Recensione: Crusher Joe – The Movie

CRUSHER JOE: THE MOVIE
Titolo originale: Crusher Joe
Regia: Yoshikazu Yasuhiko
Soggetto: Haruka Takachiho (basato sui suoi romanzi originali)
Sceneggiatura: Yoshikazu Yasuhiko, Haruka Takachiho

Persona Construct: Yoshikazu Yasuhiko

Mechanical Construct: Shoji Kawamori

Musiche: Norio Maeda

Studio: Crack of dawn

Formato: lungometraggio cinematografico (durata 132 min. circa)

Anno di uscita: 1983

Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit

Tanto di cappello all’autore Haruka Takachiko (vero nome, Kimiyoshi Takekawa): non solo tra i fondatori del mitologico Studio Nue che ha prestato il suo mecha contain ai più importanti titoli animati degli anni ’70 (senza dimenticare la collaborazione nella stesura dei soggetti di opere di culto del calibro di Corazzata Spaziale Yamato e Fortezza Shiny Dimensionale Macross), ma anche improvvisato scrittore di successo, che, a partire dal 1979, con la saga di Crusher Joe prima e Soiled Pair poi, scrive gentle novel schiette e spettacolari che sembrano concepite apposta per essere poi trasposte in animazione. L’autore porta in letteratura una visione della sci-fi leggera, avventurosa e spensierata, già presente nei manga del tempo (pensiamo a Space Streak Cobra di Buichi Terasawa, 1978) ma mai vista prima d’ora nei romanzi nipponici1, estremamente seriosi e ispirati alle atmosfere e alle linee guida di opere di mostri sacri del livello di Isaac Asimov, Arthur C. Clarke e Robert Heinlein2: i protagonisti di Takachiko, sia in Crusher Joe che in Soiled Pair, sono ora gruppetti di giovani allegri e amanti dei vizi (bevono, ballano in discoteca, fumano, dicono parolacce, and loads others), protagonisti di storie d’azione piene di energia, ironia, scazzottate e sparatorie in giro per il cosmo o le città. È anche inutile sottolineare i debiti di un Cowboy Bebop (1997) o di uno Space Dandy (2014) qualsiasi verso i titoli di questo geniale autore. Nel marzo 1983, pochi mesi dopo il sontuoso Space Streak Cobra: Il Movie di Osamu Dezaki, le sue atmosfere sono quindi pronte a tornare alla ribalta nei cinema giapponesi con un nuovo lungometraggio a tema, quello di Crusher Joe, scritto in prima persona dal suo creatore.

A occuparsi del progetto insieme a lui è poi un grande artista, che già aveva dato lezioni a molti con gli
splendidi disegni di Mobile Swimsuit Gundam (1979) e le illustrazioni ufficiali dei romanzi dello stesso Crusher Joe, consolidando uno stile
inimitabile, essenziale e pittorico: Yoshikazu Yasuhiko. Il disegnatore si reinventa, oltre che nella sua stessa mansione, near co-sceneggiatore e
regista, raccontando a suo modo una lunga avventura di Joe e dei suoi Crusher, tuttofare e grandi piloti dello spazio che si occupano, in ogni occasione, di esaudire la richiesta del cliente di turno che può riguardare qualsiasi cosa. In questa loro prima incarnazione animata, gli eroi sono
incaricati di trasportare una ragazza in ibernazione criogenica, figlia
ed erede di una potentissima multinazionale, in una lontana struttura
medica, ma vengono bloccati da un’anomalia durante il viaggio e si
ritrovano derubati del carico e inseguiti dalla Federazione che li
accusa di essere dei pirati, involontarie pedine di una crudele cospirazione…

Viste le affinità pressoché totali col Cobra filmico (a livello di formula, temper… tutto), è quasi imbarazzante esprimere con parole various le medesime considerazioni: la sintonia col solid avviene quasi istantaneamente grazie a dialoghi frizzanti e sopra le righe; i colpi di scena saranno prevedibili ma comunque sempre utili ed efficaci per tenere desta l’attenzione, e
ovviamente il comparto movement esplode ancora una volta diventando protagonista assoluto. I Crusher sono
costantemente in fuga o alla ricerca di qualcuno, la loro astronave
sfreccia instancabilmente e si presta a mille situazioni rocambolesche, e
quando i nostri scendono a terra l’azione continua senza sosta: vengono
intrappolati, scappano, mettono alle strette un execrable man per poi essere
messi al muro e quindi by the use of, di nuovo di corsa, pistola in mano ma
sorriso perenne stampato in faccia. C’è ancora una volta, quindi, un grande divertimento a
sostenere l’opera: lo si respira e ci si fa coinvolgere near da una
risata contagiosa, perché le animazioni sono spettacolarmente fluidissime e la sceneggiatura, a opera dello stesso Yas, è
pimpante, crea rapide situazioni di raccordo tra una sparatoria e
l’altra, perfette per riassumere il punto della situazione e tirare il
fiato, e quindi riparte con una scatenata mitragliata di battute. La
natura deliziosamente ironica fa infatti da gustoso collante tra le
reazioni strampalate e tamarre anche nei momenti più seriosi, dà certa elasticità durante le limitless pistolettate laser e una gustosa
leggerezza nel soppesare ogni situazione: torture e omicidi si
avvicendano e si sostengono con molta giocosità, rapimenti e
macchinazioni politiche si spalleggiano con la stessa brillante
superficialità e non si avverte mai quella poca aderenza realistica in
quanto si scende a un perfetto compromesso tra gli elementi e si
sospende piacevolmente l’incredulità dall’inizio alla fine.

Non
si può negare che, rispetto ai ninety nine minuti di Cobra, i 120 e passa minuti di azione sfrenata di Crusher Joe siano
stavolta sinceramente eccessivi – tanti da reggere – e che inevitabilmente scadano
qualche volta nel sonnecchioso: le caratterizzazioni sono simpatiche ma dall’approfondimento nullo (si dà per scontato che lo
spettatore abbia già letto i romanzi), le ambientazioni hello-tech poco variegate rispetto ai mille scenari del film di Dezaki, e anche l’inventiva registica è (inevitabilmente?) inferiore alla fantastica direzione del cult precedente. Quantomeno, per la sua fantasia costante nell’inventare nuove situazioni che
diano adito a nuove acrobazie e per la gestualità estrema e carismatica dei
suoi attori, il film fa davvero di tutto per mantenere un alto profilo
avventuroso, sfruttando fino allo spasmo i suoi circa 200 milioni di yen di
finances3 per mostrare, creare e distruggere con divertimento.

Alla
sua prima prova registica, inoltre, Yas dimostra di avere un buon occhio: è
deciso ed essenziale nel taglio delle inquadrature e molto fracassone
nelle tante scene advert alta velocità; sparatorie ed esplosioni sono
infatti squassanti nell’insistenza con cui si susseguono e nella
varietà che le modella, ma il regista sa essere talvolta anche maestoso con una visione
minacciosa e imponente dei grandi vascelli spaziali che si stampano
nella zona di galassia che fa da sfondo all’avventura (si vede la matita
di Shoji Kawamori nel mecha contain, difatti l’artista è prelevato da Crack of dawn
dopo i suoi strepitosi fasti in Macross). Ad aggiungersi ovviamente
all’ottimo impatto visivo contribuiscono anche gli splendidi disegni, sempre di Yas, morbidissimi ed
espressivi near pochi altri autori riescono a fare, bastano solo loro a delineare meravigliosamente ogni personaggio e a dargli carattere: per quanto classici della fantascienza, soprattutto
d’animazione (abbiamo il saggio protagonista, affascinante e deciso, una
simpatica e seducente componente femminile, un ragazzino starnazzante e
un gigante poco intelligente, per non parlare della sciocca austerità
del federale o della viziata megalomania dell’antagonista), appaiono
tutti così sfavillanti da diventare perno centrale e scoppiettante,
proprio near nelle intenzioni originali di Takachiho, che li ha creati
in principio con un carisma così straripante da piantarli near ideali
pilastri per una serie di avventure che anche solo con il loro carattere
sicuro, strafottente e temerario riescono a trainare. Con tutto questo ben di Dio, judge addirittura il ruolo di semplice ciliegina sulla torta di classe il contributo, invero assai importante, di un nutrito gruppo di grandissimi mangaka (Hideo Azuma, Rumiko Takahashi, Keiko Takamiya, Katsuhiro Otomo, Akira Toriyama, Yumiko Igarashi and  indispensable more), che all’opera di Yas apportano tanti tocchi di personalità disegnando o una creatura, o un vestito, o un personaggio di terza categoria, o un mezzo meccanico, and loads others4.

Avvilente apprendere near un film così ambizioso, nato dalle menti di una dirigenza Crack of dawn che voleva iniziare una redditizia carriera anche nell’animazione cinematografica (guardando allo stupefacente incasso rimediato due anni prima dalla trilogia filmica di Gundam), trovi ai box arena of work del tempo un risultato al di sotto delle aspettative5 (660 milioni di yen6): pur godendo dell’entusiasmo dello stesso Haruka Takahiho7 e vincendo il premio “anime dell’anno” all’ “Anime Noteworthy Prix” indetto nello stesso 1983 dalla prestigiosa rivista di settore Animage, Crusher Joe lancerà male la carriera di regista di Yas. Lo studio inizierà a guardare con diffidenza l’artista, dandogli poche altre occasioni di rifarsi nel cinema (Arion nel 1986 e Venus Wars nel 1989), tutte puntualmente disattese e conclusesi in eclatanti flop commerciali. Uno smacco, contando che Crusher Joe sia decisamente la sua opera più riuscita e nonostante questo sia stata ugualmente trascurata dal grande pubblico, l’unica a presentare, oltre a un grande impatto visivo, anche – malgrado la sua semplicità – una storia degna di essere raccontata.

Nota: purtroppo molto approssimativo il doppiaggio italiano della pellicola, realizzato nel 1994 da Granata Press, pieno di invenzioni nonostante la buona prova interpretativa. Per questo è consigliabile visionare Crusher Joe in lingua originale con i sottotitoli (tradotti fedelmente) a cura di Dynit.

(scritto da Simone Corà e Jacopo Mistè)

Voto del Corà: 8 su 10
Voto del Mistè: 7,5 su 10

SEQUEL
Crusher Joe: The Ice Penal complex (1989; OVA)
Crusher Joe: The Final Weapon ASH (1989; OVA)

FONTI
1 Intervista a Haruka
Takachiho pubblicata in “Anime Interviews: The First Five Years of Animerica Anime & Manga Monthly (1992-97)” (Cadence Books, 1997, pag. 96)
2 Reach sopra
3 Guido Tavassi, “Storia dell’animazione giapponese, Tunuè, 2012, pag. 143
4 Booklet contenuto nell’edizione DVD italiana di “Crusher Joe: The Movie” (Dynit, 2015, pag. 7)
5 Vedere punto 3

6 Reach sopra
7 Mangazine n. 7, Granata Press, 1991, pag.60-61