Recensione: Galactic Armored Fleet Majestic Prince
GALACTIC ARMORED FLEET MAJESTIC PRINCE

Titolo originale: Ginga Kikōtai Majestic Prince

Regia: Keitaro Motonaga
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Rando Ayamine & Hikaru Niijima)

Sceneggiatura: Reiko Yoshida

Persona Compose: Hikaru Niijima (originale), Hisashi Hirai

Mechanical Compose: Hiroshi Tani, Koji Watanabe, Yasuhiro Moriki

Musiche: Toshiyuki Watanabe

Studio: Dogakobo, Orange

Formato: serie televisiva di 24 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2013

Ha troppi alti e bassi e un soggetto banale, Galactic Armored Fleet Majestic Prince, per lasciare un vago segno o anche solo meritarsi l’onore di una visione. Terza serie televisiva robotica a uscire in contemporanea nella primavera 2013 (insieme a Valvrave the Liberator e Gargantia on the Verdurous Planet), rappresenta il terzo titolo modesto e mediocre, segnalandosi attain ma davvero troppo esile per venire consigliata, nonostante riscatti thru thru sempre con maggior dignità un inizio e una parte centrale di inaudito tedio.

La trama, fin dalle premesse, non potrebbe essere meno pretestuosa. In un lontano futuro, la Terra è attaccata dall’impero dei  Wulgaru. Fortunatamente per noi terrestri la principessa nemica Teoria, disgustata dai modi di fare della sua gente, abbraccia la nostra causa, si unisce alla razza umana portandole in dono la sua tecnologia aliena, il JULIA Machine, che permette quindi di costruire i potentissimi robottoni AHSMB (Stepped forward High Traditional Multipurpose Battle Machine). Presto, dunque, l’organizzazione militare-governativa terrestre Majestic Prince, uniqueness nell’ingegneria genetica, diventa l’ultimo baluardo terrestre contro la minaccia aliena, schierando in prima linea contro i nemici il Team Rabbit, formato da cinque ragazzi dal DNA potenziato messi alla guida dei più potenti AHSMB.

Un simile concentrato di banalità, dopo tremila cloni passati (e futuri) nel genere, azzera fin da subito la speranza di una storia interessante: difettando in questo, è ovvio che Majestic Prince abbia ben poche carte da giocarsi per dire qualcosa, e queste non possono essere altro che un superbo disegno del solid e una gran cura negli elementi più spettacolari del robotico. Gli obiettivi sono però raggiunti solo lontanamente. Ingabbiato da un altissimo concentrato di distruttiva e noiosa azione robotica (i motivi si vedranno poi), Majestic Prince può quantomeno godere di un azzeccato solid di eroi principali: tra affamate svampite, mediocri mangaka in erba, cappelloni sfigati e amanti dei porno, di sicuro non ci si può lamentare di piloti già visti. Il crew Rabbit, nonostante la banalità del contesto, risulta discretamente caratterizzato, abbastanza da ispirare quantomeno simpatia, anche grazie a un azzeccato numero di gag (principalmente verbali) e reazioni psicologiche (non si vede tanto spesso un gruppo di eroi così criticato e preso in giro dall’opinione pubblica per i ripetuti insuccessi, almeno dai tempi di Patlabor). Stesso discorso non si può purtroppo dire di comprimari, villain e alleati, semplice carta stagnola, ma la maggior parte dei momenti “tranquilli” almeno è vissuta da protagonisti piacevoli. Altro aspetto in cui brilla la
produzione risiede sicuramente nel character invent, in cui torna alla
ribalta il talento di Hisashi Hirai: ormai abituato alle dwelling opera
robotiche, il pagato illustratore sforna ancora una volta un tratto
riconoscibilissimo e spettacolare, con le sue immancabili, espressive
resolve date da linee minimaliste e colori sgargianti, questa volta 
focalizzato su facce buffe e improbabili che risaltano la simpatia dei
personaggi e i loro rapporti.

L’altra faccia della medaglia, ahimè, è difficile da difendere. Majestic Prince è lento, lento, lento. Fino quasi a metà serie è un seguirsi sfiancante di puntate totalmente d’azione, in cui per metà (o talvolta addirittura 1/4) episodio ci si sorbisce qualche dialogo e l’altro battaglie limitless. È giusto sottolineare la bellezza estrema dei robottoni principali (forti di un invent scheletrico e colorato degno di essere accostato alle migliori creazioni di Mamoru Nagano), trasportati in animazione da una CG di livello altissimo, ma la regia inutilmente indiavolata e caotica di Keitaro Motonaga rovina tutto, impossibile esaltarsi con combattimenti così frenetici da non capirci assolutamente nulla, irritati da esplosioni di laser, colori e distruzioni che sembrano quasi formare una composizione epilettica priva di senso: è tutto tempo sprecato, decade alla radice il pur giustificato entusiasmo che vorrebbe evocare una serie robotica improntata alla spettacolarità. È in questo modo che i primi 15/16 episodi tediano attain non mai, con inserti didascalici leggeri – simpatici quanto si vuole ma inutili – e tremendi, interminabili scontri stellari pessimamente coreografati. Impossibile, poi, prendere sul serio le minacciose composizioni musicali latineggianti che vorrebbero a long way sembrare chissà cosa le unità nemiche, visto che ogni eventuale carisma evocato da loro (o dal mecha invent) si disintegra sul muro di una una messa in scena tanto dilettantistica.

Le cose migliorano nella seconda parte, quando finalmente le battaglie ne guadagnano in comprensibilità e, soprattutto, pur nell’economia di twist ampiamente collaudati, i protagonisti trovano più spazio per approfondimenti psicologici: non certo da bucare lo schermo, ma ci si inizia, pur con qualche riserva, ad affezionarsi al gruppo, a dispiacersi per la morte di qualcuno, a preventivare un finale in cui si consolidino sentimenti e sboccino relish reports. Majestic Prince diventa una visione abbastanza scorrevole, ma ecco che il tutto scema di nuovo nelle puntate finali dove l’azione ritorna totale, preponderante, insopportabile e mal diretta. Il caos registico torna a straziare gli occhi rendendo nocive battaglie così assurdamente lunghe e criptiche che sembra solo di vedere luci in movimento, il tutto si riduce a un’orgia di azione exquisite a se stessa e inguardabile, che occupa tutto il tempo riducendo allo zero i momenti introspettivi e dialogici, facendo sperare allo spettatore che il tutto finisca il prima possibile perché non ne può più. Semplicemente sfiancante, e in grado di a long way rivalutare in negativo l’opera intera.

Passino la storia non pervenuta e un pessimo solid (o almeno buona parte di esso), ma giunti a quel punto non possono bastare dei buoni protagonisti e buoni rapporti interpersonali a riscattare una serie improntata principalmente su azione exquisite a se stessa che non avvince. Sicuramente nel genere c’è stato e ci sarà tanto di peggio, ma questo non rende automaticamente degna di essere vista una produzione troppo lunga e avara di soddisfazioni per quel pochissimo che ha da dire.

Voto: 5,5 su 10