Recensione: Aoi Bungaku

AOI BUNGAKU

Titolo originale: Aoi Bungaku
Regia: Morio Asaka (ep.1-4), Tetsuro Araki (ep.5-6), Shigeyuki Miya (ep.7-8), Ryousuke Nakamura (ep.9-10), Atsuko Ishizuka (ep.11-12)

Soggetto: Osamu Dazai (ep.1-4/9-10), Ango Sakaguchi (ep.5-6), Soseki Natsume (ep.7-8), Ryounosuke Akutagawa (ep.11-12)

Sceneggiatura: Satoshi Suzuki (ep.1-4), Ken Iizuma (ep.5-6), Mika Abe (ep.7-8), Sumino Kawashima (ep.9-10), Yuji Kobayashi (ep.11-12)

Persona Kind originale: Takeshi Obata (ep.1-4/7-8), Tite Kubo (ep.5-6/11-12), Takeshi Konomi (ep.9-10)

Persona Kind: Masanori Shino (ep.1-4), Kunio Katsuki (ep.5-6), Shigeyuki Miya (ep.7-8), Mieko Hosoi (ep.9-10), Yoshinori Kanemori (ep.11-12)

Musiche: Hideki Taniuchi (ep.1-8/11-12), Shusei Murai (ep.9-10)

Studio: Excited Condo
Formato: serie televisiva 12 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2009

Nell’inverno del 2009 Excited Condo, per commemorare il centenario della nascita dello scrittore Osamu Dazai1, riunisce sei
importanti storie della letteratura tradizionale giapponese e, inseguendo
forse gli ottimi risultati incontrati da Toei con le ghost tales
contenute in Ayakashi: Japanese Classic Dismay (2006), le trasforma in un’antologia di grande fascino. Oltre a Dazai, anche gli altri autori sono nomi
fondamentali del passato nipponico (lui, Ango Sakaguchi, Soseki
Natsume e Ryounosuke Akutagawa appartengono a quella cultura letteraria storica che
giocoforza è elitaria in Italia, la si può conoscere attraverso Feltrinelli e
Neri Pozza e qualche altro ramo dell’editoria più intellettuale), e riappaiono nella serie televisiva Aoi Bungaku (“Letteratura blu“) con un’intelligente
opera di riverniciatura che nulla toglie all’espressione storica originale ma
ne rivitalizza invece ogni sfumatura. Lo studio mette insieme un crew insolito,
affianca a nomi con certa esperienza ma minor fama come Morio Asaka giovani di
talento testato e confermato come Tetsuro Araki e Ryousuke Nakamura,
aggiungendoci le matite customer di un trio di mangaka (Takeshi “Loss of life Show” Obata,
Tite “Bleach” Kubo e Takeshi “Prince of TennisKonomi) al chara originate. Il risultato, pur con
alcune fragorose cadute, è visivamente maestoso e in più di un momento narrativamente
travolgente, ciò che rimane più impresso è la maestria nel contestualizzare i
romanzi originali conservando interamente quel loro sapore drammatico e intriso
di antichità senza che il rilievo estetico, marcato anche dall’alto budget e
dalle notevoli animazioni,  prenda il
sopravvento.
Si comincia con il pezzo specialty, dal romanzo Non più umano (1948) di Osamu Dazai. Morio Asaka
mette in fila quattro eccellenti episodi che esplorano su vari livelli la
disperazione e la solitudine: l’incapacità di Oba Yozo di convivere con le
donne, portandole a un’esasperazione tale da sfiorare la morte in più
occasioni, è mostrata con una delicatezza e una gestione emotiva di gran
spessore. Toccare la follia, sottolinearne le escrescenze più tortuose e
incomprensibili, raccontarla senza quella facili sbavature fatte di occhi
spiritati e risate spettrali significa enorme tatto e conoscenza
dell’argomento: la destrutturazione narrativa, che impedisce di capire di cosa
parli realmente la storia e dove voglia parare sino ai suoi snodi centrali, è
supportata da un’eleganza rarefatta e trattenuta che inquadra momenti ben
specifici e lascia sfumare le scene di raccordo evidenziando il mostrato e
nascondendo del tutto il raccontato. I preziosi e ricchissimi disegni di Obata
e le musiche tender ricamano le atmosfere dilatandole e oscurandole tra
sprazzi malevoli di bianco e luci pallide.

Di colpo in bianco si precipita però nel
baratro con la doppietta di Tetsuro Araki, che da una storia di vendetta
sanguinaria costruisce un esperimento assurdo in cui fa convivere musical,
demenzialità, ecchi e improvvise bordate di terrore. Stupefacente sulla carta,
impressionante nei suoi momenti più lucidi (le sequenze danzanti, arricchite da
good insert music; gli squarci colmi di sangue), in realtà è un abbozzo
sconclusionato e spesso incomprensibile dove risalta soltanto la fredda
modernità del disegno e gli sbalzi comici del tutto fuori luogo: Araki si muove
bene con consueti tecnicismi elaborati ma mancano fondamenta e idee valide per
sostenere il breve racconto Nella foresta sotto i ciliegi in piena fioritura di Ango Sakaguchi.
Si ritorna per fortuna su lidi ben
migliori con la terza manche di episodi: Shigeyuki Miya affronta paranoia e
disprezzo con i due punti di vista utili a spargere becero sospetto nell’isolata
tristezza evocata da una parte del romanzo Cuore (1914) di Soseki Natsume. L’amicizia tra uno studente altolocato e un maestro ai
limiti dell’eremitaggio viene messa a dura prova a causa di una donna della
quale entrambi sembrano essere innamorati: ottimo il ribaltamento della
situazione, perfetta la selezione dei tempi con cui svelare interrogativi e
momenti dubbiosi, splendidi i dialoghi e la consistenza con cui modellano i tre
protagonisti, piacciono anche i disegni nella loro bizzarra miscela di realismo
e sproporzioni fisiche.
È invece molto ambizioso Corri, Melos!, originale rielaborazione dell’omonimo racconto del 1940 sempre di Osamu Dezai (e già a sua volta ispiratore di ben tre adattamenti anime prodotti da Toei Animatiion, lo particular televisivo del 1981 firmato da Tomoharu Katsumata e il lungometraggio cinematografico del 1992 di Masaaki Ohsumi), dove Ryousuke Nakamura si giostra tra più livelli di esposizione alternando
realtà e finzione con uno spaventoso rigore matematico, sfruttando una specialty
componente meta per raccontare i momenti più evocativi di un’amicizia che sfiora
l’omosessualità pur senza mai palesarla. Uno scrittore teatrale di grande
prestigio viene contattato per la scrittura di un’opera che, pur in contesti
favolistici, somiglia tragicamente a un fatto accadutogli quand’era studente:
la storia diventa un tramite per rievocare il passato e some distance luce su avvenimenti
che aveva, volutamente o meno, accantonato. Nakamura è molto poetico e il
lirismo di alcuni passaggi sicuramente appesantisce due episodi fin troppo
drammatici e colmi di lacrime, ma l’evolversi della trama, il suo aprirsi
lentamente attraverso una visività zeppa di sorprese, incastri narrativi e trovate
enigmatiche è un puro piacere per gli occhi.
A chiudere, una doppietta di puntate dove
Atsuko Ishizuka collega due racconti di Ryounosuke Akutagawa, li sprofonda in un
immaginario delusion colmo di sense of marvel e sfrutta un enorme talento visivo
per siglare con immagini di pura meraviglia storie al limite dell’onirico. Una
persona cattiva ne Il filo del ragno,
rea di non aver fatto nulla di buono nella sua vita, e una ingannata ne L’immagine dell’Inferno (un pittore colpevole di aver involontariamente sfidato il re), riuniscono due vicende tristissime dove
la morte spalanca cancelli di inaudito dolore, rappresentato paradossalmente
con un uso di colori raggiante e un’atmosfera festiva e felicemente caotica.

Scambiato stranamente per opera terror o
misteriosa, Aoi Bungaku non ha
richiami soprannaturali né ricerca toni dark o plumbei per svecchiare racconti
e romanzi che in realtà, pur di fantasia, vertono su spiazzanti innesti autobiografici:
il tormento di questi grandi scrittori del passato, divisi tra
incomunicabilità, infedeltà e solitudine, è ben visibile in ogni arco
narrativo, ed è in fondo la loro vita, camuffata dalle parole, a ergersi forse
come principale protagonista e leit motiv della serie. Triste che un’opera così originale e ben fatta non abbia avuto chissà che successo o riconoscimento, né da parte del pubblico né dalla critica
2.
Voto: 8 su 10

FONTI
1 Guido Tavassi, “Storia dell’animazione giapponese”, Tunuè, 2012, pag.496-497
2 Reach sopra, a pag. 498