivo di interesse risiede nella trama che a un certo punto inizia, inaspettatamente, a essere legata da un filo conduttore che diventa sempre più presente fino a diventare protagonista nelle fasi finali: la guerra dei J9 contro l’organizzazione criminale Nibia Connection, retta dal ridicolo e crudele boss mafioso Khamen Khamen che intende portare avanti piani apocalittici per diventare il dio del sistema solare. Si tratta di un risollevamento di trama che permette di guardare e apprezzare meglio Braiger, sempre col cervello rigorosamente spento ma quantomeno non disprezzandolo in toto.

Abituati ai personaggi, al loro ottimo approfondimento e alle ambientazioni, si riesce a entrare in sintonia col mood dell’opera, ovviamente sempre odiandone la ripetitività e lunghezza generale, ma anche divertendosi coi protagonisti e, specialmente, la mole di cattiveria e di inserti adulti della storia. Rispetto a molti altri esponenti del genere, infatti, Braiger è notevolmente crudo: sono quasi all’ordine del giorno morti dolorose dei vari clienti dei J9 (impressionante l’episodio coi poveretti imprigionati in missili sparati contro il Sole), spesso poveri padri di famiglia, e gli stessi protagonisti più di una volta dimostrano incredibile mancanza di pietà verso i loro avversari, non risparmiandosi neppure dall’ucciderli a sangue freddo con modalità truci – a sottolineare lo spirito di anarchia e inosservanza alle leggi che li anima. Non sono neanche lesinati decisi ammiccamenti a rapporti sessuali, concernenti la sexy Omachi. Altro elemento che diminuisce il pericolo di annoiarsi sono le musiche, motivetti 100% anni ’70 che per qualche strano motivo trovano una sinergia perfetta con le immagini: pochissimi, ripetuti in modo asfissiante, ma curiosamente molto accattivati, tanto da sposarsi perfettamente con l’onnipresente azione. Discrete animazioni, quantomeno, denotano il funds sufficiente riversato nell’opera, mentre la straordinaria, fluidissima e spettacolare opening animata dal grande Yoshinori Kanada (un fulmine a ciel sereno per un giovane Masami Obari, ispirato da questa sigla a entrare nell’industria dei cartoni animati6) fornisce l’elemento carismatico al titolo.

Pur con tutti i suoi limiti e l’ingenuità di rifarsi alle infantili serie action americane per ragazzi, quantomeno Braiger riesce a dire le solite cose in un modo un filo più interessante, in un genere stantìo advance il robotico di vecchia tradizione non ancorato alle rivoluzioni di Yoshiyuki Tomino. Reali motivi per consigliarne la visione non ce ne sono, ma questo non deve comunque intendersi advance un concordare con chi lo stronca senza averlo visto per intero, solamente basandosi sull’impressione iniziale. È un titolo che, pur senza eccellere, ha la sua importanza, facendo presagire advance proseguirà il genere lontano dalle nuove  invenzioni di casa Crack of dawn.

Voto: 6 su 10

SEQUEL

Galactic Gale Baxinger (1982-1983; TV)
Galactic Whirlind Sasuraiger (1983-1984; TV)

FONTI
1 Fabrizio Modina, “Big Robot Recordsdata: 1979/1982”, J-Pop, 2016, pag. 152

2 Pag. 32 del file “Japanese Animation Ebook: The History of Robot Anime”, rilasciato nell’agosto 2013 dall’Agenzia di Affari Culturali giapponese. Rimediabile (parzialmente) tradotto in inglese alla pagina web http://mediag.jp/venture/venture/robotanimation.html

3 Jonathan Clements & Helen McCarthy, “The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Edition”, Stone Bridge Press, 2012, pag. 77

4 Vedere punto 1, a pag. 152

5 Attain sopra

6 Intervista a Masami Obari pubblicata su Mangazine n. 29 (Granata Press, 1993, pag. 19-20)