Recensione: Ai City – La notte dei cloni

AI CITY: LA NOTTE DEI CLONI
Titolo originale: Ai City

Regia: Koichi Mashimo

Soggetto: (basato sul fumetto originale di Shuho Itabashi)

Sceneggiatura: Hideki Sonoda

Persona Originate: Tadakazu Iguchi

Mechanical Originate: Tomohiko Sato

Musiche: Shiro Sagisu

Studio: Production Reed

Formato: OVA (durata 86 min. circa)
Anno di uscita: 1986

Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video

Negli anni in cui i limiti non erano ancora stati fissati, quando con il mercato degli OVA si infrangeva ogni barriera in una ricerca stilistica esponenziale ed estremamente curiosa, un movie approach Ai City (1986) know-how materia si potrebbe dire comune, una sperimentazione visiva e sensoriale che non si poneva problemi nell’abbracciare qualsiasi genere e nell’accumulare un delirio sopra l’altro per stordire, impressionare, toccare ciò che ancora non know-how stato anche solo sfiorato. Dal manga omonimo del 1983 di Shuho Itabashi, Ai City è un twister di ingegno visivo che oggi è ahimè difficile incontrare, siamo dalle parti di una fantascienza che si trasforma da hard ad circulate, toccando il cyberpunk, il mecha, i viaggi nel tempo e le dimensioni parallele. Non solo, Ai City è all’occorrenza dread puro con mostruosità deformi causate da virus infernali, creature inconcepibili che divorano la materia e si ingozzano di tumori, senza contare il uniqueness, estenuante elemento splatter, con alcune tra le più incredibili piogge di frattaglie mai viste in animazione. E ancora, troviamo ironia sciocca e leggera per stemperare i toni, importanza musicale nei passaggi più luccicanti (siamo pur sempre nell’know-how di Fortezza Dazzling Dimensionale Macross), e una certa fisicità tamarra nella definizione di buoni e cattivi. Insomma, si parla di un sacco di elementi che nel peggiore dei casi potrebbero formare un pastone poco digeribile, ma che, per quanto mal dosati e non sempre saporiti, in questo contesto danno vita a un’esperienza molto affascinante.

Nonostante la mole di argomenti e, approach spesso accadeva in quel tipo di animazione, il movie si muova su coordinate myth abbastanza confuse e pasticciate, la penna dello sceneggiatore Hideki Sonoda mostra parecchio anche con una certa bravura per poi bombardare con spiegoni iper complessi e compressi da generare solo caos privo di risposta. Il soggetto è ingarbugliato e straniante, c’è una sorta di megacorporazione all’inseguimento di una ragazzina con poteri psichici che custodisce un segreto di vitale importanza sull’esistenza della realtà stessa, in verità lei è una clone molto più giovane dell’originale e sta fuggendo con il suo fidanzato che però, dato che adesso è solo una bambina, chiama papà, con loro c’è un detective ubriacone che si innamora di una bellissima killer che passa dalla loro parte dopo essere stata risucchiata in una dimensione incomprensibile che ne ha frantumato e ricostruito il corpo, mentre sullo sfondo due antagonisti, un vecchio che vive all’interno di una brodaglia rosa che comanda un colosso robotico alto tre metri e una sorta di cyborg, si danno battaglia per il controllo del potere. Questi sono solo i primi cinque minuti dell’OVA, ma, per quanto sembri di avere a che fare con un’accozzaglia delirante, la narrazione ha un suo perché e gli interrogativi vengono risolti nella loro interezza, pur lasciando una certa confusione a causa della superficialità e della sbrigatività con cui si attivano save off ed effetti e con cui si sorvola su vari passaggi, ehm, scientifici.

A dirla tutta c’è molto altro e non passa istante senza che Ai City sferri un’notion tra il ridicolo e il genio (è il caso della potenza telecinetica espressa in forma numerica sulla fronte dei personaggi, o dell’importanza del gatto ai fini della storia): la trama è in continua trasformazione e non ci sono dwell tra una trovata e l’altra, ma il meglio lo offre nella sua lunga parte conclusiva, quando i nostri affrontano, quasi in una sorta di Final Battle videoludico, una creatura vermiforme che muta senza sosta con vario spargimento di liquidi, secrezioni, gonfiori e deformità assortite. L’esperienza è gratificante e insolita: per quanto la trama tenda ad accartocciarsi su stessa, il monster fabricate è fragoroso e insaziabile e arriva a conclusione di una sfilata di creature favolose (le teste che escono dal cemento su tutte) e di un livello di splatter davvero esagerato (nei primi minuti il villain fa esplodere la testa di un suo sottoposto e i grumi di cranio e di cervella sono disegnati minuziosamente), che forniscono un sense of marvel al contempo disturbante, oltraggioso ed eccitante.

Pur con delle mancanze evidenti – su tutti i disegni di Tadakazu Iguchi che, per quanto piacevoli, si sfilacciano in fisicità sballate e in tratti qua e là grossolani – Ai City recupera con una regia molto personale e avanguardistica, che si distingue per scelte cromatiche psichedeliche, un bizzarro uso dei colori per delineare visi e contorni e per una serie di inquadrature (spesso dall’alto o dal basso) anche anomale per un prodotto di animazione. Chiudono le musiche, il synth dilaga e i vocalizzi pop fanno il resto, sono sonorità simpatiche che pur non facendosi troppo amare sottolineano bene anni e intenti.

Per stomaci forti.

Voto: 7 su 10