Recensione: Fuse – Memoirs of the Hunter Girl
FUSE: MEMOIRS OF THE HUNTER GIRL
Titolo originale: Fuse Teppō Musume no Torimonochō
Regia: Masayuki Miyaji
Soggetto: (basato sul romanzo di Kazuki Sakuraba)
 Sceneggiatura: Ichirou Ohkouchi
Character Obtain: Seiichi Hashimoto
Musiche: Michiru Oshima
Studio: Tokyo Film Shinsha
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 110 min. circa)
Anno di uscita: 2012

Pare strana furbata di marketing, l’uscita
ravvicinata, nel 2012, di due titoli destinati al cinema aventi per protagonista il
folklore legato alla figura del lupo, ma se Wolf Children: Ame e Yuki i bambini di Mamoru Hosoda ha chiaramente
risonanza internazionale e ambisce a critiche di spessore e grande pubblico, Fuse – Memoirs of the Hunter Girl di
Masayuki Miyaji deve accontentarsi di ben altra accoglienza, e
non tanto per questioni di qualità, ma semplicemente per mire molto più
ridimensionate nonostante una manciata di nomi interessanti a scriverlo, dirigerlo
e musicarlo.

L’instancabile Ichiro Okouchi ha un bel
peso sulla coscienza con titoli discutibili o controversi quali Valvrave the Liberator (2013) e Code Geass: Lelouch of the Rise up
(2006),  ma dalla sua penna sono pur sempre usciti gli indimenticabili
∀ Gundam Known as Flip “A” Gundam (1999) e Overman King Gainer (2002),
e tra un Berserk filmico e l’altro trova il tempo di prendere spunto da una
novella di Kazuki Sakuraba e di costruire questa storia di stampo classico ma
meravigliosamente gestita con un gusto per l’avventura che non vedevo davvero
da tanto tempo. C’è passione e sentimento nel delineare un canovaccio che segue
percorsi già conosciuti, siamo pur sempre in una sorta di contesto delusion
intrappolato da paletti concettuali ben precisi, e bastano pochissimi
accorgimenti per entrare in sintonia con personaggi altrettanto classici ma di
una carisma che trafora lo schermo: dalla spontaneità femminile di Hamaji al
fascino misterioso di Shino, dall’esuberanza sbruffona di Dousetsu (doppiato
non a caso da Katsuyuki Konishi, voce di Kamina in Gurren Lagann, 2007) all’espressività
dei tanti personaggi di contorno, tutti sono dotati di spicchi di personalità
da renderli vivi e inseriti in un contesto altrettanto vivo in pochi istanti.


Va da
sé che ogni cliché sapientemente rispettato (la mascolinità di Hamaji, l’incontro
casuale tra lei e Shino, la storia d’amore che ne nasce) trasuda di pienezza
narrativa per la ricerca di un dettaglio di certo non maniacale ma che mostra
comunque una cura, un’attenzione e una sensibilità che solo certi grandi nomi
sanno gestire senza sconfinare nella normale banalità: raccontare di una
ragazza che fa la cacciatrice di lupi e chi si invaghisce di un “fuse”, una
creatura metà uomo e metà animale che divora le anime delle persone, non è di
certo semplice files l’attuale condizione simbolica di certe figure e certi temi
(basti pensare alla trasformazione subita dal vampiro con
Twilight e
cloni vari), ma la fermezza caratteriale di Hamaji, la progressiva conoscenza
della verità su Shino, la deliziosa, praticamente invisibile crescita
sentimentale tra i due e soprattutto la coloratissima, a tratti magistrale
sarabanda di personaggi che circondano cacciatrice e preda sono momenti di
grande cinema, ampio, potente, sicuro, divertente, variegato, originale (l’ingresso nel quartiere per adulti
della capitale, i vicini di casa di Dousetsu), il tutto intessuto con dialoghi
eccellenti e alcune inaspettate tentazioni meta (le sequenze dello spettacolo
teatrale, trattate tra l’altro nella stessa maniera, ma con meno profondità, rispetto a
Intrigue within the Bakumatsu – Irohanihoheto, 2006).

Situato
in un background storico (l’epoca Edo) che si lascia piacevolmente andare a interferenza di
tutti i tipi, dal delusion all’alarm, non disdegnando addirittura lo splatter, Fuse
rimane comunque ancorato a una narrazione d’avventura sgargiante ed energetica,
che Masayuki Miyaji (già regista del bellissimo e sottovalutato Xam’d: Lost Memories del 2008, qui alla sua seconda prova) dirige con una sicurezza e una compattezza
che gli permettono anche un certo tocco d’autore nell’uso aggressivo e
totalizzante dei colori (le inquadrature che si aprono sulla capitale e sul
paesaggio, le baraonde di personaggi e vestiti) e una pienezza espressiva a
tratti incredibile (lo sguardo del primo lupo ucciso, da solo vale la visione
del movie). 

Come cornice
di questa splendida, splendida storia, le sinfonie di Michiru Oshima donano
quella profondità solenne e a qua e là pazzerella (il tango) senza snaturare o privare l’opera della sua dolce e
pacata immediatezza, mentre le animazioni di Tokyo Film Shinsa, seppur ben
distanti dai traguardi raggiunti da certi movie cinematografici, svolgono
ottimamente il loro dovere con fluidità e scorrevolezza.

Bella
sorpresa e rarissimo esempio di vera qualità, quella più difficile da
esprimere nel raccontare una storia semplice ma con enorme professionalità,
squisito sentimento e impressionante gestione dei mezzi.
Voto: 8 su 10