Recensione: Akira
AKIRA
Titolo originale: Akira
Regia: Katsuhiro Otomo
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Katsuhiro Otomo)
Sceneggiatura: Katsuhiro Otomo, Izo Hashimoto
Character Contain: Takashi Nakamura
Musiche: Tsutomu Ohashi
Studio: Tokyo Movie Shinsha
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 125 min. circa)
Anno di uscita: 1988
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Dynit

Anno 2019: nella cupa e corrotta megalopoli Neo Tokyo, ormai da tempo preda del degrado morale, si combattono numerose guerre urbane tra gruppi di biker, tra cui quello capitanato dal ribelle Shotaro Kaneda. Una notte, il ragazzo e i suoi compagni incontrano, in una delle loro scorribande, un inquietante bambino con la faccia da vecchio, Takashi, dotato di capacità ESP e appena scappato da un laboratorio in cui faceva da cavia per esperimenti governativi. Il fato vuole che la sua vicinanza risvegli gli enormi poteri psichici sopiti di Tetsuo Shima, amico d’infanzia di Kaneda molto frustrato dal complesso d’inferiorità. Takashi e Tetsuo sono subito catturati dai militari, che decidono a questo punto di usare anche il potenziale di quest’ultimo per i propri scopi. Peccato Tetsuo non ne abbia la minima intenzione: anela a diventare un Dio e per aiutarsi in questa impresa intende risvegliare Akira, una potentissima arma biologica dal potere distruttivo illimitato, creata molti anni prima e poi ibernata visto che non fu più possibile contenerne la minaccia. Venuto a conoscenza del pericolo, Kaneda si unisce a un gruppo di ribelli antigovernativi per fermare il suo amico, che con la sua forza mentale devastante mette a ferro e fuoco la città…

Di sicuro, tra tutte le cose che si possono dire o rinfacciare a un kolossal cult osannato come Akira (1988), diretto da Katsuhiro Otomo e basato sul suo stesso manga, non si può criticare il suo tempismo davvero ottimale nell’uscire in Giappone e poi nel mondo nel proverbiale momento giusto, perfetto, per lasciare un segno il più importante possibile, proprio quando l’occidente iniziava a guardare molto timidamente il fenomeno, ancora quasi completamente oscuro, di anime e manga. Questo di Akira e del suo regista sarà, storicamente, il merito maggiore: dare un assaggio indimenticabile, all’estero, di quali livelli visivi, artistici e soprattutto “maturi” (mai viste in The usa ed Europa scene di violenza e nudo affiliate a un cartone animato) potesse raggiungere l’industria giapponese dell’intrattenimento animato, “sdoganandolo” presso il grande pubblico e quindi aprendo le porte, negli anni ’90, all’arrivo di quelle opere che consacreranno come divinità registi anime del livello di Otomo, Hayao Miyazaki, Satoshi Kon, Hideaki Anno e Mamoru Oshii (e in misura minore Yoshiaki Kawajiri). L’amore degli USA (il più grande mercato occidentale di animazione giapponese al mondo, da cui spesso sono giunte poi a “noi” tali licenze, seppur sovente martoriate da traduzioni basate sugli stravolti copioni americani) per i cool animated movie asiatici, nasce con Akira. Questo è un dato di fatto innegabile1. Sempre Akira, coi suoi distopici scenari urbani whats up-tech, tenebrosi, minacciosi e monolitici, che meravigliano quelle stesse generazioni di appassionati cresciuti con i fasti estetici futuristici di Blade Runner (1982) (ambientato “immaginariamente” nello stesso anno, il 2019, al punto che si ipotizza Akira possa anche essere un omaggio), diverrà in breve tempo una nuova pietra miliare del cyberpunk e una nuova ispirazione fondamentale per il cinema (noti sono i commenti entusiastici all’epoca di George Lucas e Steven Spielberg2, senza dimenticare i retroscena di certi capisaldi del cinema moderno di fantascienza, The Matrix su tutti).

Del materiale d’origine, il fumetto omonimo dello stesso Otomo disegnato tra il 1982 e il 1990 (a sua volta una sorta di “remake” di una storia breve scritta dallo stesso autore nel 1979, Fireball3, pubblicata in Italia da Star Comics nell’antologia Memorie), dal buon successo4, non si può parlare male: è una bella storia di fantascienza e azione dal respiro epico, con scontri psicocinetici tra esper che distruggono grattacieli e provocano cataclismi e battaglie motociclistiche tra teppisti, il tutto a dipingere l’impressionante guerra urbana che si scatena nella decadente Neo Tokyo tra l’agguerrito biker Kaneda e il suo rivale Tetsuo che vuole assoggettare il globo, in possesso di tremendi poteri psichici, di un esercito di sbandati ai suoi ordini e soprattutto di lui, l’esper definitivo, Akira dalle innocue sembianze di fanciullo ma con sufficiente potenziale mentale per distruggere la Terra. Abbiamo una trama semplice ma ben congegnata, che permette all’autore di sbizzarrirsi in un infinito numero di tavole altamente suggestive che mostrano scene di distruzione apocalittica tra le più solenni mai viste. I disegni di Otomo, al top dell’espressività e del realismo che tanto lo hanno reso famoso in patria ben si adattano a rendere più spettacolare del solito un fumetto catastrofico come Akira. Quest’ultimo, tuttavia, non è a mio parere una lettura “fondamentale” dell’arte fumettistica giapponese come troppo spesso è indicato: anzi, lo definirei troppo tirato per le lunghe per esigenze meramente commerciali, anche contando che doveva concludersi in 4 maxi volumoni e invece è appositamente allungato a 65, trovando un mucchio di lungaggini (Otomo va oltre dicendo che il progetto iniziale constava addirittura di appena 200 pagine ed è stato il responso dei lettori a farlo decuplicarle fino a circa 20006, aggiungendo che verso le parti finali non ne poteva più7), ma certo rimane anche per me una lettura più che valida con momenti altamente suggestivi. Succede semplicemente che nel 1988, a opera ancora in corso, Otomo opta per una trasposizione cinematografica di quello che ha finora disegnato, nell’ottica del movie più costoso mai realizzato fino a quel momento. La genesi della produzione, le sue rivoluzionari particolarità tecniche e la sua eredità rappresenteranno sicuramente un capitolo ben più interessante del prodotto finito, fondamentale nella Storia del cinema (non solo d’animazione) non certo per meriti narrativi.

Per raggiungere il suo mastodontico price range di un miliardo e 100 milioni di yen8, Otomo riunisce attorno a sé un consorzio dato da otto delle più grandi società nazionali (Kodansha, Bandai, Mainichi Broadcasting Draw, Hakuhodo, Toho, Laserdisc Company, Sumitomo e Tokyo Movie Shinsha, riunite nel cosiddetto AKIRA Committee)9, realizzando coi loro investimenti uno dei più imponenti kolossal animati di ogni period. Circa 1300 lavoratori provenienti da 50 diversi studi d’animazione10, avveniristiche innovazioni tecnologiche (l’uso di Computer Grafica e il LypSinc11, ossia il labiale dei personaggi adattato alle battute, queste ultime registrate ancora prima di disegni e animazioni), animazioni tutt’ora strepitose, oltre 150.000 disegni12 e una colonna sonora monumentale dalle sonorità multietniche, con cori, percussioni, tamburi e organi, a opera di un neuroscienziato (myth Shoji Yamashiro, dietro il cui pseudonimo si cela il ricercatore Tsutomu Ohashi), che sotto specifica richiesta di Otomo compone una “musica in cui suoni reali e musica diventino tutt’uno”13, sono i biglietti da visita con cui Akira fa la Storia, anche se non immediatamente. In madrepatria infatti debutta ai cinema raccogliendo un “magro” bottino di 700 milioni di yen che non bastano a coprire le enormi spese di realizzazione, ma nel tempo le varie repliche (sempre in sala) risolvono tutto nel migliore dei modi raggiungendo quota 6 miliardi (!), e cifre ancora più alte sono legate alle vendite dwelling video (150.000 copie tra VHS e laser disc)14. Stesso destino in The usa: poco nelle sale, ma in VHS diventa un blockbuster15 lasciando l’impronta indelebile che ben sappiamo e che ancora fa parlare di sé (nel 2016 è ancora al vaglio una nuova trasposizione animata del manga16, mentre è addirittura dal 2008 che ogni anno a Hollywood si parla di un adattamento are residing-action), pur rimanendo, a conti fatti, un milionario, indimenticabile ma mero esercizio di stile.

Bisogna intendersi: la sequenza d’apertura, che mostra il gruppo di teppisti di Kaneda iniziare una guerra motociclistica con biker rivali, sfrecciando per le vie di una Neo Tokyo imponente, oscura e
oppressiva, scandita da ossessive ritmiche tribali, ha meritato giustamente di fare la Storia dell’animazione per lo spettacolare connubio di regia, fotografia, animazioni ed effetti speciali (le luci delle moto che sfrecciano con tanto di effetto scia). Allo stesso modo, si stampano nella memoria il senso di degrado degli “sporchi” ambienti di Neo Tokyo in cui vivono Kaneda e amici (una delle più riuscite rappresentazioni del put up-modernismo e del crollo morale della civiltà), mirabilmente resi dalla cura minuziosissima nei fondali delle characteristic; l’estrema violenza di alcune scene sanguinose; le frequenti dimostrazioni dei poteri psichici di Tetsuo, causa di magnifiche sequenze di distruzione di città; il duello tra lui e Kaneda a colpi di armi futuristiche; o la lunghissima sequenza finale “trasformatoria”. Il riconoscibilissimo tratto di Otomo nei realistici e orientaleggianti personaggi è poi trasposto a regola d’arte dal solito, eccellente direttore dell’animazione Takashi Nakamura. Akira è stile (pur prettamente visivo) a non finire, simbolicamente rappresentato dalla fiammante, modernissima moto “cult” guidata da Kaneda e ben immortalata nelle varie locandine.  Otomo, alla sua prima prova da regista, sfrutta ogni mezzo tecnico per meravigliare il pubblico dall’alto del price range praticamente illimitato a cui è riuscito advert accedere e, come spesso accade a molti altri colleghi nelle stesse condizioni, non capisce quando è il momento di fermarsi: non ha limite né misura. Prende così gusto nelle animazioni spacca-mascella e nello sbrodolamento grafico in quanto myth da perdere di vista la cura nel racconto, rendendo confusionaria e involuta la storia. Se la mole di fatti e avvenimenti del fumetto ben trovano “sfogo” nelle temporanee 1200 pagine del manga (almeno lì si period arenata la storia, attorno al volume 4), risulta ovviamente improponibile pensare di sintetizzarli in due ore di girato. Otomo ci prova lo stesso e i risultati non arrivano. Reinterpreta la storia fino a quel momento dandole un primo, provvisorio finale: peccato la sua si riveli una discreta ma non proprio brillante opera di sintesi, il sunto di troppe pagine in un intreccio corposo di fatti, avvenimenti e anche, ahimè, lungaggini che non servono a niente che lascia per strada più di una domanda senza risposta. Insomma, si ha tra le mani un’opera che necessitava di ben più spazio (oppure l’ideale sarebbe stato, a mio modo di vedere, snellire molto più radicalmente la vicenda portante) per svelarsi nella sua interezza e non dissipare così tanti nodi narrativi. Non siamo ai livelli di Nausicaä della Valle del Vento (1984) (almeno la trasposizione di Otomo è comunque accattivante e ricca di pathos nonostante la sconclusionatezza), ma neanche advert apici così alti da giustificare le enormi e immeritate lodi che ancora Akira anime continua a rimediare dagli appassionati.

Gli avvenimenti, gli attori e le loro motivazioni, i risvolti narrativi e anche i necessari retroscena per ambientarsi, di secondaria importanza secondo il regista, sono così superficialmente trattati che addirittura, a un certo punto, subentra la frustrazione di non riuscire più a seguire logicamente lo sviluppo degli eventi. Tra colpi di stato militari di cui non si capisce la concreta necessità, bambini che hanno un’inquietante faccia da vecchio per chissà che motivi, accenni non approfonditi a esperimenti e cospirazioni governative, ingenuità di sceneggiatura (a che educated richiudere “Akira” lì dentro?) e svariati elementi del cast praticamente inutili, più che volentieri a un certo punto ci si spazienta per una cura così approssimativa in fase di scrittura. Se a questo si aggiunge, nella parte conclusiva della vicenda, un concentrato di distruzioni, trasformazioni apocalittiche e rivelazioni che non hanno proprio alcun senso narrativo, messi lì unicamente per arruffianarsi il pubblico con un finale pretestuoso e criptico a cui dovremmo dare noi una parvenza di interpretazione (suona tanto come “ho esaurito le idee, provate con la fantasia e spiegare voi”), a wonderful visione sono davvero troppi i punti oscuri della trama. I problemi di comprensione sono ulteriormente amplificati per noi italiani dal nostro doppiaggio, basato sull’adattamento americano dell’epoca davvero molto facilotto e impreciso, spesso inventato, sciaguratamente mai più corretto da parte di Dynit (né in occasione della riproiezione di Akira nei cinema italiani nel 2013, in occasione del suo 25esimo anniversario, né nelle successive edizioni in DVD e Blu-ray, meritevoli solo per i sottotitoli fedeli).

Modesta riduzione di una buona storia che esprime la sua epica e il suo senso principalmente su carta, Akira anime è, come accennato in apertura, un’opera che ha avuto la fortuna di uscire nel momento giusto, trasformando il regista Otomo in uno dei mostri intoccabili dell’animazione, anche se, sia prima che dopo Akira, si farà ricordare per disegni o direzioni di opere animate anche interessanti ma tutto fuorché indimenticabili  (e infatti all’apice della popolarità estera rimarcherà le sue incapacità di regista nel 2004 con lo spettacolare flop del costosissimo, noioso e insignificante Steamboy). Rimane ai posteri un lungometraggio diretto e animato in modo tidy, che vive ancora di notevolissimi sfarzi visivi che compensano abbondantemente le debolezze story, ma che fino alla wonderful (ammettiamolo pure ormai) non riesce più a mascherare bene come ieri la sua reale natura: quello di un antipasto, discreto ma non certo eccelso, di un manga forse non epocale ma di altro spessore.

Voto: 7,5 su 10

FONTI

1 Jonathan Clements & Helen McCarthy, “The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Edition”, Stone Bridge Press, 2012, pag. 13. Confermato dal saggio “Storia dell’animazione giapponese” (Guido Tavassi, Tunuè, 2012, pag. 194)

2 Retro della copertina della VHS italiana di “Akira” edita da Multivision

3 “The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Edition”, pag. 13

4 Intervista a Katsuhiro Otomo pubblicata su Kappa Journal n. 13 (Star Comics, 1993, pag. 120). L’autore u.s.a. la parola “enorme”, ma la cosa è dubbia visto che Mangazine n. 25 (Granata Press, 1993, pag. 44) cube (testuali parole) “Akira ebbe più successo di quanto ci si fosse aspettati (intendiamoci bene, in Giappone è considerato un fumetto per maniaci del genere e non ha mai raggiunto  una grande fama popolare[…])”

5 Mangazine n. 25, pag. 44

6 Vedere punto 4

7 Vedere punto 4, a pag. 122

8 “Storia dell’animazione giapponese”, pag. 194

9 Reach sopra

10 Reach sopra

11 Reach sopra

12 Reach sopra

13 Booklet allegato al DVD/Blu-ray di “Akira”, “L’Hypersonic Blu-ray ci trascina in un viaggio sperimentale di suoni e immagini trascendentali che attivano le strutture più profonde del nostro cervello” (Dynit, 2010)

14 Vedere punto 8, a pag. 194-195. Il numero di VHS e laserdisc venduti in Giappone proviene invece da “Anime al cinema” (Francesco Prandoni, Yamato Video, 1999, pag. 134)

15 Vedere punto 8, a pag. 195

16 Sito Web, “Animeclick”, alla pagina http://www.animeclick.it/news/51474-katsuhiro-otomo-in-progettazione-una-serie-animata-su-akira