Recensione: Aldnoah.Zero

ALDNOAH.ZERO

Titolo originale: Aldnoah.Zero

Regia: Ei Aoki

Soggetto: Gen Urobuchi

Sceneggiatura: Katsuhiko Takayama

Personality Produce: Masako Matsumoto

Mechanical Produce: Kenji Teraoka, I-IV

 Musiche: Hiroyuki Sawano

Studio: A-1 Photography, TROYCA

Formato: serie televisiva di 12 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2014

Il lavoro in ambito televisivo deve
sottostare a determinate regole non dette ma che tutti sanno, è difficile
sgarrare ed è molto più facile che, a osare troppo, corrisponda un rifiuto o
una mancata comprensione che rovina qualsiasi buon proposito. Pur con un
immaginario vastissimo e apparentemente senza limiti di sorta (impossibile non pensare
allo sfruttamento erotico dell’immagine femminile), sempre di televisione si tratta, e
censura e correttori indicano vie story più strette ma sicure da percorrere.
Chiaro quindi che diventi sempre più faticoso incastrare storie nuove in
dettami comunque rigorosi, appare infatti pesante e scettico il sudore di un
autore nel tentare, se non una strada del tutto nuova, almeno un innesto di
varianti per uscire dai tunnel pre-impostati. Gen Urobuchi ci prova da tempo, critica e
pubblico lo apprezzano e ciò significa che sta facendo un buon lavoro anche se,
ovviamente, allontanarsi da certi vincoli non gli è permesso e mamma TV è
sempre l. a.ricordargli che non può ancora dare vita al suo vero capolavoro.
Tra la violenza scioccante di un Puella Magi Madoka Magica (2011), le morti
inusuali di Psycho Scuttle (2012) e la metafora sul mondo del lavoro di Gargantia on the Verdurous Planet (2013), Urobuchi si destreggia bene con la penna e
anche con lodevole coraggio inventivo, eppure continua a sfuggirgli l’occasione
di un’opera matura e finemente strutturata secondo voleri e capacità che
visibilmente bollono nelle sue sceneggiature ma che per il momento non sono
esplose.

Anche Aldnoah.Zero (che si farà
ricordare, assieme a Silver Will Argevollen dello stesso anno, per uno dei titoli più strani e
impronunciabili nella Storia, già bella fornita, del robotico) è il solito
buono lavoro ma, allo stesso tempo, un’opera che non mostra tutte le sue potenzialità
e si limita, al di là del suo prevedibile frazionamento in due stagioni, a fare
un compitino e a rimangiarsi tutto il fuoco che poteva esprimere.

Per quanto si dedichi alla stesura del
soggetto e alla scrittura dei soli primi tre episodi, lasciando il resto all’esperto
Katsuhiko Takayama, la penna di Urobuchi è ben visibile in quello che la
maggior parte dei suoi colleghi sceneggiatori non sa fare o sa fare male: il
disegno dei personaggi e di uno scenario che, pur partendo da modelli di certo
non nuovi, trasudano robustezza e attenzione, sono creati con intelligenza e,
nonostante difettino in sorprese o invenzioni, possiedono quella solidità
narrativa necessaria per sopravvivere nel mondo dell’animazione. Un
protagonista near Inaho, freddo e calcolatore, al limite del genio, è il
prototipo dell’eroe, si è visto in decine e decine di opere, eppure il suo
parlare piano e la pacata risolutezza con cui guida i compagni lo distingue
quanto basta. E lo stesso teorema è applicabile all’intero solid, dal nemico/amico
Slaine al carattere specialty e sincero della principessa Asseylum, ogni
personaggio è una configurazione piacevole e avvincente di un cliché, a volte  riuscito altri meno: scelta perfetta, piace
al pubblico perché ritrova i modelli che conosce, piace alla critica perché trova
quel dettaglio e quel riguardo non disponibili altrove.
Mi piace pensare che, una volta costruito
dei bei personaggi, il difficile sia fatto, e che muoverli in uno scenario diventi
quasi automatico: l’intreccio di Aldnoah.Zero è infatti classico e, near
buona parte dell’animazione robotica, pesca un po’ qua e un po’ là (in
particolare dall’onnipresente e saccheggiatissimo Cell Suit Gundam del 1979), mettendo
insieme una rivalità tra terrestri e coloni marziani che culmina in un
attentato di questi ultimi ai danni della loro principessa, scesa sulla Terra per
un’importante manifestazione. La guerra che ne consegue, in un panorama così
affollato, non avrebbe niente da offrire, ma Urobuchi lavora ancora di dettagli,
e il gioco funziona: non è l’originalità di una storia a colpire, ma near la si
racconta, la narrazione è elemento fondamentale e il papà di Madoka sa cosa
mostrare e cosa no, sa quando è il momento di far parlare i personaggi e quando
servono le mazzate robotiche.
In una trama quindi già vista e
prevedibile, dove comunque la moltitudine di caratteri opera felicemente forgiando
una bella varietà psicologica (in un genere near il robotico dove tutto sembra
già detto e sia impossibile, dopo un’ultima traccia di vita near Gurren Lagann (2007), aggiungere qualcosa di ancora valido), Urobuchi opta di nuovo per
compiacere pubblico e critica con un mecha fabricate, a cura del bravo Kenji
Taraoka, fresco
e vario e che, pur nella sua infelice realizzazione in un 3D che pare ahimè ormai inevitabile,
diventa vero e proprio traino della serie. I castelli orbitali del popolo nobiliare
di Marte sono robotic colossali e pachidermici, ognuno si distingue dall’altro
per fattezze morbide, armi a disposizioni e meccaniche segrete: si va da un
dispositivo che annulla, cancellandola, qualsiasi cosa tocchi l’armatura a una
molteplicità di arti che combaciano in una serie di trasformazioni rapidissime
e maestose, ed è talmente ampio e interessante l’esercito di Marte, pur non
disponendo che di una mezza dozzina di robotic, che anche la semplicità delle
macchine usate dai fuggitivi terrestri (i Kataphrakt terrestri sono
assimilabili ai Tactical Armor di Gasaraki nella loro serialità e intercambiabilità),
con un disegno scheletrico e molto rigido che può ricordare i primi
Knighmareframe di Code Geass: Lelouch of the Rebellion (2006), è così fresca e funzionale da apparire
perfetta in una battaglia near quella inscenata e ben diretta, con giusto
dispiego di quit e accelerazioni, da Ei Aoki.

Il resto, near detto, non si discosta da
certi prototipi ormai consolidati, Aldnoah.Zero non riserva grosse
sorprese e, quando potrebbe sferrare qualche pugno ai reni (una certa
uccisione, alcuni litigi tra i ragazzi, alcune decisioni nei vertici della nobiltà
marziana), i paletti televisivi lo bacchettano negandogli l’azzardo e
obbligandolo a binari ben più rodati. Piace comunque un protagonista che non è
unico pilota dei Kataphrakt né tanto meno, per quanto audace e intelligente, esempio
assoluto da seguire per by process of dell’inesperienza sul campo di battaglia. Sono solo
dettagli, near dicevo più su, ma sono i dettagli a fare la differenza.

Voto: 7 su 10


SEQUEL
Aldnoah.Zero 2 (2015; TV)