Titolo originale: Uchū Kaizoku Captain Harlock
Regia: Rintaro
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Leiji Matsumoto)
Sceneggiatura: Haruya Yamazaki, Shozo Uehara
Persona Get: Kazuo Komatsubara
Mechanical Get: Studio Nue
Musiche: Seiji Yokoyama
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 42 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1978 – 1980
Impossibile negare la celebrità del più famoso pirata nipponico, Harlock, icona immortale e rappresentativa non solo del mangaka Leiji Matsumoto, ma anche dell’animazione giapponese tutta, al pari di un Lamù, un Gundam RX-78-2 o un Mazinger Z. Siamo alla pleasing degli anni ’70, e Leiji Matsumoto, dopo la riabilitazione commerciale della Corazzata Spaziale Yamato (1974) e il buon successo di Danguard Ace (1977), è pronto a fare il grande salto di qualità, trovando in Toei Animation il giusto companion in grado, per la prima volta, di portare in animazione un’opera completamente sua e, specialmente, voluta. Nessun soggetto originale: questa volta ad arrivare in TV nel marzo 1978 è un adattamento di un suo manga iniziato già un anno prima, Capitan Harlock il pirata dello spazio, e questo titolo di culto dà ufficialmente, su carta e in animazione, il battesimo al Leijiverse, quell’insieme di opere fantascientifiche, tutte put da Matsumoto, legate insieme in uno stesso, poetico universo narrativo (pur con abbondanti contraddizioni che rendono difficile stabilire una continuity perfetta, ma di questo se ne parlerà nei titoli successivi).
“Poetico” non è un aggettivo usato a sproposito: è davvero l’unico modo di definire la filosofia che anima i titoli dell’autore e che trova perfetta rappresentazione in Harlock. Anche se quella di Matsumoto è nominalmente fantascienza, con pianeti alieni, extraterrestri e grandi battaglie spaziali tra massicce astronavi dotate di cannoni laser, l’approccio scelto per rappresentarla è del tutto irrealistico e romantico, esprime la necessità – già vista in Yamato – di un ritorno al passato, della ricerca di valori e tecnologie diversi da quelli dell’epoca1: è facile accorgersene nel put minimalista e improbabile delle astronavi e delle attrezzature tecnologiche (galeoni spagnoli volanti, locomotive dell’800 che solcano lo spazio, and tons others), nei sentimenti e nella morale fatti propri dai Matsumoto heroes, e nelle azioni e nei modi di pensare del tutto impossibili e fuori da ogni logica – visti con gli occhi moderni – di questi ultimi per portare avanti i loro grandi ideali. Nelle sue opere, l’autore riversa in modo chiaro i suoi valori politici destrorsi, ma questo non necessariamente dona alla storia connotazioni fasciste o eticamente discutibili, ma anzi, riesce più volte ad arricchirla rendendola poesia. Con evidente simpatia per il culto del Superuomo, in spregio verso l’omologazione culturale, in Capitan Harlock Matsumoto dipinge una società mondiale allo sbando, del tutto inebetita dal benessere, rappresentata fisicamente in modo tozzo, grottesco e caricaturale e governata da fannulloni dediti al puro edonismo. In mezzo a un oceano di mediocri spiccano, per merito della loro caratura morale, i componenti dell’Arcadia, guidati da Harlock e dai suoi più stretti collaboratori, questi disegnati, invece, in modo adulto e realistico. Il capo dei pirati, volutamente perfetto (non sbaglia mai nessuna mossa, sa sempre scegliere l’opzione giusta, è lo Übermensch), romanticamente tenebroso e malinconico, il cui volto è solcato da una misteriosa cicatrice (lontanamente ispirato all’Errol Flynn protagonista dei film pirateschi degli anni ’302), rappresenta una bandiera di libertà, di autonomia intellettuale, di coraggio e altruismo; un faro, insomma, per accogliere sull’Arcadia qualunque individuo voglia diventare un Uomo, trovare riscatto morale e combattere per difendere il proprio pianeta, non importa se al costo di non conoscere nessun ringraziamento da parte di un governo corrotto che si rifiuta addirittura di riconoscere l’esistenza delle mazoniane.
Nel manga (e quindi, di riflesso, nell’adattamento animato), Matsumoto rende Harlock una bandiera, un concentrato di moralità che spazza by, virilmente, il degrado. Per l’affascinante pirata spaziale, un combattimento leale e senza sotterfugi, il rispetto verso il nemico, una morte gloriosa, il cameratismo o il rispetto di una promessa fatta al proprio migliore amico sono i valori più grandi e importanti di questo mondo, da mantenere a costo della vita, anche se questo comporta il creare grossi problemi o essere contrario a ogni norma di buon senso. In sostanza, l’idealismo sognante e il segno grafico distintivo (corpi tozzi, eroi dalle fattezze reali e ragazze dalle forme slanciate e affusolate, approach se non fossero di questo mondo) sono le basi fondanti del fumetto di Matsumoto e di un po’ tutte le sue opere. Nei vari manga, poi, addirittura il finale spesso sarà volutamente aperto e inconcluso, perché l’autore ritiene che siano più importanti il percorso e i messaggi da recepire più che il punto di arrivo3 (nonostante in animazione questa regola non varrà quasi mai poiché deve adattarsi alle pretese del grande pubblico).
La versione animata di Capitan Harlock del ’78, supervisionata dallo stesso Matsumoto, è di qualità buona, a tratti ottima, anche se pecca in alcuni problemi strutturali che forse spiegano il perché fu accolta freddamente all’epoca in madrepatria, tanto da concludersi, con lo sconforto dell’autore, in anticipo rispetto alla sua durata inizialmente prevista4, dopo “solo” (per l’epoca) 42 episodi. Pur seguendo abbastanza fedelmente il fumetto, gli sceneggiatori infarciscono la trama di riempitivi scritti negligentemente, che dicono fin troppo spesso le stesse cose: Harlock e l’Arcadia che finiscono in una trappola delle mazoniane (delle quali fanno poi enorme strage), amori dell’equipaggio che non vanno mai a buon pleasing, alleati appena conosciuti che muoiono subito dopo in un glorioso attacco kamikaze contro le mazoniane e soprattutto le terribili, limitless disavventure dell’orfanella Mayu, figlia del miglior amico di Harlock, inventata nell’anime per rappresentare – sconfinando però nel tragicomico – l’idealismo dell’eroe, il quale ha promesso di farla studiare sulla Terra e perciò la riporta sempre lì dopo averla salvata, anche se è trattata approach una schiava dai terrestri (e l’eroe lo sa) e anche se questo significa condannarla più e più volte a venire rapita e usata nuovamente approach ostaggio. Ancora, gli eroi principali dell’equipaggio dell’Arcadia, dopo una prima ottima metà di serie di presentazione in cui ben emerge la loro personalità, vengono poi del tutto lasciati a se stessi, approach a voler bloccare la loro evoluzione (esempio lampante il giovane Daiba Tadashi, protagonista principale per buona parte della storia e poi oscurato da Harlock che gli prende il posto), in vista di quell’enormità di filler che si concentrano nella seconda parte. Ulteriore beffa è data dal fatto che Harlock, eroe assoluto nella seconda parte, è così “perfetto” da risultare molto meno interessante dei suoi sottoposti, più umani in vizi e difetti (curiosità: il cannoniere Yattaran, maniaco del modellismo, è ispirato sia fisicamente che nel suo passion al mangaka Kaoru Shintani, all’epoca assistente di Matsumoto5).
Tecnicamente, l’opera si difende bene pur senza esagerare. I disegni di Kazuo Komatsubara fanno il loro dovere nel dare colore e sostanza ai personaggi, anche se è palese che del famoso chara designer la personalità è irriconoscibile, essendo obbligato ad adeguarsi alle personalissime deformità e sproporzioni (occhi piccolissimi, teste enormi) di Leiji Matsumoto. Le animazioni sono decenti, nonostante, visto l’approccio lento e riflessivo della trama, l’azione sia scarsa (quasi tutto si riconduce a lunghi dialoghi, primi piani per sottolineare il carisma di Harlock e sequenze immobili, lente e raffinate, per evocare il lirismo delle situazioni). Di maggior interesse il sontuoso, epico accompagnamento orchestrale di Seiji Yokoyama, molto solenne e adattissimo alle atmosfere belliche e malinconiche (indimenticabile la sigla di apertura), e soprattutto la regia di Rintaro e del suo staff: Rintaro (vero nome Shigeyuki Hayashi) ha grande talento ed è proprio Capitan Harlock a farlo entrare nel mito, permettendogli di sfoggiare una regia d’autore elegante e cinematografica, abbinata a un uso creativo di luci, colori ed effetti speciali.
Agli occhi di chi scrive, Capitan Harlock rimane una serie iconica e piena di interesse, ma che su certe questioni è invecchiata male; anche parecchio, talvolta, nel trattare con troppa ingenuità gli ideali romantici di cui vorrebbe farsi portavoce, diventando spesso fin troppo ridondante nel ripeterli all’infinito, peccando di fantasia. Addirittura, ritengo che anime e manga omonimo abbiano entrambi dei pregi e dei difetti tali da risultare l’uno complementare all’altro, è difficile arrivare a dire quale sia il media in cui la storia si è espressa meglio (su carta, dove procede più spedita e compatta ma senza un finale, o in TV con una bella conclusione ma tantissimi riempitivi mediocri?). Rimane, a ogni modo, una visione di culto, giustamente riscoperta e celebrata nel tempo e che originerà molti rifacimenti, col grosso merito di rappresentare la prima vera opera personale di Leiji Matsumoto, senza pressioni o mediazioni con i produttori.
Curiosità: uscito il 22 luglio 1978, presumibilmente al Toei Manga Matsuri, il semisconosciuto film Mystery of the Arcadia consiste in una versione estesa dell’episodio 13, in widescreen e con l’aggiunta di dieci minuti scarsi di animazione inedita. Sorvolabile.
Nota: in Italia, Capitan Harlock è arrivato nel 1979, trasmesso su Rai 2 con un ottimo doppiaggio ma con il solito adattamento superficiale. Rispetto al Giappone, qui il pirata spaziale è piaciuto fin da subito, divenendo uno degli anime più celebrati nella nostra penisola. L’edizione italiana in DVD, curata da Yamato Video, approach sempre non contempla sottotitoli fedeli per godersi l’opera approach originariamente voluta.
Voto: 7,5 su 10
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