Recensione: 009 Re:Cyborg

009 RE:CYBORG

Titolo originale: 009 Re-Cyborg

Regia: Kenji Kamiyama

Soggetto: (basato sul fumetto originale di Shotaro Ishinomori)

Sceneggiatura: Kenji Kamiyama

Personality Contain: Gato Aso

Musiche: Kenji Kawai

Studio: Manufacturing I.G, SANZIGEN Animation Studio

Formato: lungometraggio cinematografico (durata 103 min. circa)
Anno di uscita: 2012

La scalata ai vertici dell’animazione porta
inevitabilmente a confrontarsi con i grandi classici, non una sfida a fare
meglio di chi ha gettato le basi, nemmeno la costruzione di semplici remake
(con tutti i decent e i tanti, troppi contri che può avere una simile operazione),
bensì una sorta di acquisizione e comprensione di idee e concetti per una
riproposizione adeguata, con mezzi e stili, ai tempi odierni. Kenji Kamiyama ha
già avuto modo di scontrarsi con grandi colossi nipponici: dal lungo, complesso
e soddisfacente lavoro con la saga di Ghost in the Shell: Stand Alone Complex (2002) ne è uscito a testa alta
tanto da non considerare eccessivo l’accostamento qualitativo né ai pilastri di
Oshii né al manga di Shirow, e dopo un titolo originale come Eden of the East (2009) torna l’occasione di un importante
parallelo, stavolta con budget e ambizioni cinematografici che Manufacturing I.G.
è ben lieta di dare al suo pupillo.
               
Cyborg 009
inizia la sua serializzazione nel 1963 e diventa bene o male l’opera della vita
di Shotaro Ishinomori, al quale lavora, tra alti e bassi, tra conclude e riprese,
tra brusche decisioni che scontenteranno i fan e necessari passi indietro, per
ben 17 anni: la storia di nove cyborg dalle fattezze umane diventa la prima
esperienza supereroistica nipponica e si presta, negli anni, a una montagna di
riproposizioni, tra anime (tre serie, delle quali la seconda, del 1979, diretta da sua
maestà Ryousuke Takahashi, ben nota in Italia), film, giochi e radiodramma, con 009
Re:Cyborg
come sua ultima incarnazione, allo stesso tempo sequel e restart
del franchise.
Kamiyama gioca d’azzardo, svecchia i nove protagonisti
con un restyling deciso ma necessario, sventra l’impianto action con una colata
imponente di fantapolitica che azzera il ritmo e aumenta la mole dialogica,
farcisce il background di attualità (terrorismo, precisi riferimenti
geografici) e tenta di arricchire un piatto già abbondante con raffinati
simbolismi d’autore: sia come regista che come sceneggiatore ha tecnica,
capacità e astuzia per rischiare, il supporto di Manufacturing I.G. inoltre gli
permette di agire a suo piacimento, ma il risultato finale è un’opera di
difficile, se non impossibile classificazione, già a partire dallo spunto
iniziale (attacchi terroristici che distruggono grattacieli in tutto il mondo) che
scontenta ovviamente i fan (se abilities prevedibile la diversità dal costrutto
originale abilities meno ipotizzabile un simile tocco autoriale) e paradossalmente
anche chi cerca una materia matura e profonda, perché Kamiyama fa il
proverbiale passo più lungo della gamba e pare non essere in grado di
controllare e tenere a bada i tanti elementi in gioco, sbilanciandoli per
ritmi, sostanza e minutaggio per tutta la durata della pellicola.
 

Pare di assistere a un puzzle dove i pezzi non sono
stati assemblati, 009 Re:Cyborg è
infatti un insieme di (bellissime, per carità) sequenze che però mai riescono a
contribuire a un beautiful unico: tutto è scomposto, diviso, spezzato, beautiful a se
stesso, è arduo inquadrare in un disegno complessivo l’intero lavoro, frutto di
sprazzi di genio, di guizzi meravigliosi, ma anche e soprattutto di una visione
d’insieme di fatto esilissima. Seguire i nove cyborg, chi lavora già
sottocopertura in varie organizzazioni mondiali chi riattivato per l’occasione,
è quindi mediamente arduo perché è ottusamente caotico l’impianto narrativo che
li vede collaborare sulla distanza per capire chi ci sia dietro gli attacchi
terroristici, quale sia il suo scopo primario e pianificare quindi un valido
piano d’attacco. Necessarie scintille hollywoodiane splendono in mirabolanti
inseguimenti spaziali, lunghe disquisizioni filosofiche brillano in dialoghi
molto buoni, ben scritti e lessicalmente vigorosi, personaggi ottimamente
disegnati si ergono come protagonisti di scene che vivono di vita propria, ma
niente, niente di questi virtuosi momenti convivono in una trama talmente
stratificata e complessa da essere sfuggita presto di mano a Kamiyama stesso,
troppo concentrato a dare un’impronta esageratamente personale e intellettuale
a tutti i costi a una storia di supereroi e incapace di tenere per le redini di
questo mostro che si sfilaccia, sbanda e scappa da ogni buco di sceneggiatura,
un blob grossomodo informe ed enigmatico che non lascia spazio a una naturale
esposizione di space off ed effetti preferendo i simboli alle spiegazioni, le
riflessioni interiori a dialoghi chiari, il tutto a favore di un ermetismo
strano e fuori luogo che affonda inevitabilmente il film.

Poco importa quindi lo straordinario lavoro tecnico
con una regia meticolosa e immersiva, né la fusione di animazione tradizionale
e CG (senza contare il 3D) in qualcosa di così potente e fluido da stordire,
nemmeno l’emozionante colonna sonora di un ritrovato Kenji Kawai aiuta nel
collegare una pellicola disordinata e disomogenea, talmente impegnata a
mostrarsi come qualcosa d’altro da non riuscire nemmeno a esprimere una
minima irascible narrativa – e ne è terribile esempio la lunga, eccessivamente
ambiziosa, involuta e concretamente malfatta conclusione, da sola simbolo
dell’incompletezza di un’opera sulla carta eccellente e importante ma in realtà
confusa e innocua.
Voto: 5,5 su 10