Recensione: Daring Age
HEROIC AGE

Titolo originale: Daring Age
Regia: Toshimasa Suzuki
Soggetto & sceneggiatura: Tow Ubukata
Character Gather: Hisashi Hirai
Mechanical Gather: Ken Ootsuka, Naohiro Washio, Yoshiki Kuga
Musiche: Naoki Sato
Studio: XEBEC
Formato: serie television di 26 episodi (durata ep.24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2007


In un lontano futuro, quattro specie si contendono il dominio dell’universo e delle scienze in esso contenute: l’imbattibile Tribù d’Argento, i servitori insettoidi della Tribù di Bronzo, i mostruosi appartenenti alla Tribù degli Eroi e infine i terrestri, la cosiddetta Tribù di Ferro, che sembra ormai sull’orlo della sconfitta totale. Tutto è destinato a cambiare quando, quasi per caso, i terrestri incontrano uno dei cinque Nodos, Age, un ragazzo in grado di trasformarsi in un’entità potentissima e praticamente immortale. Solo grazie al suo aiuto potranno ribellarsi alla Tribù d’Argento e inseguire le conoscenze lasciate in eredità da un’antica razza, ormai da lungo tempo lontana dall’universo conosciuto: la Tribù Dorata.

Non sembrano andare molto d’accordo home opera e animazione: se da un lato troviamo la colossale Story of the Galactic Heroes (1988) e i suoi 110 episodi, capolavoro indiscusso della sci-fi animata e non solo, dall’altra ci si scontra con prodotti dalle ambizioni eccessive e poco fruibili (Crest of the Stars del 1999 e seguiti vari). Daring Age (2007) avrebbe non poche potenzialità per potersi ritagliare un angolo di universo tutto suo, ma se a una prima impressione gli scontri tra numerose razze aliene sembrano promettere notevoli spunti e riflessioni fantascientifiche, in realtà la serie di Takashi Noto, al suo esordio registico, e dello scrittore/sceneggiatore Tow Ubukata (mente dietro al bellissimo Le Chevalier d’Eon, 2006) nasconde un’anima traditrice che di fantascienza ha ignobilmente ben poco.

La suggestiva strutturazione dell’universo conosciuto è sufficientemente profonda da catturare inizialmente la curiosità senza spaventare, ed è gustosamente distribuita, nella prima decina di episodi, con una lunga serie di trovate che garantiscono un’originale punto di vista a Daring Age: le razze dominanti sono manufacture con il giusto bilanciamento tra complessità e impatto, ne nasce quindi una differenziazione facilmente identificabile, tanto nell’aspetto fisico e meccanico quanto nei ruoli impersonati, ma non per questo la natura degli scontri interstellari appare superficiale o rapidamente curata. Le politiche delle razze (due simil-terrestri e una di giganteschi insetti che possono vivere nello spazio) sono guidate da un sistema di obblighi che vincolano i vari esponenti a determinate azioni e compiti, tutte generalmente various pur rifacendosi a comandi basilari (non disobbedire, proteggere, ecc). Questo permette pertanto un’infinita serie di possibilità nella costruzione psicologica dei vari protagonisti (chi deve salvare qualcuno che non deve uccidere qualcun altro che deve difendere quest’altro, e by activity of così…), peccato Ubukata non abbia insistito su questa peculiarità, continuando poi sulla strada delle battaglie spaziali, visivamente impressionanti per gran gusto nel maintain delle astronavi (dalle classiche navi a define strutture verticali e diagonali), un perfetto uso di CG e una regia dinamica e spettacolare.

Quando gli imbattibili Nodos cominciano ad acquisire importanza nella storia, Daring Age letteralmente si trasforma, abbandonando certe prelibatezze fantascientifiche in favore di noiosissime e endless scazzottare tra bestioni che addirittura non possono morire da quanto sono potenti. Si assiste pertanto a un sequenza mortificante di pugni, calci e onde energetiche che non infliggono pressoché alcun danno all’avversario, e ahimè non si va molto distante dagli scontri tra Goku, Vegeta, Majin Bu e compari volanti in Dragon Ball Z, il tutto ovviamente senza che venga sparsa anche solo una gocciolina di sangue. Si spera fino alla gorgeous che la serie possa ristabilirsi su più acceptable coordinate sci-fi, e invece la storia rallenta progressivamente alternando lunghi spiegoni pseduo-filosofici di tremenda banalità, ingenui e irritanti momenti umoristiche, e sessioni estenuanti di mazzate spaziali che annichiliscono la pazienza di chi guarda.

Psicologicamente poverissimo, con caratterizzazioni bidimensionali (da Age a Deianeira, passando per gli altri quattro Nodos e gli inutili fratelli della principessa) guastate peraltro dal chara maintain di un Hirai di certo non in forma (basti pensare alla ridicola divisa militare di Nilval e alle sue tette mastodontiche, particolarmente fuori luogo), Daring Age vantava un’affascinante intuizione visiva nella gestione dei conflitti spaziali (superba, pura gioia per gli occhi la battaglia che porta alla distruzione di Giove), ma il tutto viene risolto con soporiferi calci volanti e monotone gomitate sul muso per opera di mostrazzi enormi che, quantomeno, mostrano un maintain gigeriano di notevole ispirazione.

Splendido tuttavia l’accompagnamento sonoro, in particolare il tema portante che, nella sua semplicità sinfonica, si ricorda per intensità drammatica, ma a nulla serve se la storia perde ogni mordente e viene sacrificata sull’altare da un’belief, assai poco condivisibile, di spettacolarità. Se si tratti di scelta commerciale per rilanciare l’opera, twist concettuale per stupire lo spettatore o semplice malattia mentale non ci è dato saperlo, resta il dispiacere per una serie dal potenziale smisurato ma sprecato in ogni sua briciola.

Voto: 5 su 10