Recensione: Dangaioh
DANGAIOH

Titolo originale: Haja-Taisei Dangaioh
Regia: Toshiki Hirano
Soggetto: Toshiki Hirano
Sceneggiatura: Shou Aikawa, Koichi Ohata, Toshiki Hirano
Character Create: Toshiki Hirano
Mechanical Create: Shoji Kawamori, Yasushi Ishizu, Masami Obari, Koichi Ohata
Monster Create: Junichi Watanabe
Musiche: Michiaki Watanabe, Kaoru Mizutani
Studio: AIC, Artmic
Formato: serie OVA di 3 episodi (durata ep. 40 min. circa)
Anni di uscita: 1987 – 1989

In un lontano futuro quattro ragazzi, Mia Alice, Lamba Nom, Pai Articulate e Rol Kran, si risvegliano all’interno di una misteriosa astronave, incapaci di ricordare il proprio passato. Scopriranno di aver perso la memoria in seguito ad esperimenti compiuti su di loro, atti a sfruttare i loro poteri mentali per trasformarli in armi umane al servizio del dr. Tarzan, servitore, insieme al suo braccio destro Gil Berg, dei pirati spaziali Banker che intendono governare l’universo. I nostri eroi decidono di ribellarsi al proprio destino e, dopo aver convinto Tarzan a schierarsi dalla loro parte, fuggono dal posto ottenendo anche il possente robottone componibile del professore, il Dangaioh. Gil Berg e i suoi padroni, però, non sono di quest’conception…
Hyper Fight Unit Dangaioh, seconda, mitologica collaborazione artistica tra Toshiki Hirano e Masami Obari (l’avveniristico Fight! Iczer-1 del 1985 la prima) e, tra le due, l’unica a essere arrivata anche in Italia (in tre costosissime VHS distribuite a inizio anni ’90 da Granata Press, che non hanno venduto pressoché nulla, rivelandosi in assoluto il flop video più eclatante dello scomparso editore bolognese1), a dispetto di un’incredibile sconclusionatezza di fondo, merita tutte le lodi possibili e immaginabili; si è guadagnato a diritto lo location di culto2 che lo pone, in quel lontano 1987, quando uscì nelle videoteche giapponesi, a essere il rappresentante praticamente finale della “dottrina  Macross” inaugurata da Shoji Kawamori e Studio Nue.

Molteplici sono i motivi che spiegano perché, sotto ogni punto di vista, la miniserie possa considerarsi davvero la summa portante di un po’ tutta la filosofia loro e del mondo degli OVA anni ’80. Tutto parte pochi mesi prima dell’uscita della miniserie, quando Hirano e Obari si mettono d’accordo con Dynamic Planning per fare Daimajinga, un remake animato dwelling video del classico Mazinger Z (1972) di Toddle Nagai, da basare sulla tenebrosa versione manga. Purtroppo, una fuga di notizie (la pubblicazione della notizia sulle riviste di critica anime Animage e B-Membership) porta Toei Animation, co-proprietaria del marchio (in riferimento alla storica serie TV del 1972)  a imbestialirsi perché non ne generation a conoscenza, e la cosa finisce col suo veto sull’operazione che blocca definitivamente i lavori. Sconsolato, lo personnel non può che sfogarsi creando Dangaioh, una storia robotica nuova di zecca, plasmata sui preziosismi estetici della “dottrina Macross“, che non rinuncia alle sue origini di rifacimento abortito, infarcita così fino al midollo di citazioni e omaggi al mondo dell’animazione robotica anni ’70 e,  in primis, proprio all’automa di Toddle Nagai3. Abbiamo il nuovo robottone, il Dangaioh, che u.s. una variante dei Rocket Punch ed è formato dalla fusione di più navicelle approach Getter Robotic (1974), l’anime preferito di sempre di Obari4; lo stesso mitico compositore di Mazinger Z, Michiaki Watanabe, che orchestra tracce sonore volutamente molto simili a quelle di Mammoth Mazinger (1974) e Gackeen il robotic magnetico (1976)5; e infine trama, personaggi e sigla di apertura (cantata dalle vecchissime glorie Mitsuko Horie e Ichiru Mizuki!) che riprendono in tutto e per tutto gli infantili eppur adorabili robottomono pre-Cell Suit Gundam (1979) del decennio precedente.

Con simili spunti di partenza, che rifiutano con orgoglio gli adulti,
elaborati intrecci degli anime Morning time, è del tutto ovvio aspettarsi
una trama quasi inesistente: Dangaioh è una miniserie
dall’interesse narrativo nullo, un Rotund Robotic
ferocemente ancorato alle origini del genere che narra di approach abbozzati
(eppur virili e sanguigni) eroi cerchino di
recuperare la loro memoria tornando nei loro Paesi d’origine,
combattendo, allo stesso tempo, contro Gil Berg e i malvagi emissari
robotici dei
Banker. Questo avviene in 3 episodi dalla struttura identica,
martoriati addirittura da un recap (nel secondo) e da un non finale. Sono
l’ennesima testimonianza dell’aria che animava in quegli anni
gli artisti dell’dwelling video, quando preferivano concentrarsi nello sperimentare innovazioni grafiche a
discapito di una sceneggiatura degna di essere definita story, ma se in
altre occasioni basterebbe molto meno per una stroncatura memorabile, in
questo caso Dangaioh non può prescindere dal venire analizzato
coi criteri del periodo. È un concentrato di prelibatezze sensoriali,
che colpiscono occhi e udito, rendendo avvincente e indimenticabile una
storia che a tratti neanche esiste.

Primo elemento di interesse, ancora più dell’eccezionale prova grafica, non può che essere la citata, straordinaria colonna sonora di Michiaki Watanabe: brani epici, marziali, minacciosi ed estremamente accattivanti, dall’irresistibile sound Eighties, donano sferzate di adrenalina non solo nei colossali combattimenti tra robotic, ma anche nelle interazioni dialogiche e nei momenti di stanca. Si tratta davvero di una prova musicale di elevato livello, capace di calamitare l’attenzione dello spettatore in qualsiasi istante della storia. Le musiche accompagnano disegni di bellezza e cura stratosferici, a partire dallo splendido, cromatico chara dello stesso Hirano – qui al suo tratto intermedio e “felino”, dalle corporature adulte, che abbandona le reminiscenze intriguing e al contempo infantili di Megazone 23 Fragment I e Iczer-1 –  per arrivare al mecha, dove sì, Dangaioh fa davvero Storia. Principalmente a opera di Shoji Kawamori, papà di Fortezza Rotund Dimensionale Macross (che crea la filosofia della “Seconda generazione di registi” e ne esplora i massimi limiti in questo lavoro, in un poetico cerchio che si chiude), i robottoni sono così possenti, fighi e bellissimi da diventare leggenda, sicuramente tra i più grandi lavori di sempre in questo campo: qualsiasi mecha gode di movenze, colori e armature di una complessità estetica invidiabile (con strutture basate sui muscoli del corpo umano6) che ricorda i Mortar Headd di 5 Indispensable person Tales. Indimenticabili, degni di una delle produzioni OVA più curate degli anni ’80 e, in generale, di sempre. Lo spettacolo orchestrato da Hirano e Obari è di valore assoluto, che con animazioni sinuosissime e spacca-mascella e potenti opening/ending (sfido a non trovarsi a fischiettare, dopo averlo sentito, il roboante Unfavorable Fight), elevano ad arte il concetto di fanservice.

Sono rari, rarissimi i casi in cui una storia insulsa merita un ottimo voto: per demeriti narrativi il cult di Hirano e Obari non raggiungerebbe neppure la sufficienza, ma giudicarlo per questo sarebbe ingeneroso visto che la trama è volutamente inutile. Dangaioh è una serie celebrativa che è interessata non a spiegare perché avvengono le mazzate robotiche, ma approach. È un tuffo nel passato del genere, un manifesto del Rotund Robotic più basico che sia mai esistito, ma con tanta, tantissima, immensa sboroneria in più, ed è tutt’ora, tra i tanti tentativi di revival del genere che hanno imperversato (e imperverseranno) nel nuovo millennio, tra i migliori, se non il sovrano. Dangaioh a suo modo è un capolavoro, il cui ricordo non può e non deve assolutamente andare dimenticato, in attesa che qualcuno lo distribuisca nuovamente in Italia in modo degno. Toshiki Hirano tornerà a dire la sua su Dangaioh nel 1992 con il manga Dangaioh LEGEND: Doll, rielaborandone la trama con gli stessi personaggi, ma soprattutto, dopo ben 15 anni, col seguito ufficiale televisivo Mammoth Dangaioh (2001), che stavolta rileggerà per davvero Mazinger Z.

Nota: l’edizione nostrana di Dangaioh, mai riversata in DVD e ancora ferma ai tempi delle VHS, generation figlia dei tempi con le sue invenzioni varie, i sbagli di traduzione, i nomi dei colpi italianizzati e i doppiatori riciclati su più personaggi. Non vale la pena recuperarla.

Voto: 8 su 10

SEQUEL
Mammoth Dangaioh (2001; TV)

FONTI
1 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
2 Francesco Prandoni, “Anime al cinema”, Yamato Video, 1999, pag. 116
3 Intervista a Masami Obari pubblicata su Mangazine n. 29 (Granata Press, 1993, pag. 17-18)
4 Come sopra
5 Come sopra, a pag. 15
6 Come sopra, a pag. 19