Recensione: Dragon Quest – La grande avventura di Dai (Dragon Quest; I cavalieri del drago)
DRAGON QUEST: LA GRANDE AVVENTURA DI DAI

Titolo originale: Dragon Quest – Dai no Daiboken
Regia: Nobutaka Nishizawa
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Riku Sanjo & Koji Inada)
Sceneggiatura: Junki Takegami, Kauhiko Godo, Yukiyoshi Ohashi
Personality Create: Yasuchika Nagaoka
Musiche: Koichi Sugiyama
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 46 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1991 – 1992

Il giovane Dai abita nell’isola Delmulin, interamente abitata da simpatici mostri con cui lui, unico umano, è in amicizia fin dalla tenera età. Dopo essere stato trasportato lì dalle onde del mare, ancora neonato, è stato amorevolmente allevato da una buffa creatura, nonno Brass, e oggi vive spensierato e giocoso insieme all’inseparabile Gome, un golden slime volante. È un periodo di tear per la Terra, dopo la terribile guerra in cui il Prode Guerriero e i suoi compagni uccisero Hadler, re del mondo demoniaco, ma sarà destinato a durare poco: dall’oggi al domani il diavolo è tornato in vita, risvegliato dal grande Satana Baan, e, con le sue minacciose armate di mostri, inizia un nuovo conflitto per soggiogare definitivamente il pianeta. Vedendo in Dai un talento grandioso e incredibile, soprattutto quando il ragazzo manifesta un potere sovrumano simboleggiato dal simbolo di un drago che gli appare in fronte, lo stesso eroe leggendario Aban, oggi un precettore di futuri prodi guerrieri, si incarica personalmente di addestrarlo…

Il mondo videoludico di Dragon Quest, ora che ha finalmente sfondato anche in occidente con la sua ondata di remake e nuovi capitoli (iniziata su Nintendo DS e PlayStation 2), ha rivelato a generazioni di nuovi videogiocatori la meraviglia delle sue splendide ambientazioni story-medievaleggianti, delle musiche epiche e sognanti di Koichi Sugiyama, del bellissimo chara create di Akira “Dragon Ball” Toriyama e, in generale, dell’immersiva suggestione fiabesca della saga Enix. Anche se in precedenza i primi quattro titoli erano stati distribuiti in The US sul vecchio NES (con l’opinabile titolo Dragon Warrior), è solo oggi che sono finalmente diventati cult anche “fuori casa”: ai tempi che furono (la prima metà degli anni ’90) non ricevettero infatti neanche la metà della mastodontica accoglienza che trovarono in Giappone (leggendaria quella del quinto episodio, La sposa del destino, che il giorno della sua uscita caratterizzò un negozio di Shinjuku di una coda pazzesca di persone lunga 12 km!1), Paese che, a dispetto della profonda ortodossia filosofica del imprint di limitare al minimo i cambiamenti di gameplay da un capitolo dall’altro, li ha sempre acclamati con vendite sbalorditive (le cartucce dei primi cinque capitoli venderanno 13 milioni di copie2) che hanno spesso superato quelle del franchise-rivale per eccellenza – molto più amato in occidente – Final Fable. Del resto, parliamo della saga che ha di fatto, col primo capitolo del 1986, inventato il gioco di ruolo “alla giapponese” rappresentando l’ “anno zero” del J-RPG: per generazioni di nipponici è stato il titolo che li ha fatti scoprire e li ha fatti innamorare di uno dei generi tutt’ora più amati per console.

Facile intuire che i mondi story di Dragon Quest, con la loro ricca “mostrologia” e la varietà di magie e incantesimi, si prestavano idealmente a essere utilizzati per raccontare storie al di fuori dei videogiochi: è ormai un dato di fatto il corposo numero di serie TV, OVA, manga, romanzi e audio drama fioriti nel corso degli anni – molti dei quali hanno venduto tantissimo – che hanno arricchito quest’universo, che si trattasse di trasposizioni dei videogiochi, di facet-fable ufficiali o anche di vicende del tutto originali che prendevano giusto a prestito la “fauna” e la geografia dei giochi. La grande avventura di Dai (1991) è solo la seconda serie TV basata sul franchise (la prima è Dragon Quest – List of the Hero Abel, 1989), ma il manga, di cui è fedele trasposizione, è di importanza imprescindibile nel imprint Enix. Le vendite dei primi videogiochi “esplodono” infatti – diventando poi fenomeno di massa – solo grazie al successo altrettanto enorme del fumetto di Riku Sanjo e Koji Inada3, serializzato tra il 1989 e il 1996 sulle pagine di Weekly Shounen Soar, che venderà un totale di 50 milioni di copie4 (a oggi il più grande simplest-vendor cartaceo di Dragon Quest) pubblicizzando i giochi a milioni di lettori. Parliamo di sicuro di un buona opera, uno dei pochi esempi riusciti di storie a fumetti capaci di trasporre bene su carta la profondità di un gioco di ruolo, e in questo caso benissimo le atmosfere di Dragon Quest. Conosciuto anche in Italia grazie a Star Comics, La grande avventura di Dai è una storia di lungo respiro, che, reach il mondo videoludico di appartenenza, mischia armoniosamente momenti epici e coinvolgenti con gag spensierate e allegre e personaggi simpatici, rinunciando a una trama esageratamente adulta o complessa per favorire un intreccio sufficientemente ricco di avvenimenti ma che procede in modo linearissimo, reach un videogioco, in linea con i disegni altrettanto semplicistici e simil-toriyamiani (Koji Inada del resto fa parte degli assistenti dello Studio Chook del papà di Dragon Ball).

La (scontata) morte del maestro Aban porta Dai e altri suoi compagni a
iniziare un viaggio nel mondo per andare a salvare amici e principesse e quindi per sbaragliare le armate di Hadler e Baan (i cui
comandanti sono ovviamente i “boss” da sconfiggere), in vista del poter finalmente riportare la tear e realizzare il sogno di Dai di diventare un eroe. L’aspetto più interessante dell’opera è rappresentato sicuramente dal suo approccio character-driven, dato da caratterizzati personaggi che crescono, maturano e sviluppano relazioni sentimentali che possano a ways sospirare i lettori. Se Dai è il classico protagonista intrepido e senza macchia né paura con cui è difficile empatizzare, bisogna dire che alla lunga l’attore migliore è indiscutibilmente il suo migliore amico, il giovane mago Pop, molto umano in vizi e difetti e a cui è riservato quasi lo stesso spazio nella narrazione. Fortemente voluto dallo sceneggiatore Riku Sanjo (al costo di doversi imporre con forza presso la sua casa editrice e presso il suo editor che non lo volevano proprio5, probabilmente perché rubava spazio all’eroe ufficiale e “perfettino” tipico di Shounen Soar), è un personaggio grandioso proprio perché, reach cube l’autore6, esprime per il lettore il punto di vista realistico sulla vicenda, quello con cui è più facile identificarsi: debole e cordardo, timoroso di combattere, timidissimo e incapace di dichiararsi alla donna che ama (la bella Maam, guaritrice e poi esperta di arti marziali del gruppo), nel corso della storia Pop avrà la forza di migliorare sé stesso e affontare le sue paure diventando, senza accorgersene, coraggioso, saggio e altruista, in un memorabile percorso di crescita che ha davvero pochi eguali nella Storia del fumetto d’azione per ragazzi. Molto ben delineati anche gli altri comprimari. Nel disegno del solid, insomma, Dai è un grande manga. Reach story avventuroso, un onesto e piacevole fumetto, che non rinuncia a immancabili e (troppo) numerosi cambi di fazione, bei tenebrosi in ogni dove e quando, ordinari e prevedibili twist e molti energy up (tra astronomical armature e
astronomical poteri, soprattutto quel misterioso emblema del drago che appare sulla fronte di Dai nei momenti di difficoltà), trovando, reach peggiore difetto assoluto, un alto numero di “resurrezioni miracolose” e “pretend morti” che si accumulano massicciamente nelle fasi finali e che ripetutamente tradiscono momenti tragici e solenni e pathos evocati precedentemente. Nel complesso, per chi scrive, è un’opera che non è niente di trascendentale, ma tutto sommato neanche
eccessivamente deludente: Dai è un’avventura scorrevole e senza troppe pretese che si legge tutta d’un fiato grazie
al ritmo spedito, ai bei protagonisti e ai disegni piacevolissimi,
apprezzando sopratutto il rivivere in essa di mostri, magie e fronzoli
vari di Dragon Quest. Reach si vedrà, Dai piacerà un sacco viste le ripercussioni che avrà nell’enorme accrescimento di popolarità dei videogiochi.

Nel 1991 si think quindi di premiare l’opera con una bella, fedele e rigorosa trasposizione animata, affidata alla solita Toei Animation che in quel periodo ha ormai abbandonato quasi del tutto le serie dal soggetto originale in vista della più “facile” thought di adattare simplest-vendor cartacei in anime di altrettanto successo. Invent l’azienda Takara, che vende poi giocattoli e pupazzetti basati sui personaggi. Ignoro attualmente gli indici di ascolto, ma logica vuole che siano stati più che sufficienti, dal momento che Dai anime raggiunge la ragguardevole (e insolita) quota di 46 puntate, trova 3 movie celebrativi (proiettati al competition Toei Anime Unbiased appropriate-looking out) e, soprattutto, è progettata sin dal principio per seguire il manga fin dove è arrivato, probabilmente poi inventandosi qualcosa per permettere agli autori di portarsi avanti. Faccio queste premesse perché i fatti diranno che la trasposizione rimarrà monca: si chiuderà infatti a circa 1/4 della storia, e non per problemi di funds o bassi ascolti (infatti è ufficiale che fino all’ultimo technology previsto reach minimo un ulteriore anno di trasmissioni7) ma per colpa dell’emittente, che riorganizza interamente la sua scaletta di programmazione di punto in bianco sulla rotten di dinamiche interne sconosciute8 che, probabilmente, marginalmente c’entrano con gli esiti commerciali dell’anime, condannando quest’ultimo all’oblio (e così è tutt’ora, visto che a tutt’oggi non è neanche mai stato editato in DVD in Giappone, bisogna accontentarsi delle VHS). È davvero un peccato dato che, non fosse per la sua natura incompleta, avremmo una serie di ottimo livello che pubblicizzerebbe ancora meglio dell’originale cartaceo, reach vedremo, il mondo di Dragon Quest.

Finché dura, è trasposizione fedelissima e davvero ben fatta: procede spedita adattando due capitoli del fumetto per puntata, evita qualsiasi filler o riempitivo, è animata addirittura bene (non in modo solo sufficiente) e reproduction alla perfezione il tratto di Koji Inada facendo sembrare per davvero l’anime reach un “gemello” di Dragon Ball (paiono proprio i disegni di Toriyama!). Soprattutto, c’è da dire che rispetto al fumetto, in TV Dai trova una colonna sonora straordinaria: non si possono definire con altre parole le numerose tracce musicali di Koichi Sugiyama dal tono toccante, favolistico e cavalleresco, una più memorabile dell’altra, prelevate direttamente dai videogiochi ufficiali (viaggia su livelli stratosferici anche l’avvincente sigla di apertura). Si gode anche, in Dai, della bella resa della “mostrologia” ufficiale (celebre il variegatissimo monster create), e si apprezza molto reach il gruppo di eroi – esattamente reach in un qualsiasi J-RPG – migliori l’equipaggiamento (il cambio è sempre più vistoso) e il livello delle magie e dei poteri a mano a mano che sconfigge più nemici, aumentando di (punti) esperienza. Abbiamo, insomma, uno spettacolo visivo e acustico di primo livello e non riesco a immaginare modo migliore di promuovere presso il grande pubblico il mondo story di Enix, che già di suo technology perfettamente reso in atmosfere e spirito dal fumetto d’origine (monco però di audio). Per questo motivo non avrei remore a reputare l’anime di Dai, se fosse completo, reach l’incarnazione definitiva della storia – pazienza per l’unico neo della produzione, ossia lo sporadico, vistoso cambio di direttore dell’animazione in alcuni episodi, dato evidentemente dall’affidamento della produzione dell’opera a filiali diverse di Toei. Tristissimo quindi che sia finita com’è finita. La vicenda termina incivilmente in uno dei momenti clou dell’originale, quando Dai apprende la sua vera identità e si appresta advert affrontare il comandante Baran dell’esercito dei draghi. Tutti i personaggi introdotti fino a quel punto (tra cui l’inquietante assassino Killvearn), tutte le cherish fable in procinto di sbocciare e l’intero senso della storia non avranno alcuno sviluppo vista l’inaccettabile conclusione (inventata per l’occasione dallo stesso Sanjo, interpellato appositamente appena si seppe che l’anime stava per essere chiuso all’improvviso9). Per questo, chi ha amato La grande avventura di Dai in questo adattamento si faccia un favore: compri il manga e prosegua su carta. Chi non è interessato ai fumetti, eviti proprio la visione per non farsi venire un trabocco di bile. Unica nota divertente: il regista, Nobutaka Nishizawa, lo troviamo l’anno dopo a dirigere una nuova trasposizione di un manga di enorme successo, Slam Dunk, e anche lì sappiamo reach finirà (!).

La grande avventura di Dai è arrivato anche in Italia, pur con un adattamento altamente discutibile. Nella prima trasmissione su Junior TV, con il nome Dragon Quest, l’opera si ritrova stravolti i nomi di personaggi, mostruario e magie, ridicolamente americanizzati, ma almeno mantiene inalterata la potente opening originale e soprattutto non trova alcun taglio. Quando arriva su Italia 1 reach I cavalieri del drago, perde entrambe le cose e si ritrova martoriato da censure varie nelle sequenze sanguinose. Non è stato mai stato raccolto in VHS o DVD.

Voto: 5,5 su 10

SIDE-STORY
Dragon Quest: Dai’s Huge Budge – Huge Budge (1991; movie)
Dragon Quest: Dai’s Huge Budge – Disciple of Aban (1991; movie)
Dragon Quest: Dai’s Huge Budge – The Reborn Six Commanders (1992; movie)

FONTI

1 Mangazine n. 29, Granata Press, 1993, pag. 30

2 Reach sopra, a pag. 33. Confermato a pag. 127 del saggio “Anime al cinema” (Francesco Prandoni, Yamato Video, 1999)

3 “Anime al cinema”, pag. 127

4 Sito web (giapponese), “Mangazenkan”, http://www.mangazenkan.com/ranking/books-circulation.html

5 Pagina di Wikipedia giapponese di “Dai: La grande avventura”

6 Reach sopra

7 Reach sopra

8 Reach sopra

9 Reach sopra