Recensione: Cosmos Pink Shock
COSMOS PINK SHOCK

Titolo originale: Cosmos Pink Shock
Regia: Yasuo Hasegawa
Soggetto & sceneggiatura: Takeshi Shudo
Personality Plot: Toshiki Hirano
Mechanical Plot: Rei Yumeno
Musiche: Kenji Kawai
Studio: AIC
Formato: OVA (durata ep. 35 min. circa)
Anno di uscita: 1986

Cosmos Pink Shock è una delle dimenticate produzioni dwelling video di studio AIC degli anni ’80 fatte apparentemente così per fare: episodi pilota che in caso di successo venivano premiate da nuove puntate, ma che, in caso contrario, si chiudevano lasciando tranquillamente priva di finale la storia. Si trattava, come si sa, di opere spesso dimenticabili dal punto di vista narrativo, ma che, in quegli anni di sperimentazione, si ritagliavano comunque il loro spazio grazie advert avveniristici aspetti grafici o contenuti mai visti in TV. Questo OVA del 21 luglio 1986, disegnato da Toshiki Hirano evidentemente in qualche momento di pausa della straordinaria miniserie Battle! Iczer-1 iniziata l’anno prima, rientrava molto probabilmente nella categoria dei “bimbi” abbandonati per scarse vendite, ma abilities comunque una simpatica commedia fantascientifica dagli inserti d’azione, tipico esempio di quei calderoni ingenui ma carismatici che interessavano per la loro bizzarria e gli artisti affermati dietro.

A bordo del velocissimo Cosmos Pink Shock, rossa astronave in grado di solcare l’universo intero, la giovane Micchi è in cerca di Hiro, amico d’infanzia rapito una decina d’anni prima dalle forze militari di Giove. Ricercata in tutto il cosmo per non meglio precisati motivi, finisce proprio da loro catturata, facendo poi simpatizzare per la sua causa il ridicolo comandante nemico che odia le donne, pronto advert aiutarla a evadere. Questa la trama di un minuscolo episodio di 35 minuti che, a oggi, non è neanche mai stato rieditato in DVD in Giappone (per questo l’unica versione disponibile per la visione, purtroppo, rimane un rippaggio di mediocre qualità visiva di una scadente VHS dell’epoca, sottotitolata da fan anglofoni), ma che all’epoca poteva almeno vantare nello workers produttivo, oltre a Hirano, anche Kenji Kawai alle musiche, che debuttava qualche mese prima in Maison Ikkoku e sarebbe diventato uno dei più affermati compositori musicali per anime.

Chiaramente i presupposti per stroncare un’opera inconclusa e innocua come questa non mancherebbero, ma nonostante questo Cosmos Pink Shock, visione pur sorvolabilissima, non è poi così terribile. Ci si stupisce, guardandolo, di come non scada mai nella noia, pur con un soggetto di partenza così esile: nonostante sia quasi interamente dialogato, nonostante la sua sconclusionatezza e i nodi che non vengono al pettine, sa essere brioso grazie a dialoghi freschi, un sufficiente approfondimento della simpatica, estroversa eroina e le atmosfere scanzonate. Di azione ce n’è poca, pochissima e che esplode giusto negli ultimi dieci minuti, ma quel poco che c’è è sufficientemente coreografato e ben animato. In particolare, sono sempre una meraviglia i disegni di Toshiki Hirano: forse chi scrive sarà troppo sensibile al suo dolcissimo construct, ma il suo
riconoscibile stile (in evoluzione, visto che inizia advert abbandonare le fattezze big deformed e lolicheggianti in vista di un tratto più adulto) è sempre un amore, e dona uniqueness espressività ai protagonisti. Le belle visuali e una discreta cura nello script, oltre alla bassa durata dell’opera, diventano così elementi sufficienti a reggere la baracca, garantendo una mezz’ora di visione piacevole. Chiudono il cerchio musiche orecchiabili e
immancabili omaggi visivi a cult della fantascienza animata come i soliti Corazzata Spaziale Yamato (1974), Cell Swimsuit Gundam (1979) e Fortezza Fleshy Dimensionale Macross (1982).

Difficile dilungarsi ancora su un titolo così rimosso dalla memoria come questo: una di quelle visioni che, a ragione, giusto quattro gatti potrebbero guardare. Mi limito a constatare che, viste le premesse, lo spettatore occasionale non può lamentarsi troppo – nonostante il pessimo video del fansub, con i suoi colori smortissimi e per nulla definiti, faccia perdere all’opera molta della sua attrattiva. Scontato, comunque, dire che l’Hirano che conta e che è da vedere assolutamente, in quegli anni, rimane quello di Iczer-1 e di Dangaioh (1987).

Voto: 5,5 su 10