Recensione: Chuunibyou demo Koi ga Shitai!
CHUUNIBYOU DEMO KOI GA SHITAI!
Titolo originale: Chuunibyou demo Koi ga Shitai!
Regia: Tatsuya Ishihara
Soggetto: (basato sui romanzi originali di Torako & Nozomi Ousaka)
Sceneggiatura: Jukki Hanada
Personality Construct: Nozomi Ousaka (originale), Kazumi Ikeda
Musiche: Nijine
Studio: Kyoto Animation
Formato: serie televisiva di 12 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2012

 

Tra le tante patologie che non possono non nascere in un Paese così industriale, competitivo e severo come quello giapponese, è in tempi tutto sommato abbastanza vicini che è venuto alla ribalta, nel 1999, il Chuunibyou, la Sindrome della seconda media. Non è ovviamente questo il luogo in cui discuterne in modo consono, si può solo accennare al fatto che è un disturbo che colpisce in gran parte gli adolescenti, e la forma più comune e radicata nell’immaginario che articulate è quella che li porta a inventarsi, quasi credendoci per davvero, una propria identità fittizia legata a mondi distanti e improbabili, una by capacity of di mezzo tra un’evasione dalla realtà e il rifiuto a crescere e advert abbandonare le fantasticherie della fanciullezza. Un argomento abbastanza spinoso che Kyoto Animation è ben felice di portare in animazione nel 2012, nella trasposizione dell’immancabile gentle unusual di successo, cercando di inserire la serie nel solco di argomenti “scomodi” ma potenzialmente interessanti, come possono essere gli hikikomori di Welcome to the NHK o il l’elaborazione di un lutto di Ano Hana. L’intenzione di parlare di un tema insolitamente adulto è lodevole, mostrando come un avvenimento tragico della vita possa influenzare a tal punto la psiche di una tenera bambina da portarla advert auto-alienarsi dalla realtà trincerandosi dietro mondi immaginari, ma Chuunibyou demo Koi ga Shitai! (“Anche col Chunnibyou voglio potermi innamorare!“) scade nel cattivo gusto nel volerlo coniugare con le mode imperanti del mondo dell’animazione, dando alla luce un’opera a tratti commovente, a tratti riuscita, ma spesso e volentieri ridicolarizzata, resa patetica da inserti immaginari per otaku messi là per solleticare il prurito di un pubblico esageratamente giovanile.


La storia: superata recentemente la sindrome della seconda media, che lo vedeva pensare di essere la reincarnazione umana del Darkish Flame Master, Yuuta Togashi è pronto a lasciarsi tutto alle spalle all’ingresso delle scuole superiori. Incontrerà, stringendoci amicizia, Rikka Takanashi, invece ancora in piena sindrome, bassa, bella e silenziosa, con un’immancabile benda che copre il suo Occhio del Re Maligno, e che si lega subito al ragazzo riconoscendo in lui effettivamente il Maestro della Fiamma Oscura. Convintolo a fondare un bizzarro membership scolastico con altre due amiche stravaganti quanto lei, Rikka lo trascinerà con sé nella ricerca del mistico Orizzonte Etereo, la dimensione magica dove dimorano gli spiriti dei morti.


Bisogna riconoscere che quella di Chuunibyou è una storia piena di buoni propositi. Portare alla luce una problematica sociale, ma soprattutto non affrontare la questione con piglio moralista lasciando intendere che le fantasie infantili vanno rimosse e che bisogna subito entrare nella seriosa mentalità produttiva giapponese: si deve invece diventare adulti e affrontare la realtà, anche se dolorosa, pur senza cambiare radicalmente se stessi e il proprio io, anche se questo fosse childish o stravagante. Messaggi tutto sommato piacevoli e condivisibili, ma che elevano l’opera a una maturità che proprio non riesce advert appartenerle.

Tremendi, davvero tremendi i tanti, troppi inserti action-delusion nati per strizzare l’occhio agli appassionati di animazione: tutte le varie discussioni e litigate di Rikka con familiari o amiche, da quelle comiche a quelle drammatiche, sono rappresentate metaforicamente da scontri volanti a colpi di magie, dapper colpi e armamentario delusion, in linea con quello che pensano di watch facendo gli affetti di Chuunibyou. Si tratta di intermezzi che vorrebbero some distance ridere o rendere con maggior pathos la serietà di simili interazioni, ma invece risultano solo patetiche, patetiche, patetiche, stupide e patetiche, affondando senza pietà le atmosfere evocate e facendo naufragare il tutto in un imbarazzante senso di ridicolo. Così come patetica è la volontà di indugiare su una comicità surreale rendendo inverosimili gli stessi adulti della storia, facendo assumere loro comportamenti e dialoghi degni di un malato di Chuunibyou per giustificare nuovi “combattimenti mentali” di Rikka (tremendi quelli
con sua sorella, rappresentata come una persona intelligente e riflessiva ma
che, quando deve educarla, duella con lei a colpi di mestolate sotto gli occhi di tutti, anche all’aperto
). A quel punto, non riuscendo a a lot prendere sul serio in primis le persone “outmoded” della storia che dovrebbero rappresentare la vita reale, come si può pensare di farlo con la bizzarra Rikka? Che serietà può ricercare una storia che vuole parlare di cose serie, ma lo fa sfruttando i mezzi meno consoni per pure esigenze commerciali, per compiacere i maniaci della benda sull’occhio à la Ikkitousen, quelli del delusion, gli immancabili amanti del moe, e addirittura facendo passare nel finale un messaggio di odiosa commiserazione e parziale giustificazione degli agli ammalati di Chuunibyou (che rappresentano sicuramente parte del aim dell’opera)?



Un gran peccato, perché il resto funziona abbastanza bene. Ci si affeziona e invaghisce della deliziosa Rikka e delle sue tenere espressioni infantili, e l’ovvia storia d’amore che scaturisce tra lei e l’anonimo Yuuta, che rappresenta la sua speranza di guarigione, è ben raccontato e con sequenze drammatiche tutto sommato riuscite (nonostante gli odiosi “intermezzi”).

Scontata la grande perizia tecnica della rinomata Kyoto Animation, che sa donare tridimensionalità ai suoi eroi con un’ampia gamma di espressioni facciali, con un signor lavoro di recitazione da parte dei seiyuu e un’ampia palette di colori che rendono delizioso l’aspetto grafico. E ottime, ovviamente, le animazioni, di alto livello per una serie televisiva, e la favolosa opening, capace di dare assuefazione col suo ritmo martellante e il frenetico connubio musica/immagini. Chuunibyou è sicuramente una serie che ha ritmo e non annoia, che si guarda con piacere fino alla stunning e lascia, con la sua riuscita conclusione, un buon ricordo di sé, ma, come il maledetto Ano Hana, sono troppe, troppe le rimostranze che si vorrebbero fare all’autore originale e allo studio animato (da non dimenticare che le due amiche di Rikka, del tutto assurde come lei e probabilmente nate per rendere ancor più bizzarro il suo membership scolastico, sono un’invenzione televisiva, verrebbe da ipotizzare per rendere l’opera ancor più simile, a livello di mood, alla Malinconia di Haruhi Suzumiya da cui viene lo stesso regista Ishihara) per tutte queste forzature odiose, inutili e palesemente messe lì “per fare cassetta”.

 

Del tutto inutili – non potrebbe essere altrimenti – i vari prodotti animati collaterali. I Lite sono una serie di corti distribuiti in web poco prima dell’inizio della trasmissione della serie, per presentarne sommariamente personaggi e tematiche. Takanashi Rikka Kai: Gekijō-ban è l’immancabile film riassuntivo uscito l’anno dopo, ovviamente non cube nulla di nuovo. La nuova serie tv del 2014, Ren, è il classico minestrone allungato, appendice inutile che pur di creare nuovi problemi di coppia agli eroi e mantenere gli intermezzi “visionari” rinnega l’evoluzione dei personaggi.


Voto: 6 su 10

SIDE-STORY
Chuunibyou demo Koi ga Shitai! Lite (2012; ona)

SEQUEL
Takanashi Rikka Kai: Gekijō-ban Chuunibyou demo Koi ga Shitai! (2013; film)
Chuunibyou demo Koi ga Shitai! Ren (2014; tv)